Il racconto evangelico sul giovane ricco nel perduto Vangelo secondo gli Ebrei

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    Vangelo secondo Matteo 19,16-26 ( traduzione C.E.I.)

    [16]Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?». [17]Egli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». [18]Ed egli chiese: «Quali?». Gesù rispose: «Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, [19]onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso». [20]Il giovane gli disse: «Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?». [21]Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi». [22]Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze. [23]Gesù allora disse ai suoi discepoli: «In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel Regno dei Cieli. [24]Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel Regno dei Cieli». [25]A queste parole i discepoli rimasero costernati e chiesero: «Chi si potrà dunque salvare?». [26]E Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile».




    Versione alternativa riportata nel “Commento al Vangelo secondo Matteo” di Origene ( presente traduzione latina):



    In un certo vangelo secondo gli Ebrei, se uno vuole accettarlo non come un'autorità, ma come delucidazione della presente questione, sta scritto:

    Un altro ricco gli domandò: "Che cosa debbo fare di bene per vivere?". (Gesù) Gli rispose: "Uomo, osserva ( i comandamenti del)la Legge e (l’insegnamento de)i Profeti".(Il ricco) Gli replicò: "L'ho fatto!". (Gesù) Allora gli disse: "Va', vendi tutto quanto possiedi e distribuiscilo ai poveri, poi vieni e seguimi". Ma il ricco iniziò a grattarsi la testa. Non gli andava! Gesù gli disse: "Come puoi dire di avere osservato la Legge e i Profeti? Nella Legge sta scritto: Amerai il tuo prossimo come te stesso. E molti tuoi fratelli, figli di Abramo, sono coperti di cenci e muoiono di fame, mentre la tua casa è piena di molti beni: non ne esce proprio nulla per quelli!". E rivolto al suo discepolo Simone, che sedeva vicino a lui, disse: "Simone, figlio di Giovanni, è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che un ricco entri nel Regno dei Cieli".



    Ciao a tutti,

    Apro questa nuova discussione su una poco conosciuta versione alternativa del celebre racconto evangelico sul “giovane ricco”,pervenuta tramite una traduzione latina del “Commento al Vangelo secondo Matteo” scritto in greco da Origene. La comparazione tra le due versioni è a mio avviso molto significativa, in quanto ci consente di ipotizzare un processo di rielaborazione della tradizione evangelica volto sia ad “edulcorare” la radicalità della messaggio di Gesù, sia a ridurre la “ebraicità” del suo insegnamento.

    Sin da quando ho incominciato a leggere direttamente gli scritti biblici, l’esposizione di questo episodio mi ha lasciato perplesso, per quelle che considero incongruenze o comunque stranezze.
    La prima riguarda la risposta di Gesù alla domanda del giovane su ciò che occorra fare per ottenere la “vita eterna”: il Nazoreo infatti gli raccomanda sì di osservare i comandamenti, che però poi su richiesta di chiarimento del ricco riduce ad alcuni precetti del Decalogo, unitamente alla prescrizione dell’amore verso il prossimo scritta nel Levitico; questo responso mi è sempre apparso approssimativo e lacunoso, rispetto al ben più ampio raggio delle disposizioni statuite nella Torah; tra l’altro, la risposta riduttiva esclude il riferimento all’osservanza dello Shabbat, guarda caso il comandamento più “ebraico” del Decalogo.

    La mia seconda perplessità concerne l’affermazione finale di Gesù secondo cui “Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile”, la quale mi è sempre sembrata sospetta, una sorta di aggiunta posteriore atta a limitare il carattere radicale e quasi eversivo dell’asserzione precedente (“è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, piuttosto che un ricco entri nel Regno dei Cieli”).

    La versione riportata da Origine getta a mio avviso una nuova luce sulla possibile stesura originaria di questo racconto evangelico; a parte la possibile presenza di due ricchi ad interrogare Gesù ( si parla di “un altro ricco”), evidenzio le seguenti differenze rispetto al testo canonico:

    -Manca il riferimento all’espressione tipicamente cristiana “vita eterna”; il ricco chiede che cosa debba fare per “vivere” ( partecipazione al mondo a venire/risurrezione dei morti);

    -Gesù non gli risponde con una ridotta elencazione di pochi precetti biblici, bensì con un responso autenticamente ebraico: “Osserva la Legge e i Profeti”, ossia segui tutti i comandamenti della Torah e gli insegnamenti predicati dai Profeti, e questo in piena conformità con quanto sta scritto nella stessa Torah (Levitico 18,5) :”Osserverete le mie leggi e le mie prescrizioni, mediante le quali, chiunque le metterà in pratica, vivrà. Io sono HaShem”, passo che la tradizione rabbinica, se non sbaglio, interpreta come una della basi sulle quali si fonda la fede nella risurrezione dei morti;

    -A fronte della riluttanza del ricco a donare tutti i propri beni ai poveri, Gesù lo attacca duramente mediante un’esegesi radicale del comandamento di amare il prossimo. E’ a mio avviso interessante notare come questa invettiva, assente nel testo canonico, evidenzi l’aspetto “sociale” della polemica gesuana contro la ricchezza, che gli appare tendenzialmente come un male sia perché porta sovente verso l’idolatria del danaro (Matteo 6,24: “Non potete servire Dio e Mammona”),sia perché ad essa, status di pochi, corrisponde una diffusa povertà tra i figli d’Israele, segno di una ingiusta distribuzione dei beni che viola la lettera e lo spirito del comandamento solidaristico del Levitico. Questa particolare sensibilità sociale di Gesù( nei vangeli canonici molto chiara in quello secondo Luca, ma “annacquata” negli altri tre) emerge anche in una variante del “Padre Nostro” che, secondo il padre della chiesa Girolamo, si trovava nel perduto Vangelo secondo i Nazareni” in lingua aramaica, dove non vi era scritto “dacci oggi il nostro pane quotidiano” ma “dacci oggi il nostro pane di domani” ( aramaico “mahar”);quindi una frase che si sostanzia in una preghiera rivolta ad HaShem perché anticipi il sostentamento futuro a quell’oggi in cui vi è evidentemente penuria di cibo e beni essenziali;

    -Manca del tutto l’affermazione finale che “stempera” la condanna pronunciata verso i ricchi: un’assenza che ritengo oltremodo significativa.


    Il prezioso testo tramandato da Origene ha a mio avviso buone possibilità di testimoniare l’originaria narrazione dell’evento, la quale probabilmente rappresenta in modo genuino l’autentica immagine del Gesù storico: un maestro ebreo di Galilea, fautore di posizioni radicali che certamente possono essere criticate, ma che si innestano integralmente, a mio parere, nella grande tradizione normativa ed etico-sapienziale d’Israele.
     
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    Ciao,
    Quel tale di cui parla il vangelo sei tu stesso, nel senso che é il simbolo del questionante che si pone di fronte alla Verità secondo il proprio ego. Dice: cosa devo fare? Tuttavia la domanda é errata a priori; la volontà di Dio così come la sua grazia e la sua misericordia non ci appartengono, non possiamo possederle né ottenerle come si ottiene un qualsiasi bene. Gesù' cosi' risponde nella misura delle conoscenze del questionante, spiazzandole, demolendole col fine di aprire un varco al cuore affinché questo possa esprimersi ed essere contrito e affranto, cuore che Dio non disprezza. E’ da questa disposizione dello spirito che ha inizio il vangelo, non dagli atti impossibili che Gesu’ esorta il questionante a compiere, i quali sono solo il mezzo utilizzato da Gesù’ come catalizzatori del giusto stato d’animo.
    Ora prova a leggere lo stesso brano come se quel giovane ricco fossi tu che interroga Gesu' e senti, ripeto senti, cio' che la sua risposta suscita nel tuo cuore. Ecco li' trovi la chiave che permette di avanzare nella lettura e comprensione e di trovare le altre chiavi per poter penetrare sempre più' le profondità del vangelo, della Bibbia e credo della vita stessa.

    Il cristianesimo non ha a che fare con la legge ma con Cristo, con la sua persona. I vangeli non sono libri sapienziali, a cio' basta l'antico testamento: la legge e i profeti. Il fulcro del vangelo non sono gl'insegnamenti che Gesù' proferi', ma Gesù' stesso. Ciò' che dice e fa, non é scritto affinché il discepolo faccia lo stesso, ma affinché egli capisca tramite la narrazione chi sia Gesù' nel suo puro essere, conosca la sua persona ne comprenda il cuore. Gesù' non é un profeta per i cristiani ma il figlio di Dio. La vicenda é questa: Dio disse sia la luce e la luce fu. Questa é la prima legge che Dio imparti'. Tutto ciò' che Dio disse sin dal principio é La legge. La Torah, La Legge, non é soltanto il Levitico o il Deuteronimio, ma tutti i 5 libri ed ogni lettera e parola contenuta in essi. Ora immaginiamo che ogni legge sia un argine artificiale che applicato in un flusso d'acqua ne delimiti, modifichi, devi il corso secondo una precisa volontà. Questo corso d'acqua eventualmente non andrà più' ovunque ma assumerà una forma, una direzione e una finalità propria. Questo flusso d'acqua primordiale potrebbe essere le acque su cui lo spirito di Dio in principio aleggiava. Quindi Dio opero' sul caos delle acque, energia inespressa ancora senza direzionalità. Dio attraverso il suo verbo, genero' delle cause, degli argini che agendo sul materiale espresso nel 2° vv della genesi ebbero come conseguenza la massa, un corpo: E=mc^2. D'altronde e anche se secondo propri fini, Mauro Biglino non afferma forse che letteralmente la genesi di altro non parla se non del facimento di una diga? Cos'é una diga? Una struttura di contenimento delle acque. La parola energia non esisteva nell'antichità. E' un termine relativamente recente. Per cui quel che noi oggi chiamiamo energia anticamente poteva essere espresso e intuitivamente carpito attraverso la parola Acqua. Non a caso, Poseidone, il dio greco delle acque, aveva come animale sacro il toro, simbolo della Forza, massima espressione dell'energia libera applicata; ma questo é un altro discorso. Ora, Ogni causa ha una conseguenza e ogni conseguenza é causa di nuove conseguenze. Ci sarà poi un punto in cui tutte queste cause e conseguenze confluiscono e a loro volta divengono Uno, un punto che é il risultato finale della Causa iniziale. Ergo, Tutto ciò' che Dio disse e fece ha come conseguenza finale il Cristo. Non solo ma il Cristo é il Verbo, é l'agente attraverso cui Dio preparava ogni cosa affinché questo suo stesso verbo si compisse, potesse venire in essere al mondo come uomo, inferiore e superiore.

    Quel che voglio dire é che il fine della legge non é la sua osservanza fine a se stessa. La mera l'osservanza non é il fine della Legge ma la sua prerogativa. La legge e la sua osservanza fanno parte dell'intero progetto di Dio che era quello di generare le condizioni cosmiche ideali affinché in un punto sperduto della palestina egli potesse venire al mondo, il suo verbo potesse compiersi. Questo é Gesù il Cristo ed é per questo che si dice che sia il figlio di Dio. Il Cristo, il Messia é il luogo, il punto in cui l'operare dell'Uno compiendosi perfettamente non può' che generare sé stesso, un altro Uno che é Uno cmq poiché dall'Uno procede. Infatti l'intero operare di Dio non può che confluire e dare come risultato sé stesso. Egli essendo Perfetto, non può che agire perfettamente e determinare un perfetto risultato finale, che é Egli stesso. Noi viviamo all'interno della perfetta opera ma in corso di svolgimento, nell'opera incompiuta, non ancora compiuta ma che é compiuta e perfetta nell'eternità. Ciò' che Dio fa e farà, l'ha già fatto se osservato dalla dimensione dell'eternità. Tuttavia noi essendo immersi nel tempo/spazio viviamo e partecipiamo dell'opera nel suo divenire e compiersi.
    Per queste cose si parla di Dio Padre e Figlio. Il cristianesimo crede che La legge si sia già compiuta con la nascita di Gesù' Cristo. Questa nascita, rende caduca la Legge, perché essa ha svolto il compito per cui era stata stabilita, cosi' come terminata una casa se ne rimuovono le impalcature poiché non servono più.

    La differenza tra cristiani e giudei é che i cristiani usano il tempo perfetto (azione compiuta), nell'annunciare il messia, mentre i giudei usano il tempo imperfetto (azione non compiuta), perché ne attendono ancora la venuta. Chi abbia ragione, non lo so. I Cristiani hanno le loro ragioni di usare il tempo perfetto e i giudei hanno le loro ragioni di usare quello imperfetto. Sta di fatto che il Messia che la Bibbia annuncia la Bibbia é questo. Che sia o non sia già venuto oppure se debba ancora venire é l'argomento di fede e l'unica distinzione che c'é tra cristiani ed ebrei. E' d'altronde irrilevante dal punto di vista dell'eternità, poiché nell'eternità tempo perfetto e tempo imperfetto, vita e morte, bene e male, giorno e notte, luce e tenebra, più e meno coincidono in Luce Perfetta e Pura essendo da essa generati. Con Cristo se é già arrivato o quando arriverà, non c'é o non ci sarà più ne Greco, ne giudeo, né pagano, né circonciso ma ci sarà solo Il Cristo che sarà Tutto in Tutti. Ci sarà ed é già li' ma sarà manifesta per tutti, la completezza dell'opera Cosmica che Dio come Padre ha attuato: Il Figlio. Tutto ciò' che ora appare ed é in quest'istante, la creazione, l'universo intero noi compresi é l'immagine istantanea e provvisoria di un lavoro non ancora compiuto. Quando tutto sarà compiuto, quando il figlio sarà compiuto, quando il figlio dirà tutto é compiuto, il figlio morirà, Tutto morirà e il terzo giorno il Figlio resusciterà, resuscitando Tutto con sé. Allora, all'alba dell'ottavo giorno, saranno nuovi cieli e nuove terre.
    Pace.

    Edited by Pasquale Barubiriza - 28/10/2017, 10:46
     
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    Ciao Pasquale,

    Ho letto il tuo lungo intervento, e sinceramente non ne capisco il senso in questo contesto.Il forum che gentilmente ci ospita si chiama "Consulenza ebraica per lo studio del Cristianesimo e dell'Islam"; non è pertanto un luogo deputato alla elaborazione di trattati teologici come il tuo, seppur in chiave sintetica.La discussione da me aperta non verte su questioni di fede,ma sull'analisi esegetica afferente alla possibile ricostruzione della narrazione evangelica sul giovane ricco, alla luce di una variante alternativa del testo rispetto a quello canonico, tramandataci da Origene di Alessandria,uno dei maggiori esponenti del Cristianesimo antico. Ognuno è libero di pensarla come vuole,ma qui si disserta partendo dalla rigorosa analisi dei testi e non dalla sovrastruttura teologica ad essi connessa.Tu enunci una serie di principi tratti dal pensiero di Paolo di Tarso;io mi propongo di studiare in chiava comparativa due versioni,cercando di ipotizzare quale sia quella maggiormente aderente all'originaria. A me personalmente interessa poco "Nostro Signore Gesù Cristo", ma molto Yeshua ha Nozri, ebreo di Galilea del I sec. e.v. Per te quest'uomo è il figlio di Dio:opinione legittima naturalmente, che però non attiene alle finalità storico esegetiche di questo forum,nel quale non si fa proselitismo religioso. Questo frammento del perduto Vangelo secondo gli Ebrei,con l'enfasi sulla osservanza della Torah e dei Profeti, unita ad una dura condanna della ricchezza in forza di una interpretazione radicale di Levitico 19,18 (senza il riferimento al "tutto è possibile a Dio" della versione canonica), dà di Gesù un'immagine incompatibile con il pensiero paolino: immagine giusta o sbagliata sul piano storico?Ad ognuno la sua conclusione, ma in questo forum dibattendo sull'esegesi dei testi, non subordinando gli stessi ad un loro adeguamento ad una teologia già fissata a priori.

    Ti auguro una buona serata
     
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    Capisco, scusami se mi sono lasciato prendere la mano, spero comunque che possa essere utile a qualcosa ciò' che ho scritto anche se fuori contesto. Non potrò' certo essere all'altezza di un analisi storico esegetica, volevo solo che fossi consapevole del corpo di cui stai analizzando le ossa che si dovrebbero lasciar da mangiare ai geni. Tuttavia se può' esserti utile, vorrei esprimere un ultimo parere. Yeshua ha Nozri, ebreo di Galilea del I sec, é solo il punto dello spazio/tempo in cui alcuni ebrei hanno collocato la punta del compasso. Che questi fosse storicamente esistito o meno, non importa, ciò' che importa é il risultato: il cerchio che si é tracciato prendendo come punto cardine Yeshua ha Nozri, non solo come persona ma come fenomeno inserito in un contesto storico, sociale, religioso ecc.
    Il fatto é che un testo originale non c'é, se non come processo in divenire. A partir da zero, ogni parola é stata mano a mano aggiunta e mentre se ne aggiungevano alcune, altre ne venivano tolte e modificate. Forse tu cerchi l'iter di questa trasformazione, il divenire del testo che possa condurti al nucleo materiale in cui per alcuni tutto é confluito e ripartito.
    Il motivo per cui é difficile cavar piede dall'analisi storico-scientifica dei testi antichi é anche il fatto che i loro autori non usavano un metodo storico-scientifico per loro stesura. E' come cercare di aprire con un telecomando una porta che fu costruita da qualcuno che aveva in mente solo il classico metodo a chiave.
    Non voglio certo frenare, né contraddirti. Penso solo che essere coscienti di queste cose o ricordarle se si sanno già, possa, limitando qui e aprendo là, indirizzare meglio la ricerca.

    Buona giornata.

    Edited by Pasquale Barubiriza - 28/10/2017, 10:52
     
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    CITAZIONE (Pasquale Barubiriza @ 28/10/2017, 10:20) 
    Capisco, scusami se mi sono lasciato prendere la mano, spero comunque che possa essere utile a qualcosa ciò' che ho scritto anche se fuori contesto. Non potrò' certo essere all'altezza di un analisi storico esegetica, volevo solo che fossi consapevole del corpo di cui stai analizzando le ossa che si dovrebbero lasciar da mangiare ai geni. Tuttavia se può' esserti utile, vorrei esprimere un ultimo parere. Yeshua ha Nozri, ebreo di Galilea del I sec, é solo il punto dello spazio/tempo in cui alcuni ebrei hanno collocato la punta del compasso. Che questi fosse storicamente esistito o meno, non importa, ciò' che importa é il risultato: il cerchio che si é tracciato prendendo come punto cardine Yeshua ha Nozri, non solo come persona ma come fenomeno inserito in un contesto storico, sociale, religioso ecc.
    Il fatto é che un testo originale non c'é, se non come processo in divenire. A partir da zero, ogni parola é stata mano a mano aggiunta e mentre se ne aggiungevano alcune, altre ne venivano tolte e modificate. Forse tu cerchi l'iter di questa trasformazione, il divenire del testo che possa condurti al nucleo materiale in cui per alcuni tutto é confluito e ripartito.
    Il motivo per cui é difficile cavar piede dall'analisi storico-scientifica dei testi antichi é anche il fatto che i loro autori non usavano un metodo storico-scientifico per loro stesura. E' come cercare di aprire con un telecomando una porta che fu costruita da qualcuno che aveva in mente solo il classico metodo a chiave.
    Non voglio certo frenare, né contraddirti. Penso solo che essere coscienti di queste cose o ricordarle se si sanno già, possa, limitando qui e aprendo là, indirizzare meglio la ricerca.

    Buona giornata.

    Non c'è niente di cui scusarsi,ci mancherebbe,ho voluto solo focalizzare la discussione sulla specifica tematica rientrante dell'oggetto di questo forum.Sono d'accordo,l'intento degli autori che hanno redatto i libri del Nuovo Testamento non è di carattere storico/biografico,bensì funzionale ad una testimonianza di fede, dietro la quale vi è però la figura reale di Gesù il Nazoreo, la cui esistenza storica oggi non è più messa in discussione presso la totalità degli studiosi stimati ( l'ipotesi mitica è ancorata a concezioni del XIX sec.).Il problema a mio avviso è che gli stessi scritti neotestamentari,fondamento della fede cristiana,ci danno delle immagini di Gesù non solo molto diverse , ma in alcuni casi incompatibili tra di loro: la visione teologica espressa da Paolo di Tarso, secondo la quale la "giustificazione" dell'uomo non possa avvenire tramite la Torah bensì solo mediante la fede in Gesù, non è compatibile con quanto ci tramandano sul Nazoreo i Vangeli Sinottici ("E' più facile che passino il cielo e la terra,piuttosto che cada un solo apice della Legge",Luca 16:17).Non si tratta, secondo il mio parere, di semplici interpretazioni diverse, ma di posizioni che si contraddicono;in questo senso, l'analisi storico-esegetica può far luce anche su tale aspetto, che non mi appare di secondaria importanza.

    Un cordiale shalom
     
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    אריאל פינטור

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    CITAZIONE (Pasquale Barubiriza @ 28/10/2017, 09:20) 
    Capisco, scusami se mi sono lasciato prendere la mano, spero comunque che possa essere utile a qualcosa ciò' che ho scritto anche se fuori contesto. Non potrò' certo essere all'altezza di un analisi storico esegetica, volevo solo che fossi consapevole del corpo di cui stai analizzando le ossa che si dovrebbero lasciar da mangiare ai geni. Tuttavia se può' esserti utile, vorrei esprimere un ultimo parere. Yeshua ha Nozri, ebreo di Galilea del I sec, é solo il punto dello spazio/tempo in cui alcuni ebrei hanno collocato la punta del compasso. Che questi fosse storicamente esistito o meno, non importa, ciò' che importa é il risultato: il cerchio che si é tracciato prendendo come punto cardine Yeshua ha Nozri, non solo come persona ma come fenomeno inserito in un contesto storico, sociale, religioso ecc.
    Il fatto é che un testo originale non c'é, se non come processo in divenire. A partir da zero, ogni parola é stata mano a mano aggiunta e mentre se ne aggiungevano alcune, altre ne venivano tolte e modificate. Forse tu cerchi l'iter di questa trasformazione, il divenire del testo che possa condurti al nucleo materiale in cui per alcuni tutto é confluito e ripartito.
    Il motivo per cui é difficile cavar piede dall'analisi storico-scientifica dei testi antichi é anche il fatto che i loro autori non usavano un metodo storico-scientifico per loro stesura. E' come cercare di aprire con un telecomando una porta che fu costruita da qualcuno che aveva in mente solo il classico metodo a chiave.
    Non voglio certo frenare, né contraddirti. Penso solo che essere coscienti di queste cose o ricordarle se si sanno già, possa, limitando qui e aprendo là, indirizzare meglio la ricerca.

    Buona giornata.

    Non che il tuo pensiero non sia ben articolato e da un punto di vista cristiano, interessante, ma è completamente fuori contesto e non prende in nessuna considerazione i quesiti di Amos.

    Quanto riportato da origene sembra leggermente più ebraico.

    Il problema di fondo è questo:
    La Tzedaqà (che non è la "carità" ma, come dice la radice "tzedeq", Giustizia), è un obbligo morale di Giustizia sociale. Attenzione: è un obbligo morale, non LEGALE.
    Ciò che è obbligatorio è il versamento della decima, cioè delle tasse sulle quali una società si fonda e se un soggetto non poteva versare la decima, in denaro, poteva farlo sostituendo a questa frutto della terra.. ovviamente alcune categorie particolarmente deboli erano esentate.Se date un'occhiata alla mia tesi di master, i concetti di tzedaqà, l'atteggiamento verso le categorie deboli: vedova, orfano, straniero, sono analizzati più dettagliatamente. Nel mondo ebraico, fin dall'epoca biblica la preoccupazione sociale è sempre stata in primo piano. ( https://consulenzaebraica.forumfree.it/?t=72580268 ).
    Ma in nessun punto della letteratura ebraica è scritto o è comandato di spogliarsi di tutto.
    Un atteggiamento del genere è proibito dall'halachà, perché pericoloso, in quanto l'essere umano non deve mai trovarsi in condizioni di diventare egli stesso indigente o bisognoso e quindi di dover dipendere dagli altri e di essere un peso per la comunità. Inoltre, Maimonide afferma che tra i livelli più elevati di Tzedaqà, vi è l'aiuto o l'investimento che aiuti il prossimo ad iniziare un'attività che lo renda indipendente.
    Dare in tzedaqà, il 10% dei propri guadagni è considerato un gesto di livello elevato.
    Se si è estremamente ricchi si può arrivare al 20%, ma non oltre.
    Quindi, le espressioni " spogliati di TUTTO", oppure "vendi TUTTO ciò che hai e dallo ai poveri", non hanno granché di ebraico.
    Quindi quelle affermazioni sono state scritte da qualcuno che conosceva la società ebraica piuttosto superficialmente, forse qualche osservatore straniero della Giudea oppure sono scritte già quando la teologia del cristianesimo era già radicata.
    Un maestro non farebbe mai affermazioni, non scritte da nessuna parte e non suffragate da pareri di maestri precedenti o contemporanei, né impartirebbe lezioni o consigli contrari all'halachà.

    Quanto alla dimenticanza di citare lo Shabbat come un obbligo fondamentale può essere perché chi scrive lo dava per scontato, anche se è piuttosto strano, in quanto è di importanza fondamentale
     
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    CITAZIONE (Negev @ 29/10/2017, 09:23) 
    CITAZIONE (Pasquale Barubiriza @ 28/10/2017, 09:20) 
    Capisco, scusami se mi sono lasciato prendere la mano, spero comunque che possa essere utile a qualcosa ciò' che ho scritto anche se fuori contesto. Non potrò' certo essere all'altezza di un analisi storico esegetica, volevo solo che fossi consapevole del corpo di cui stai analizzando le ossa che si dovrebbero lasciar da mangiare ai geni. Tuttavia se può' esserti utile, vorrei esprimere un ultimo parere. Yeshua ha Nozri, ebreo di Galilea del I sec, é solo il punto dello spazio/tempo in cui alcuni ebrei hanno collocato la punta del compasso. Che questi fosse storicamente esistito o meno, non importa, ciò' che importa é il risultato: il cerchio che si é tracciato prendendo come punto cardine Yeshua ha Nozri, non solo come persona ma come fenomeno inserito in un contesto storico, sociale, religioso ecc.
    Il fatto é che un testo originale non c'é, se non come processo in divenire. A partir da zero, ogni parola é stata mano a mano aggiunta e mentre se ne aggiungevano alcune, altre ne venivano tolte e modificate. Forse tu cerchi l'iter di questa trasformazione, il divenire del testo che possa condurti al nucleo materiale in cui per alcuni tutto é confluito e ripartito.
    Il motivo per cui é difficile cavar piede dall'analisi storico-scientifica dei testi antichi é anche il fatto che i loro autori non usavano un metodo storico-scientifico per loro stesura. E' come cercare di aprire con un telecomando una porta che fu costruita da qualcuno che aveva in mente solo il classico metodo a chiave.
    Non voglio certo frenare, né contraddirti. Penso solo che essere coscienti di queste cose o ricordarle se si sanno già, possa, limitando qui e aprendo là, indirizzare meglio la ricerca.

    Buona giornata.

    Non che il tuo pensiero non sia ben articolato e da un punto di vista cristiano, interessante, ma è completamente fuori contesto e non prende in nessuna considerazione i quesiti di Amos.

    Quanto riportato da origene sembra leggermente più ebraico.

    Il problema di fondo è questo:
    La Tzedaqà (che non è la "carità" ma, come dice la radice "tzedeq", Giustizia), è un obbligo morale di Giustizia sociale. Attenzione: è un obbligo morale, non LEGALE.
    Ciò che è obbligatorio è il versamento della decima, cioè delle tasse sulle quali una società si fonda e se un soggetto non poteva versare la decima, in denaro, poteva farlo sostituendo a questa frutto della terra.. ovviamente alcune categorie particolarmente deboli erano esentate.Se date un'occhiata alla mia tesi di master, i concetti di tzedaqà, l'atteggiamento verso le categorie deboli: vedova, orfano, straniero, sono analizzati più dettagliatamente. Nel mondo ebraico, fin dall'epoca biblica la preoccupazione sociale è sempre stata in primo piano. ( https://consulenzaebraica.forumfree.it/?t=72580268 ).
    Ma in nessun punto della letteratura ebraica è scritto o è comandato di spogliarsi di tutto.
    Un atteggiamento del genere è proibito dall'halachà, perché pericoloso, in quanto l'essere umano non deve mai trovarsi in condizioni di diventare egli stesso indigente o bisognoso e quindi di dover dipendere dagli altri e di essere un peso per la comunità. Inoltre, Maimonide afferma che tra i livelli più elevati di Tzedaqà, vi è l'aiuto o l'investimento che aiuti il prossimo ad iniziare un'attività che lo renda indipendente.
    Dare in tzedaqà, il 10% dei propri guadagni è considerato un gesto di livello elevato.
    Se si è estremamente ricchi si può arrivare al 20%, ma non oltre.
    Quindi, le espressioni " spogliati di TUTTO", oppure "vendi TUTTO ciò che hai e dallo ai poveri", non hanno granché di ebraico.
    Quindi quelle affermazioni sono state scritte da qualcuno che conosceva la società ebraica piuttosto superficialmente, forse qualche osservatore straniero della Giudea oppure sono scritte già quando la teologia del cristianesimo era già radicata.
    Un maestro non farebbe mai affermazioni, non scritte da nessuna parte e non suffragate da pareri di maestri precedenti o contemporanei, né impartirebbe lezioni o consigli contrari all'halachà.

    Quanto alla dimenticanza di citare lo Shabbat come un obbligo fondamentale può essere perché chi scrive lo dava per scontato, anche se è piuttosto strano, in quanto è di importanza fondamentale

    La tradizione ebraica è molto avanzata sul piano sociale (oltre che su quelli etico e giuridico aggiungo),come brillantemente trattato nella tua bellissima tesi di laurea;la Torah ed i Profeti lo testimoniano costantemente: aggiungo anzi che per me il prototipo del moderno Stato Sociale ha le sue primarie radici nel patrimonio culturale,giuridico ed etico ebraico.La prescrizione di spogliarsi di tutti i propri beni non è indubbiamente conforme a tale tradizione;dico di più:l'applicazione massiva di questo insegnamento gesuano e di suoi altri, ancora più sconcertanti (abbandonare il proprio lavoro e le proprie famiglie,ad esempio),porterebbe qualsiasi società alla rovina economica e sociale.Io però credo che tali episodi risalgano al Gesù storico,tanto sono radicali ed "eversivi", così scandalosi da creare un certo imbarazzo anche tra i primi padri della Chiesa. Azzardo un'ipotesi,che ho già evidenziato nel passato: è storicamente certo che Gesù fosse convinto che questo mondo fosse prossimo alla fine, e che fosse imminente l'arrivo del "Regno dei Cieli" ( che nel suo parlare ritengo corrispondesse al "Mondo a Venire",ha-'olam ha-ba); probabilmente riteneva che l'abbandonare i legami sociali fosse il modo migliore per prepararsi a questo evento.La prospettiva escatologica: questo può dare un senso ad insegnamenti e comportamenti di Gesù che altrimenti sarebbero assurdi e distruttivi del tessuto sociale di una comunità. Una logica discutibile?Senza dubbio, anche perché Gesù ha sbagliato nel ritenere imminente la fine di questo mondo,il che per me è già di per sé sufficiente ad escludere alla radice che il Nazoreo possa essere considerato il Messia; una logica però che, nella sia radicalità e nel suo carattere paradossale, può aiutarci a comprendere sul piano storico ed esegetico questo predicatore ebreo galileo del I sec. e.v., che io amo molto come spesso ho affermato.
     
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    il Nazareno si discostava enormemente dalla tradizione:
    dire a un ebreo di non seppellire il padre "Lasciate che i morti seppelliscano i morti" è una infrazione molto grave e inaccettabile, del comandamento "onora il padre e la madre" (onorare va molto oltre il semplice prendersene cura) e questo comandamento sta sulla tavola dei cinque doveri verso Dio.
    Giustificare la raccolta delle spighe di sabato, laddove non vi era pericolo di vita ( cosa che avrebbe giustificato l'infrazione dello Shabbat), affermare che "anche David mangiò i pani del Tempio (cosa assurda, sia perché era consentito mangiarli, a parte la quota riservata ai cohanim, sia perchéP non c'entra nulla con il sabato), negare la tradizione delle abluzioni delle mani prima di toccare il pane (norma igienica oltre che di rispetto per l'alimento principe per l'essere umano) e rispondere "non è impuro ciò che entra, ma ciò che esce dalla bocca dell'uomo", dimostra che chi ha scritto queste cose in Giudea c'era passato di striscio, e conosceva le cose in maniera estremamente superficiale, non certo come le conosce un ebreo.
    Se Gesù era ebreo, allora non ha mai detto queste cose. Qualcun altro, certamente non ebreo e ignorante di cose ebraiche, le ha attribuite a lui

    Edited by Negev - 30/10/2017, 07:01
     
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    CITAZIONE (Negev @ 29/10/2017, 12:32) 
    il Nazareno si discostava enormemente dalla tradizione:
    dire a un ebreo di non seppellire il padre "Lasciate che i morti seppelliscano i morti" è una infrazione molto grave e inaccettabile, del comandamento "onora il padre e la madre" (onorare va molto oltre il semplice prendersene cura) e questo comandamento sta sulla tavola dei cinque doveri verso Dio.
    Giustificare la raccolta delle spighe di sabato, laddove non vi era pericolo di vita ( cosa che avrebbe giustificato l'infrazione dello Shabbat), affermare che "anche David mangiò i pani del Tempio (cosa assurda, sia perché era consentito mangiarli, a parte la quota riservata ai cohanom, sia perchéP non c'entra nulla con il sabato), negare la tradizione delle abluzioni delle mani prima di toccare il pane (norma igienica oltre che di rispetto per l'alimento principe per l'essere umano) e rispondere "non è impuro ciò che entra, ma ciò che esce dalla bocca dell'uomo", dimostra che chi ha scritto queste cose in Giudea c'era passato di striscio, e conosceva le cose in maniera estremamente superficiale, non certo come le conosce un ebreo.
    Se Gesù era ebreo, allora non ha mai detto queste cose. Qualcun altro, certamente non ebreo e ignorante di cose ebraiche, le ha attribuite a lui

    Certamente i vangeli sono stati oggetto di numerosi interventi, alcuni dei quali effettuati da individui che manifestano un'ignoranza abissale in tema di Torah e di tradizione ebraica:questo è un dato ormai accertato dalla moderna ricerca storica.
     
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    Salve a tutti da parecchio non posto ma ogni tanto torno a seguirvi.
    Questo post mi ha fatto ricordare di aver letto anni fa nel Corano che nell' aiutare i poveri un musulmano non deve mai dare in dono tutti i suoi averi, inquanto ciò renderebbe povero pure lui.
    Da quanto ho letto qui, noto una notevole somiglianza con il pensiero ebraico e siccome l 'Islam trovo che riprenda molti concetti ebraici, direi che ciò è una conferma che nel mondo ebraico del tempo di Gesù, suggerire di privarsi di tutti i propri beni potesse essere alquanto impopolare.
    Mi fa però caso che nessuno dei seguaci di Gesù nei 2 reacconti menzionati si scandalizzi delle parole del Maestro,...può essere un segno che possa dimostrare che tali narrazioni siano solo invenzioni posteriori a lui?
     
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    CITAZIONE (nonsapiente @ 29/10/2017, 13:49) 
    Salve a tutti da parecchio non posto ma ogni tanto torno a seguirvi.
    Questo post mi ha fatto ricordare di aver letto anni fa nel Corano che nell' aiutare i poveri un musulmano non deve mai dare in dono tutti i suoi averi, inquanto ciò renderebbe povero pure lui.
    Da quanto ho letto qui, noto una notevole somiglianza con il pensiero ebraico e siccome l 'Islam trovo che riprenda molti concetti ebraici, direi che ciò è una conferma che nel mondo ebraico del tempo di Gesù, suggerire di privarsi di tutti i propri beni potesse essere alquanto impopolare.
    Mi fa però caso che nessuno dei seguaci di Gesù nei 2 reacconti menzionati si scandalizzi delle parole del Maestro,...può essere un segno che possa dimostrare che tali narrazioni siano solo invenzioni posteriori a lui?

    Che questo episodio possa essere un’aggiunta successiva, e quindi non appartenente a Gesù, è naturalmente una possibilità, ma occorrerebbe indagare sull’ambiente dal quale sarebbe scaturita questa creazione. Ora, nelle tradizioni culturali extra-ebraiche del mondo antico, non si trova una condanna della ricchezza se non presso la scuola filosofica cinica. Alcuni storici delle origini del Cristianesimo avanzano l’ipotesi che lo stesso Gesù sia stato direttamente influenzato dai cinici, i quali effettivamente avevano una loro accademia nella città galilaica di Gadara, essendo la Galilea del tempo abitata anche da non Ebrei.
    Se è vero che si può configurare qualche somiglianza tra alcune azioni ed idee attribuite nei Vangeli a Gesù e le posizioni dei cinici (attacco alla ricchezza ed a certi valori propri della società, comportamenti anticonformistici e “scandalosi”, predicazione itinerante ecc. ecc.),è altresì vero che non abbiamo concreti elementi in grado di collegare la scuola cinica a Gesù, la cui missione si svolge nell’ambito dell’escatologia ebraica, con continui riferimenti al Tanakh ed al patrimonio culturale della terra d’Israele. Semmai, la figura del Nazoreo si potrebbe forse accostare a quella degli antichi “hasidim”, esponenti di una religiosità carismatica caratteristica della Galilea, la cui figura più famosa è rappresentata da Hanina ben Dosa. E’ interessante infatti notare come sia proprio una caratteristica di questi “devoti” quella di elogiare la povertà come stato ideale per avvicinarsi di più ad HaShem, una visione effettivamente in contrasto con quella dei Saggi d’Israele, per i quali la ricchezza non è un male in sé, ma lo diventa solo in casi particolari, ad esempio quando sia conseguita in modo disonesto o a danno del povero, oppure quando sia utilizzata in modo da distogliere l’individuo dall’osservanza della Torah. Lo scomparso prof. Geza Vermes è colui che più di tutti ha evidenziato le analogie tra la figura di Gesù e quella di queste singolari figure, caratteristiche come detto della religiosità carismatica galilaica.
    Su Hanina ben Dosa vi è da dire che le fonti ci riferiscono della sua povertà e della sua capacità di taumaturgo, quest’ultima scaturente dalla potente efficacia della sua preghiera, la quale si diceva che riuscisse anche a provocare la pioggia in caso di siccità; dalle fonti però sappiamo anche che Hanina era un uomo di grande umiltà e modestia, il quale non invitava il prossimo a seguire il suo stile di vita povero, che comunque praticava nell’ambito del tradizionale contesto famigliare ( era regolarmente sposato ed aveva figli),senza alcuna prospettiva di carattere escatologico ; non so pertanto quanto la sua figura sia concretamente accostabile a quella di Gesù, se non per questa predisposizione alla povertà e per la conclamata l’attività taumaturgica; certamente, nessuna della sue condotte citate dalle fonti pone problemi di conformità alla Torah.
     
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    Ciao Negev. Dici:

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    il Nazareno si discostava enormemente dalla tradizione

    Verissimo, dalla tradizione. Infatti, la norma sul divieto di raccogliere spighe di grano è codificata dalla tradizione (se non ricordo male, esistevano anche scuole di pensiero diverse sulla modalità di raccolta), non dalla Torah. Certo, la torah orale va di pari passo con quella scritta, ma c'è da chiedersi: qual'è il principio profondo dello shabbat? Davvero raccogliere due spighe costituisce una violazione? Forse per gli uomini, ma per D-o? Io credo che le parole di Yeshùa, riportate da scarni resoconti scritti in greco in un mondo dominato dal paganesimo, vadano lette andando un po' "oltre". Yeshùa, praticamente, non sosteneva che il sabato non andasse rispettato, ma che il modo in cui veniva tradizionalmente rispettato non era conforme al profondo significato dello shabbat. Questo, naturalmente, costituisce una grossa presa di distanza dalla tradizione, ed è comprensibilissimo che i maestri del tempo ne restassero scandalizzati. Yeshùa risponde anche: “Se sapeste che cosa significa: "Voglio misericordia e non sacrificio", non avreste condannato gli innocenti” (Mt 12:7). Non sono degli atti legalistici a stabilire la colpevolezza o l'innocenza di un uomo davanti a D-o.

    Scusa Negev, devo andare. Ti risponderò anche agli altri esempi che hai portato.
     
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    Continuo la mia risposta. Se mettiamo insieme le parole di Yeshùa di Mt 12:7 e le altre in un contesto e le esaminiamo tutte insieme, ci accorgeremo come Yeshùa, di fatto, non stia mettendo in dubbio certe tradizioni, né stia affermando che esse possano essere anche tralasciate, ma stia dando agli accusatori dei suoi discepoli degli ipocriti:

    1. I discepoli “strappavano delle spighe e, sfregandole con le mani, mangiavano il grano” (Lc 6:1), e vengono accusati in base ad una tradizione.
    2. Yeshùa risponde che anche Davide e i suoi mangiarono “i pani di presentazione che non era lecito mangiare né a lui, né a quelli che erano con lui, ma solamente ai sacerdoti”(Mt 24:4; Lv 24:9) — e che venivano preparati “di sabato in sabato” (1Cron 9:32) pur non essendo consentito, di sabato, fare alcun lavoro — in base alla tradizione che permetteva al cohen di donare ai poveri i pani che rimanevano.

    Dunque, da una parte i discepoli di Yeshùa erano colpevoli di aver violato il sabato per una certa tradizione che non consentiva neppure di sfregare alcune spighe con le mani, dall'altra Davide e il cohen erano innocenti per la tradizione che consentiva al cohen di dare ai poveri ciò che era destinato solo a lui. Alla fine, risponde: “Se sapeste che cosa significa: "Voglio misericordia e non sacrificio", non avreste condannato gli innocenti”, citando Os 6:6.

    Se esaminiamo le parole di Yeshùa attentamente nel contesto, sarà più facile capire il ragionamento sulla base del quale egli prende posizione in difesa dei suoi discepoli.

    Edited by bgaluppi - 19/12/2017, 08:04
     
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    Da tutto ciò, mi pare di capire che Yeshùa non agisse strettamente in base alle tradizioni o ad un'obbedienza esteriore e meccanica, ma piuttosto in base al buon senso e ad un'interpretazione più profonda della Torah. Mi sembra che lui insegnasse che nell'obbedienza non conta tanto il quanto, ma il come. Se ci basiamo sul concetto per cui o si obbedisce a tutto o a niente, qual'è l'uomo che può dire di aver messo in pratica correttamente tutte le 613 mitzvot? Se esistesse un tale uomo, sarebbe il Messia, poiché è detto: “Spirito di saggezza e d'intelligenza, spirito di consiglio e di forza, spirito di conoscenza e di timore del Signore.” (Is 11:2). Ma dubito che un uomo del genere si soffermerebbe su certi cavilli legalistici. Mi pare che Yeshùa, in molti suoi discorsi e atti, volesse insegnare la differenza tra un'obbedienza conforme alla Perfezione e una conforme all'aspetto esteriore, nel senso che non esiste vera obbedienza se non quella interiore, che rivela una intelligenza (da intelligere), una comprensione ed un'attualizzazione profonda dell'insegnamento di D-o. Che vuol dire “santificatevi dunque e siate santi, perché io sono santo”, che D-o ripete più volte (Lv 11:44,45; 19:2;20:26)? Che si deve essere ligi alla tradizione in modo ottuso e meccanico? O che bisogna attualizzare la "conoscenza di Dio", obbedendo non secondo il quanto, ma secondo il come? A cosa giova l'obbedienza esteriore, se nel mio intimo non comprendo l'importanza della purezza a cui D-o chiama i suoi? Per questo D-o, tramite il profeta, dice: “Che m'importa dei vostri numerosi sacrifici?” e “imparate a fare il bene; cercate la giustizia” (Is 1:11,17). Cos'è la vera giustizia, per D-o? Il profeta non condanna il sacrificio, condanna l'ipocrisia dell'uomo che, nella sua impurità interiore, pensa che basti un atto esteriore e meccanicamente ripetuto più volte per renderlo giusto davanti a Dio. Yeshùa insiste esattamente sulla stessa cosa.

    Nello specifico del sabato, la Torah non dice che il comandamento "ama il tuo prossimo come te stesso" (il prossimo è colui che è "vicino" in termini di spazio) non sia applicabile di sabato se non in presenza di una situazione in cui una vita è in pericolo. Sta a noi comprendere e attualizzare il significato profondo di certi insegnamenti. Faccio un esempio. In giorno di sabato trovo un uomo debole e in preda alla fame in un angolo della strada. Se posso aiutarlo solo se è in pericolo di vita, a meno che io non sia un medico, come potrò valutare se quell'uomo sia in pericolo di vita o meno? Non posso. Allora ho due possibilità: o gli preparo qualcosa da mangiare e lo sfamo, adempiendo la mitzvà "amerai il tuo prossimo come te stesso" e le parole del profeta "perché Io desidero misericordia, non sacrifici, e conoscenza di D-o più che olocausti", oppure lo lascerò lì affamato per non rischiare di violare il sabato in base alla tradizione. In quale occasione avrò fatto la volontà di D-o? È questo il senso della parabola del buon samaritano, che nel caso di Yeshùa può essere applicata anche al sabato, in quanto disse: “È lecito fare guarigioni in giorno di sabato?”.

    Nel caso specifico di Mt 12, dunque, Yeshùa non vuole entrare in una diatriba dottrinale, ma mettere in risalto l'ipocrisia degli accusatori, che usano la tradizione a loro uso e consumo senza valutare in profondità l'insegnamento della Torah. Di sabato non può essere fatto alcun lavoro, ma certi lavori si, come nel caso della preparazione dei pani e altri lavori inerenti il rito; i pani sono destinati unicamente ai sacerdoti (questo dice la Torah), ma Davide ne mangiò in base alla tradizione che consentiva di offrire il rimanente ai poveri; la tradizione consentiva, giustamente, di sfamare i poveri con i pani dell'offerta rimanenti, ma non di sfamare qualcuno in giorno di sabato con pochi chicchi di grano raccolti nella mano. Allora, cosa è giusto fare davanti a D-o? È giusto obbedire, ma bisogna capire come obbedire.
     
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    CITAZIONE (bgaluppi @ 18/12/2017, 15:34) 
    Ciao Negev. Dici:

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    il Nazareno si discostava enormemente dalla tradizione

    Verissimo, dalla tradizione. Infatti, la norma sul divieto di raccogliere spighe di grano è codificata dalla tradizione (se non ricordo male, esistevano anche scuole di pensiero diverse sulla modalità di raccolta), non dalla Torah. Certo, la torah orale va di pari passo con quella scritta, ma c'è da chiedersi: qual'è il principio profondo dello shabbat? Davvero raccogliere due spighe costituisce una violazione? Forse per gli uomini, ma per D-o? Io credo che le parole di Yeshùa, riportate da scarni resoconti scritti in greco in un mondo dominato dal paganesimo, vadano lette andando un po' "oltre". Yeshùa, praticamente, non sosteneva che il sabato non andasse rispettato, ma che il modo in cui veniva tradizionalmente rispettato non era conforme al profondo significato dello shabbat. Questo, naturalmente, costituisce una grossa presa di distanza dalla tradizione, ed è comprensibilissimo che i maestri del tempo ne restassero scandalizzati. Yeshùa risponde anche: “Se sapeste che cosa significa: "Voglio misericordia e non sacrificio", non avreste condannato gli innocenti” (Mt 12:7). Non sono degli atti legalistici a stabilire la colpevolezza o l'innocenza di un uomo davanti a D-o.

    Scusa Negev, devo andare. Ti risponderò anche agli altri esempi che hai portato.

    le regole dell'osservanza sono una legislazione di nazione come tutte le legislazioni non possono essere cambiate, se non da un organismo superiore a quello che le ha promulgate.
    strappare le spighe è perfettamente lecito se vi è assoluta urgenza e necessità per la vita. totalmente inutile se questa condizione non vii è. Le leggi sono leggi e non si cambiano solo perché non siamo d'accordo. Ognuno è libero di osservare o non osservare, ma un maestro non può dare un esempio negativo e immotivato, né giustificare l'infrazione, laddove non si presenti l'assoluta necessità o il pericolo di vita. Non è il raccogliere che costituisce l'infrazione, ma la trasformazione della materia.
    la citazione che riporti è del profeta Oshea. ma quali sarebbero gli innocenti condannati? Per condannare occorrono un processo, due testimoni oculari, non parenti o collegati tra di loro né con l'imputato e qui non vedo nessuna condanna né innocenti E' una delle solite affermazioni evangeliche gratuite e fuori luogo, che mirano a screditare e disprezzare i maestri farisei che erano tutt'altro (nella vera storia di Israele e non nei Vangeli) che i falsi ipocriti e malvagi di cui si parla.
    inoltre le regole dello Shabbat valgono per gli ebrei esclusivamente, quindi i pagani e tutti i non ebrei non devono affatto osservarle.

    PS: si dice "Yeshuàh" (salvezza) e non Yeshùah
     
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