La Kabballàh e il suo studio, fra pericoli e fraintendimenti

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    אריאל פינטור

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    La Kabballàh e il suo studio, fra pericoli e fraintendimenti

    Kabballàh (ebr. קבלה) significa ricezione ed implica l’idea di una trasmissione orale passiva, in cui un discepolo riceve una conoscenza dal suo Maestro.
    Kabballàh è il nome con cui si intendono tutta una serie di insegnamenti della mistica ebraica, antichi e moderni, in particolare a partire dal secolo XII.
    Già dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme, nel 70 a.e.v., sorsero varie sette mistiche e movimenti di tipo esoterico.
    Date alcune caratteristiche: la difficoltà degli argomenti, il simbolismo, cognizioni di base estremamente precise ed i rischi di fraintendimento e di degenerazione, il numero degli allievi e l'età di coloro ai quali è permesso di entrare a conoscenza dei segreti ebraici della Toràh, sono stati limitati con una selezione e sono state definite le qualità necessarie, richieste dai Maestri.
    Spesso però non sono stati rispettati questi criteri di selezione, nonostante il fatto che gli stessi kabbalisti li avessero ribaditi con una certa enfasi. L’evento che permise la divulgazione della Kabballàh, anche presso coloro che non erano in possesso delle qualità richieste, fu l’invenzione della stampa.
    Allo stesso tempo, anche il mondo dei Gentili, nei secoli, ha mostrato un vivo interesse alla mistica ebraica, con conseguenze discutibili.
    Malgrado ciò, per quanto riguarda l’accesso allo studio di due importanti settori della Kabballàh: “Chochmat haziruf” e “Kabballah ma’assit”, sono stati quasi sempre rispettati i confini stabiliti.

    “Chochmat haZiruf“ (Sapienza della conglomeranza), detta anche “Torat haShemot” (insegnamento o materia dei nomi) è la materia che si occupa dello scambio delle lettere nei nomi e nelle parole, per poi ricomporle in termini nuovi che rivelano significati nascosti.

    La “Kabballàh Ma’assith” (Kabballàh pratica) consiste nell’uso dei nomi divini, i quali producono forze occulte, procurando all’uomo del bene e dei vantaggi nel mondo pratico, reale. Il mondo fu creato per mezzo dei nomi divini con un preciso ordine. Cambiando quest’ordine la “ Kabballàh Ma’assit” produce all’uomo un nuovo ambiente di vita, più adatto alla sua persona e più vantaggioso.

    Con Kabballàh, anticamente si intendeva una tradizione orale che conteneva segreti mistici. Essa si tramandava da padre in figlio o dal Maestro, al migliore degli allievi, al talmid il più cacham.
    Il termine ha poi assunto diversi significati nel corso dei secoli.
    Nella letteratura talmudica con “Kabballàh” si intende la Torah Orale e l’insieme delle profezie. Dopo il periodo talmudico, questo termine ha designato esclusivamente la Toràh Orale.
    Dal XII secolo in poi, con questo nome si è intesa la “Torath hasod” (insegnamento del segreto) e la “Chochmàt haNistar” (sapienza del nascosto), espressa con la sigla “חן”.

    La Kabballàh si fonda principalmente su due argomentazioni di carattere mistico molto antiche che pongono le loro radici nella Toràh, nei Profeti e nel Talmud:

    1) “Ma’assè Bereshit” (opera del principio o della creazione) che è la descrizione della Creazione.
    2) “Ma’assè Merchavà” (opera del Carro), il carro divino del sogno profetico di Ezechiele, che tratta delle dinamiche endo-divine.

    La prima opera secondo un meccanismo di discesa, che va dal divino in direzione dell’umano, dell’Uno, Assoluto, Indifferenziato, al molteplice, al variabile, al differenziato e al particolare.
    La seconda opera secondo un meccanismo ascensionale, di elevazione progressiva del mistico, attraverso vari gradi di conoscenza e di comprensione delle dinamiche della Divinità.

    Queste due argomentazioni, secondo la Kabballàh, nascondono le risposte a tutti gli arcani dell’esistenza: della vita e della morte e della sorte dell’uomo spesso controversa, che si esprime con la domanda:
    “per quale ragione vi sono giusti che subiscono il male durante la loro vita e malvagi che invece paradossalmente godono il bene?”. Il problema del male sul quale da sempre l’umanità si è interrogata.
    Questa domanda è parte di un importante dibattito talmudico (Berachot 7a), di cui tratteremo più in là, nella conclusione.
    In modo del tutto speciale la Kabballàh tratta il tema della gestione globale della giustizia divina e di quando avrà luogo la fine delle sofferenze umane.
    Essa tenta di dare le risposte alle domande che hanno sempre assillato l’uomo, sin dall’alba della storia.
    L’uomo vede il mondo molto bello e allo stesso tempo molto complicato. Egli vuole sapere come esso si è formato. La comparsa dell’uomo sulla Terra è cosa meravigliosa e richiede delle spiegazioni:
    Come fu creato il mondo? In che modo? Ma D-o è infinito? E se D-o è infinito perché il mondo è finito? Quale deve essere la relazione fra l’uomo e D-o? E quale è lo scopo dell’esistenza dell’uomo? Dato che D-o è buono, come mai c’è il male sulla terra?
    Questa è solo una parte delle domande cui la Kabballàh tenta di rispondere metodologicamente. Ciononostante, le risposte non possono avvenire attraverso un metodo strettamente razionale, in quanto l’intero metodo si basa su presupposti che è impossibile provare con la logica della verità.

    La Kabballàh non consiste in uno studio vero proprio, ma in un’esperienza mistica, personale, molto profonda, che è legata all’innalzamento del cuore e dell’anima, per il cui raggiungimento è necessario adeguare il proprio essere ad una vita pura, fatta di intenzioni pure.
    Molti saggi di Israel si occuparono di Kabballàh, che essi chiamavano anche “Sitrè Toràh” (misteri della Toràh) nonostante il fatto che, in epoche diverse e in particolari situazioni, occuparsi di Kabballàh sia stato spesso controverso, a prescindere dalle qualità richieste.
    Nei momenti in cui il popolo conosceva sempre meno la tradizione ebraica, ancor meno risultava adatto ed adeguato ad esso lo studio dei segreti della Toràh.
    Ci sono stati infatti periodi di decadimento, nella storia del popolo ebraico, in cui fu abbandonato il consueto studio intensivo della Toràh.
    La spada tratta della diaspora, che lo ha inseguito in tutto il suo cammino, gli ha spesso causato questa grave ferita.
    Lo studio della Kabballàh, nei periodi di crisi della conoscenza, fu come un rifugio ed una consolazione per i fedeli; ma mancava loro la base adatta alla sua comprensione. L’influenza dell’ambiente, dove era dominante e spesso imponente il culto straniero, ha prodotto delle concezioni distorte dell’Ebraismo, con decadimento verso forme di superstizione, derive gnostiche, eresie, avodah zarà.
    Ad esempio, a partire dal XVII secolo dell’e.v., si è assistito a forme di degenerazione e la letteratura è ricca di storie e di racconti di guaritori, portatori di amuleti e dispensatori di “prodigi”.
    Questo fenomeno, è chiaramente individuabile in determinate condizioni storiche che per differenti motivi: povertà, decentramento, persecuzioni, avevano allontanato il Popolo d’Israel da quello studio che lo ha sempre accompagnato e caratterizzato nei millenni. E’ significativo il fatto che, nel mondo sefardita, più integrato, più ricco di tradizione filosofica e letteraria, talvolta mutuata anche dal mondo arabo e greco-latino, il fenomeno dei “Baa’lè haShem itineranti, non si sia verificato, a testimonianza che la miglior medicina per restare saldi nella fede e nella tradizione, è lo studio.
    Un altro esempio di queste distorsioni fu l’angelologia che, gradualmente, ha sempre più assunto le sembianze delle concezioni angelologiche caratteristiche del culto straniero, che vede gli angeli accanto alla divinità, come esseri spirituali separati da essa.
    Si potrà obbiettare che queste figure sono presenti nella letteratura ebraica, ma occorre chiarire bene il concetto ed il significato di una certa terminologia.
    Il Talmud ed il Midrash insegnano spesso con parabole e sviluppano un’ermeneutica che spesso corre il rischio di essere fraintesa, se non si conoscono le giuste chiavi interpretative. Spesso, nelle parabole, gli oggetti inanimati e i concetti astratti acquistano vivamente il dono della parola. Questo metodo didattico può trarre in inganno, specialmente se a parlare sono i mal’achim, gli "angeli", dando luogo ad una serie di fraintendimenti ed incomprensioni di una certa entità, ostacolando così lo studio, anche delle cose più elementari. Nel periodo talmudico, persisteva una continua e dura lotta contro una concezione dei mal’achim intesi come personalità proprie, dotate di libero arbitrio e entità separate dalla Divinità.

    Noi riteniamo sia della massima importanza comprendere bene il concetto e significato di "angelo" ebraico, non solo per la comprensione del Talmud, ma soprattutto per la comprensione della Kabballàh, nonché di concetti kaballistici molto profondi, anche e soprattutto in relazione al mondo nel quale viviamo, dove la religione ebraica è minoritaria e con il quale, giocoforza, interagiamo.
    E’ necessario restituire al termine mal’ach il vero antico significato, che venne offuscato a partire dall’avvento della prima diaspora, fino a raggiungere, in certi ambienti, una vera e propria eresia, che minava l’antico e rigido monoteismo ebraico.
    Già nel Talmud Yerushalmi (Rosh haShannàh 56,d) i Cachamim si sentirono in dovere di far notare che i nomi dei mal’achim e dei mesi dell’anno, sono di origine babilonese e quindi non una pura originalità ebraica. Poiché un nome proprio di persona sta a designare una personalità definita, con una volontà propria, da qui può nascere l’equivoco. Con ciò i saggi hanno voluto dirci che, come per i nomi dei mesi, anche i nomi degli angeli pongono le loro radici nel culto straniero dell’antica Babilonia.
    Anticamente il mal’ach designava un individuo od un evento che svolgeva un compito che gli era stato affidato: l’infelice traduzione in greco “aggelos” della Sepuaginta, ha contribuito non poco a perpetuare il fraintendimento all’esterno del mondo ebraico.
    Nel Tanach il termine mal’ach non designa univocamente un’emanazione divina. Questo termine è anche spesso usato per designare emissari umani con incarichi da svolgere, i cui mandanti possono essere sia umani, sia la Divinità. Anche la locuzione “mal’ach HaShem”, usata notoriamente per designare un’emanazione divina, è applicata anche al Cohen haGadol (Malachi 2:7) ed ai Profeti. Ad esempio, il profeta Chaggai è chiamato con l’appellativo: “mal’ach HaShem” (Chaggai 1:13).
    In Bereshit Rabbàh, Parashat Wayerà, i profeti Shem ed Ever sono chiamati mal’achim.

    Rambam, nel Morè Nevuchim (Guida dei Perplessi), dà una spiegazione molto suggestiva ed allo stesso tempo illuminante del concetto di angelo, inteso come emanazione della Divinità. Data la sua semplicità di esposizione, diamo a lui la parola:

    " Tutte le forze sono angeli! Come sono ciechi gli ingenui! Se dici a qualcuno che pretende di essere un saggio d'Israele che Dio ha mandato un angelo che è entrato nell'utero di una donna e qui ha formato un embrione, lui crederà che si tratti di un miracolo e lo accetterà come un segno della maestosità e della potenza di Dio; e anche se egli crede [erroneamente] che un angelo sia un corpo di fuoco grande come la terza parte del mondo intero, tutto ciò gli sembrerà possibile per Dio.
    Ma se gli dici che Dio ha posto nello spermatozoo la potenza di formare e di definire gli organi, e che quindi è questo il vero angelo , allora egli si stupirà. [....] La persona ingenua infatti non comprende che la vera maestosità e la vera potenza stanno nel riuscire a far esistere delle forze che agiscano pur non essendo percepite dai sensi. [....]
    I Saggi ci rivelano che anche la facoltà [umana] dell'immaginazione è chiamata angelo; e la mente è chiamata cherubino".
    (Guida dei Perplessi 2,4 ; 2,6).

    Non si può fare a meno di notare che, dalle parole di Rambam, scaturisce un pesante rimprovero, addirittura contro i saggi di Israel, che avevano abbandonato le pure e tradizionali interpretazioni.
    Per certi versi, in certe circostanze, pare che l’Ebraismo non sempre sia univoco e coerente con la tradizione classica, sull’argomento della vera natura degli angeli. Alcuni saggi paiono proprio ragionare in termini chiaramente idolatrici. Con questa concezione erronea, non ebraica, non è affatto possibile comprendere insegnamenti molto profondi, per esprimere i quali, è necessario ricorrere all’uso di simboli, che parlano ed operano ed è necessario chiarire che si tratta solo di un linguaggio figurato a scopo didattico, non dissimile da quello che si adopera nelle favole per bambini, che ha solo lo scopo di far comprendere un concetto in termini più accessibili o, analogamente, all’artifizio di ricorrere agli antropomorfismi, allorché si descrive un’azione o una prerogativa divina.

    Nei libri apocrifi, nel Midrash e nel Talmud leggiamo spesso di trattazioni e spiegazioni sui segreti della Creazione. La letteratura kaballistica più antica a noi conosciuta è la “Sifrut haHecalot” che è attribuita ai Tannaim come Rabbi Akiva, Rabbi Ishma’el ben Elisha e i loro discepoli.
    Questa letteratura si occupa di vari strati del cielo che prendono il nome di “Hechalot” . I kaballisti, nelle loro esperienze mistiche, percepivano di salire al cielo nei suoi vari strati e incontravano classi di “angeli” (potremmo definirli quali una sorta di controllori del livello di adeguatezza spirituale e culturale di colui che affrontava l’esperienza mistica) e alla fine erano felici di essere stati premiati con il raggiungimento del grado superiore del Trono della Gloria.

    Fino al X secolo, sono stati composti vari libri di Kabballàh, di cui ignoriamo gli autori, come ad esempio: Sefer Shiur Komà, Sefer haBahir, Sefer haKannè.
    Vi sono poi composizioni attribuite ad Adam haRishon come “Sefer Raziel haMal’ach” o ad Avraham Avinu, “Sefer Yezira”, che si occupa della Creazione del mondo, secondo le combinazioni delle 22 lettere dell’alfabeto ebraico (32 sentieri di sapienza: 10 sefirot + 22 lettere, 3 madri, 7 doppie, 12 semplici).
    (i critici moderni hanno stabilito date diverse da quelle tradizionali, nell’arco del periodo del medioevo)

    Lo sviluppo della “Chochmat haNistar” in Eretz Israel pone le sue radici a Babilonia nel periodo dei Gheonim.
    Rav Saadia haGaon compose un commento al Sefer Yetzirà, che si occupa della creazione del mondo e della sua esistenza per mezzo delle sefirot.
    Questo libro ha avuto una grande influenza e contribuì in modo particolare allo sviluppo della Kabballàh.
    Quando cessò di esistere il centro di studi ebraici di Babilonia, la “Torat hasod” fu portata nel Nord Africa e perfino in Europa.
    I movimenti chassidici ashkenaziti nel nord della Francia e in Germania svilupparono un metodo diverso e separato. Anche in Provenza vi fu un grande interesse alla “Chochmàt haNistar”. Fu proprio in questa regione che si udirono le prime testimonianze sul Sefer haBahir, uno fra i libri più importanti che i kabbalisti facevano risalire al tana Nachunia ben haKannè.

    La composizione di opere kaballistiche dei chassidim ashkenaziti del nord della Francia e della Germania, nei secoli XI e XII, si incentrava sulla “Toràth haCavanot” (insegnamento delle intenzioni), ovvero sulle intenzioni e sulle concezioni mistiche della preghiera, il cui scopo è quello di portare il “Tikkun ‘Olam” e la “Gheulà” nel mondo.

    Anche in Spagna vi fu un grande interesse per la Kabballàh e una particolare influenza soprattutto dovuta a Ramban (R. Moshè ben Nachman), il quale scrisse un commento al Sefer Yetzirà, che, come detto, è uno dei libri fondamentali della tradizione mistica. Egli contribuì anche in modo particolare alla divulgazione del Sefer haZohar.

    Nel secolo XIV, la Kabballàh divenne l’insegnamento generale e metodologico presso la città spagnola di Gerona.
    Il libro più importante del periodo, fu proprio il Sefer haZohar, che fu scoperto e portato a conoscenza da Rabbi Moshè de Leon, il quale lo attribuì al tana Rav Shimon bar Yochai. Questo libro, che è un midrash dei segreti mistici, è scritto in aramaico e organizzato secondo le parashot della lettura sinagogale. Esso è stato ritenuto sacro nella diaspora, a partire dall’espulsione spagnola.

    Il Sefer haZohar è diviso in tre parti principali:

    1) Sefer haZohar al haToràh
    2) Tikkunè haZohar
    3) Zohar Chadash

    Quest’ultima parte, lo Zohar Chadash, contiene gli articoli dei kaballisti di Zfat, che scrissero dopo la stampa del Sefer haZohar e commenti allo Shir haShirim.
    Nonostante la dubbia origine, questo libro divenne uno dei fondamenti della Kabballàh e furono escogitati vari metodi di studio e chiarimenti esplicativi. Esso ispirò molte altre composizioni di cui esso è il fondamento. Fu tradotto in molte lingue, oltre che in Ebraico: Latino, Inglese, Tedesco e Francese.
    Molti aspirarono al suo studio, sperando di trovare risposte alle sofferenze dipendenti dalla diaspora, risposte sulla speranza della salvezza finale e sulla rivelazione del tempo della fine. Molti di questi “aspiranti” operarono anche, secondo un’antica concezione espressa già nel Talmud, per l’avvicinamento della Gheulà, con mezzi spirituali e mistici.

    Il periodo fiorente della Kabballàh ha raggiunto il suo massimo apice nel XVI secolo nella città di Zfat, nelle composizioni di Rabbi Moshè Cordovero, Ari haKadosh (r. Izchak Luria), Rabbi Shelomo Alkabez, Rabbi Yosef Caro ed altri.
    I saggi residenti a Zfat, guidati da Ari haKadosh (r. Izchak Luria) apportarono una vera e propria rivoluzione della Kabballàh, dando luogo ad una nuova scuola. Adottarono un nuovo metodo, il quale trasformò radicalmente lo studio. Questo, che in principio consisteva sostanzialmente nella1 sola lettura, ora si trasformava e diveniva “Kabballàh Ma’assit” (Kabballàh Applicata).
    Secondo la “Kabballàh Ma’assit”, sono imposti al fedele ulteriori obblighi e Mizwot ‘Assè (comandamenti positivi), il cui scopo è quello di preparare e anticipare la venuta del Mashiach e il Tikkun ‘Olam.

    Il movimento messianico di Shavtai Zvi fu alimentato principalmente dalla Kaballàh di Ari. La conversione all’Islam di Shavtai Zvi fu un colpo terribile per tutto il popolo d’Israel e ciò portò a restringere ancor più le permissioni allo studio intensivo della Kaballàh, perché ritenuto pericoloso.

    La Torat haZimzum, che significa “insegnamento della compressione”, insegna che D-o si comprime (figurativamente) per far posto all’Universo fisico. Da questa “contrazione”, Egli libera da Sé le 10 sefirot e, per mezzo di esse, crea il mondo e lo domina. Le sefirot sono legate l’una all’altra come una fiamma al suo stoppino ed ognuna di esse ha uno scopo particolare. Tutte insieme divengono una catena che lega il mondo a D-o. Ogni sefirà ha un nome che la contraddistingue, nonostante si scorgano delle differenze nell’uso dei nomi che compaiono nei diversi testi kaballistici ove esse sono discusse.

    Uno dei concetti fondamentali del Sefer haZohar è la cognizione delle 10 Sefirot, che sono la rivelazione dell’operato e del modo di agire della Divinità. Sette di esse rappresentano l’agire nei mondi superiori mentre le altre tre rappresentano l’agire nel nostro mondo fisico. Con queste 10 sefirot D-o creò il mondo.
    In una prima fase, che precedette la creazione del mondo, D-o usò le prime tre, chiamate: Da’at (o keter), Chochmàh e Binàh (da queste la sigla “חבד” che è il nome del movimento chassidico Chabbad); successivamente si servì delle altre sette nel corso della Creazione del mondo. Nel primo giorno: adoperò Chesed; nel secondo Ghevurà, nel terzo Tiferet; nel quarto Nezach; nel quinto Hod; nel sesto Yessod e nel settimo Malchut.
    Queste corrispondono anche ai corpi celesti: Saturno (Chesed), Giove (Ghevura), Marte (Tiferet), Sole (Nezach), Venere (Hod), Mercurio (Yessod) e Luna (Malchut).

    Le sefirot si uniscono e si compongono in gruppi propri e dalla quinta sefirà (ghevurà) escono le forze del male.

    La “Sitra Achara” (aramaico: l’altro lato) rappresenta l’opposizione al bene e la forza del male nel mondo, specialmente il male intenzionale. Secondo lo Zohar, il male non ha una personalità propria e nemmeno una forza propria.
    La Sitra Achara si nutre delle sefirot Ghevurà e Malchut da cui trae tutta la sua forza.

    Quando l’uomo pecca, la sefirà di nome Ghevurà acquisisce potenza e crea altro male nel mondo. Il compito dell’uomo è quello di riparare il male che si è inserito nel mondo, compiendo le opere buone, con delle buone qualità morali.
    Quando l’uomo compie la volontà di D-o, le opere buone salgono a D-o per mezzo delle altre sefirot, le quali sono anche usate per premiare l’uomo.
    Il corpo dell’uomo è concepito come il vestito dell’anima. Questa torna a D-o dopo la morte del corpo, laddove essa vi si trovava in origine, prima della nascita. Questa concezione deriva da un antico insegnamento talmudico, secondo il quale tutte le anime degli umani furono create contemporaneamente prima della creazione del mondo ed esse vengono rilasciate nel mondo, nel corso della storia con la nascita del corpo che le riveste.
    Secondo una nuova dottrina della Kabballàh, l’anima che non porta a compimento la sua missione, viene rimandata indietro nel mondo più volte, fino a quando non abbia conseguito lo scopo per cui fu mandata: il raggiungimento della perfezione. Questa idea tenta anche di spiegare le morti premature, in modo però sostanzialmente diverso da quello tradizionale talmudico. Queste concezioni sono l’origine ed il fondamento della Dottrina della Reincarnazione.

    Gli insegnamenti della Kabballàh essendo molto complicati, richiedono un impegno particolare ed una base pre-acquisita dalle fonti principali della tradizione ebraica: Tanach, Mishnà, Ghemarà e Halachàh.
    Lo studio della Toràh è un obbligo per l’ebreo ma, a chi non ha ancora compiuto gli studi di base, che costituiscono una sorta di iniziazione, non è richiesto lo studio della Kabballàh e dei suoi segreti. Oltre questi indispensabili pre-requisiti, bisogna raggiungere una esperienza di vita ed un’età adatta a compensare gli squilibri psicologici che alcuni di questi insegnamenti potrebbero causare.
    Entrare infatti in questi profondi significati, potrebbe comportare certi pericoli. Infatti, alcuni di questi profondi insegnamenti si basano proprio sul funzionamento della mente, sulla relazione fra ragionamento teorico e mondo reale, sulla potenza della parola, sulla potenza del pensiero, sulla composizione del pensiero e della sua velocità.

    Per quanto riguarda la proibizione (o, a chi si addice, la permissione) di studiare o di venire a conoscenza dei segreti della Toràh, ci istruisce in primis la Mishnah:

    הוא היה אומר, בן חמש שנים למקרא, בן עשר למשנה, בן שלש עשרה למצות, בן חמש עשרה לתלמוד, בן שמונה עשרה לחפה, בן עשרים לרדוף, בן שלשים לכח, בן ארבעים לבינה

    Traduzione:
    Egli diceva: “ a 5 anni per la Mikrà (Tanach), a 10 anni per la Mishnah, a 13 anni per le Mizwoth, a 15 anni per il Talmud, a 18 anni per il matrimonio, a 20 anni per l’esercito, a 30 anni per la forza, a 40 anni per la Binà (comprensione, discernimento)”.

    Questa Mishnah del trattato Avoth (5,21) ci presenta vari gradi di conoscenza, raggiungibili dopo aver fatto delle esperienze di studio e di vita vissuta. La comprensione della Kabballàh, secondo questa scala graduale, è possibile solo all’età di 40 anni, dopo aver studiato l’intero scibile della tradizione ebraica, dopo aver fatto l’esperienza del matrimonio, dell’esercito e del lavoro.

    Ma ancor più delle nostre parole e deduzioni, ci illustra questo sunto halachico del Kizur Shulchan Aruch, che riportiamo in ebraico, (di seguito riportiamo anche la nostra traduzione):


    כ. אף על פי שערך לימוד הקבלה נשגב מאד ליראי ה' ולחושבי שמו, ואין ערוך אליו,
    מכל מקום כל זה בתלמיד חכם אשר יראת ה' היא אוצרו, וכבר מילא כרסו בש"ס ובפוסקים. בעיון זך וטהור, לאסוקי שמעתתא דהלכתא, ובקי בהלכות הנהוגות אשר יעשה אותם האדם וחי בהם. ולא טוב עושים אותם דרשנים הדורשים ברבים בסוד השי"ת, ויש שם אנשים שאינם הגונים להבין את הדברים על בוריין, שלא יתכן שאדם שלא למד כל הצורך בש"ס ובפוסקים, ואינו בקי בכל הדינים, שילך לגדולות ממנו וגם מי שזכה ועוסק בתורת הניסתר, לאחר שנעשה בקי בכל הש"ס כולו, לא יסיח דעתו מלימוד השס והפוסקים. ובודאי שמי שאינו נשוי, או שאינו למעלה מעשרים שנה, שאסור לו ללמוד תורת הניסתר.

    הלכה בקיצור שולחן ערוך חלק ב' מהלכות תלמוד תורה סימן רמה,רמו

    Traduzione:
    Sebbene lo studio della Kabballàh abbia un valore molto alto presso i timorati di D-o e presso coloro che onorano il suo nome e che esso non ha prezzo; in ogni caso, tutto ciò si addice al discepolo saggio, per il quale il timore di D-o è il suo tesoro ed ha già “riempito il suo ventre” di Talmud e di normativa halachica; con un occhio di riguardo chiaro e puro per uno studio della Toràh per fini pratici ed esperto di halachot riconosciute “per la cui osservanza l'uomo vivrà per esse”.
    Non fanno bene quegli insegnanti che predicano in pubblico i segreti di Hashem, Benedetto Egli sia, perché ci sono persone incapaci di capire a causa della loro ignoranza; poiché è inconcepibile che qualcuno che non abbia studiato tutto il necessario dal Talmud e dalla halachàh, inesperto di tutte le norme, che vada ad occuparsi di cose più grandi di lui. Ma anche chi ha avuto la grazia di occuparsi della Torat haNistar, dopo che è divenuto esperto in tutto il Talmud nella sua completezza, non distolga il pensiero dallo studio del Talmud e delle halachot. E a maggior ragione chi non è sposato o che non abbia più di venti anni, gli è proibito studiare Torat haNistar.

    La seguente Mishnà del trattato Chaghigàh (2,1) ci illustra la modalità di studio delle tre argomentazioni più complesse della Toràh. Due di questi insegnamenti,“Ma’assè Bereshit” e “Ma’assè Merchavà”, come detto inizialmente, costituiscono la base della Kabballàh, intesa come la trasmissione di un insegnamento orale antico:

    אין דורשין בעריות בשלושה, ולא במעשה בראשית בשניים; ולא במרכבה ביחיד, אלא אם כן היה חכם ומבין מדעתו

    Traduzione:
    Non si danno spiegazioni sulle proibizioni sessuali a tre, né sul Ma’assè Bereshith a due, né sulla Merchavà da solo, a meno che non sia saggio, da comprendere da solo.

    Da ciò si evince che, per comprendere queste importanti e complicate argomentazioni, sono necessarie delle speciali lezioni private, dove all’allievo è richiesto il massimo impegno e concentrazione.

    Inoltre:
    כל המסתכל בארבעה דברים ראוי לו כאילו לא בא לעולם מה למעלה מה למטה מה לפנים ומה לאחור וכל שלא חס על כבוד קונו ראוי לו שלא בא לעולם

    Chiunque guarda [queste] quattro cose è meglio per lui come se non fosse mai venuto al mondo:
    Cosa c’è sopra.
    Cosa c’è sotto.
    Cosa c’è davanti.
    Cosa c’è dietro
    e ogni cosa che non da onore al suo Padrone.

    Secondo Rambam “sopra” e “sotto” sono rispettivamente lo spazio interstellare e il sotto terra; mentre “avanti” e “dietro” sono il periodo prima della creazione e quello dopo la fine del mondo.

    Rambam spiega che chi si occupa di queste quattro cose, ovvero dei segreti della Toràh, senza aver prima studiato quanto richiesto, non ha riguardo per la propria mente, perché la mente dell’uomo rispecchia la Gloria di HaShem che creò l’uomo a Sua immagine. “L’immagine e la somiglianza” consistono infatti nel dono della “ragione”.

    “Come se non fosse mai venuto al mondo” significa che è scomparso dall’umanità ed è divenuto come gli animali, ai quali basta la semplice esistenza, più che l’essere uomo, che ha il dono della ragione.
    Poiché ha voluto imparare nella maniera inadatta e non secondo il metodo di studio richiesto.

    Ma la complessità dell’apprendimento dei segreti della Toràh non riguarda esclusivamente gli iniziati. Anche alcuni grandi saggi del Talmud incontrarono grandi problematiche.

    Quattro dei maggiori saggi di Israel “entrarono” per occuparsi dei segreti della Toràh, ma uno solo di essi “entrò in pace e ne uscì in pace”. Degli altri è detto che uno morì, uno impazzì ed il quarto, divenne eretico.
    Questo racconto fu soggetto a numerose interpretazioni nel corso degli anni. Tali interpretazioni erano incentrate non solo sulla possibilità di entrare nel Pardes, il mondo della comprensione di arcani, ma anche e soprattutto, focalizzavano il problema del pericolo dell’eresia che corre chi si presta ad entrarvi, se non è stato adeguatamente iniziato.
    La versione originale di questo noto racconto talmudico, riportato nel Sefer haZohar e in altri testi cabalistici, seppure con piccole differenze, è del trattato talmudico di Chaghigà (14b), che riportiamo:

    ת"ר ארבעה נכנסו בפרדס ואלו הן בן עזאי ובן זומא אחר ורבי עקיבא אמר להם ר"ע כשאתם מגיעין אצל אבני שיש טהור אל תאמרו מים מים משום שנאמר דובר שקרים לא יכון לנגד עיני בן עזאי הציץ ומת עליו הכתוב אומר יקר בעיני ה' המותה לחסידיו בן זומא הציץ ונפגע ועליו הכתוב אומר דבש מצאת אכול דייך פן תשבענו והקאתו אחר קיצץ בנטיעות רבי עקיבא יצא בשלום

    Traduzione:

    Ripetevano i maestri: quattro entrarono nel PARDES. Questi furono: Ben Azhai, Ben Zhomàh, (un) Altro e Rabbi Akiva.
    Disse loro Rabi Akiva: quando voi arriverete presso le pietre di marmo puro, non dite: “acqua acqua”, perché fu detto: “ Chi proferisce menzogne non sussisterà davanti a me”(Tehilim 101). Ben Azhai sbirciò e morì; di lui la scrittura dice: “Preziosa è per HaShem la morte dei suoi amorevoli fedeli” (Tehilim 116). Ben Zhomà sbirciò e ne rimase ferito”; di lui la scrittura dice: “hai trovato del miele? Mangiane quanto basta a te, perché tu non sia sazio di esso e non lo vomiti”. "Altro" recise nelle piantagioni. Rabbi Akiva uscì in pace.

    Secondo Rabbi Akiva, chi si addentra troppo nei segreti della Toràh corre il rischio di commettere errori di interpretazione. Di conseguenza, se questo si pone come Maestro, insegnerà anche ad altri, ripetendo i medesimi errori da lui stesso commessi. Il marmo puro, ben lucido e brillante, visto da lontano potrebbe sembrare acqua e se precipitosamente lo si interpreta come “acqua”, insegnando agli altri un insegnamento equivoco, quel Maestro verrà assimilato a “chi proferisce menzogne”. Altri due noti saggi, Ben Azhai e Ben Zhomà, non entrarono nel Pardes, ma solamente si limitarono a spiare, a sbirciare. Il primo venne addirittura incontro alla morte, sopraffatto da quel sapere, venendo a conoscenza di cose profonde senza aver prima fatto il necessario percorso. Questi, avendo portato danno solo a se stesso, venne riconosciuto come “Chassid”, un amorevole fedele. Il secondo, Ben Zhomà, ne rimase ferito perché sopraffatto da quella eccezionale bellezza, non riuscì ad assimilarla tutta. Non poté digerire tutta la sua pesantezza e impazzì. Questo saggio era molto stimato perché dotato di una eccellente capacità di insegnamento.
    Un terzo, chiamato "Altro", per evitare di ricordare il suo nome, divenne infatti eretico. Questi era Elisha ben Abuia il quale, essendo entrato nel Pardes, in quel meraviglioso mondo della comprensione, fraintese quegli insegnamenti esposti nella maniera simbolica e divenne colui che proferisce menzogne al cui riguardo, il gran maestro ‘Akiva, aveva precedentemente ben messo in guardia.

    Rabbi ‘Akiva, prima di divenire il noto maestro dotato di eccellente istruzione, fu un semplice analfabeta, pastore di pecore, ma dotato di un innato dono del giudizio. Fu questa sua innata predisposizione e la sua semplicità, nonché la sua eccellente preparazione a permettergli di gustare il mondo della comprensione di quei profondi segreti e di uscirne pienamente soddisfatto.

    Rambam intende questo noto racconto talmudico, alla maniera razionale e non alla maniera mistica come altri maestri lo compresero.
    Questi quattro saggi desiderarono studiare e conseguire ciò che è chiamata “Ma’assè Merchavà”, che egli definisce “Scienze della Divinità”.
    Rambam definisce la Matematica “Scienze preliminari” e le “Scienze Naturali”, “Ma’assè Bereshit”.
    Secondo il suo metodo razionale, se si desidera conseguire la perfezione umana, è necessario studiare: prima la Logica, successivamente le scienze preliminari, secondo il loro ordine, poi le Scienze Naturali e dopo, alla fine, è possibile accedere al grado superiore delle “scienze della Divinità”.
    Per chi si appresta a studiare le “Scienze della Divinità” o a comprendere i segreti mistici, è necessario dapprima avere una sufficiente conoscenza della Logica, della Matematica e delle Scienze naturali.
    Dei suddetti quattro saggi, solo Rabbi Akiva aveva fatto gli studi scientifici necessari per comprendere i segreti della natura e dell’agire della Divinità.
    Questo conseguire D-o attraverso la Logica e la Scienza ricorda altri quattro uomini descritti nel Midrash, i quali da se stessi raggiunsero la Sua piena conoscenza: Avraham Avinu, Giobbe, Ezechia re di Giuda e il Mashiach a venire (Midrash Rabbàh, Nasò, 14,2). Ora concentriamo la nostra attenzione sul re Ezechia, al quale questo midrash applica le seguenti parole del profeta Ishaiahu:

    “חמאה ודבש יאכל לדעתו מאוס ברע ובחור בטוב”

    Traduzione:
    Burro e miele mangerà, fino a che di conoscenza propria avrà disprezzo del male e la scelta del bene.

    Il burro e il miele sono i cibi che rappresentano l’abbondanza del nutrimento ed essi qui rappresentano tutta la conoscenza che l’uomo acquisterà attraverso lo studio e l’esperienza vissuta, prima di ottenere l’autonomo completo discernimento. E’ questa caratteristica di maturità e di equilibrio che è richiesta per accedere alla “Conoscenza della Divinità” e del Suo agire.

    Il re Ezechia era un re giusto, ma figlio del re malvagio Achazh. Un giusto figlio di malvagio, che non ha avuto il bene durante la sua vita. Condizione questa, che è il tema di una delle domande basilari cui la Kabballàh tenta di rispondere, come abbiamo precedentemente accennato.

    L’insieme delle domande di questo genere, di chi ha il bene o di chi ha il male, durante la sua vita e la relazione fra questa sorte e il suo comportamento che lo qualificano giusto o malvagio, sono dibattute nella Ghemarà, Berachot 7a, che citiamo, traduciamo e con ciò concludiamo:

    מפני מה יש צדיק וטוב לו ויש צדיק ורע לו יש רשע וטוב לו ויש רשע ורע לו
    אמר לו משה צדיק וטוב לו צדיק בן צדיק צדיק ורע לו צדיק בן רשע רשע וטוב לו רשע בן צדיק רשע ורע לו רשע בן רשע: אמר מר צדיק וטוב לו צדיק בן צדיק צדיק ורע לו צדיק בן רשע

    Traduzione:
    Per quale ragione c’è giusto che ha bene (nella sua vita) e c’è giusto, che ha male? C’è malvagio che ha bene, e c’è malvagio che ha male? Gli disse Moshè: “giusto che ha bene” è un giusto figlio di giusto. “Giusto che ha male” è un giusto figlio di malvagio. “Malvagio che ha bene” è un malvagio figlio di un giusto e “malvagio che ha male” è un malvagio figlio di malvagio. Disse Mar: “giusto che ha bene è un giusto figlio di giusto, giusto che ha male è giusto figlio di malvagio”.


    Conclusioni

    Lo scopo di questa riflessione è di apprezzare l’importanza e la grandezza degli studi mistici ma, al contempo, di evidenziare i pericoli che soggiacciono agli argomenti trattati, ai quesiti posti e alle deduzioni che ne possono conseguire.
    In tutta la letteratura, i Cachamim hanno spesso sottolineato quanto possa essere fuorviante incamminarsi per certi sentieri e, se ciò è pericoloso perfino per un talmid cacham, o per un grande Maestro d’Israel, lo è, a maggior ragione, per il meno esperto e meno sapiente, per non parlare di colui che, al di fuori degli studi ebraici, pretende di affrontare certi argomenti senza averne le strumentazioni di base, prima fra tutte la lingua ebraica.
    Inoltre, non è possibile arrivare al “sod”, se non si è entrati perfettamente nella comprensione dei livelli precedenti: peshat, remez, darash. Né è lecito pensare che il “sod” escluda e annulli la valenza dei livelli precedenti.
    Padronanza dell’ebraico e dell’aramaico, anni di studio di Tanach e di Talmud, sotto la guida di Maestri esperti, umiltà, equilibrio ed esperienza di vita pratica, osservanza delle mitzvot, sono la conditio sine qua non per affrontare gli studi kabballistici.
    In caso contrario, fraintendimento, perdita di contatto con la realtà (“La Torah viene dal cielo ma è in terra”), gravi derive eretiche e/o idolatriche e, non raramente (come si è visto) la follia, sono il punto di arrivo di uno studio sconsiderato.
     
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    אילון

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    @LvBv1983
    Leggi attentamente il post di Negev è molto meglio
    e più esaustivo di quanto ti ho risposto nel MP.
     
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    Grazie a tutti e due :)
     
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  4. TanachVangelo
     
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    Vorrei chiedere una cosa visto che si parla di kabalah. Nella Kabalah è compresa anche la gematria. Vorrei chiedere alcune cose sulla gematria:



    1) la gematria deve essere per forza ebraica? Ha valore la gematria usando altre lingue come l'italiano, il latino, lo spagnolo oppure l'inglese?

    2) nella gematria ebraica il metodo assoluto senza le sofiot finali esclude quello più avanzato con le sofiot final oppure uno non esclude l'altro e sono giusti entrambi?

    3) avrebbe senso costruire una gematria ebraica aumentando di sei in sei? per esempio: la prima lettera 6, la seconda 12 e cosi via.

    4) il numero 666 nel tanach lo troviamo associato all'oro che giungeva a Salomone. In questo contesto il numero 666 ha una valenza positiva? Al riguardo c'è qualche interpretazione rabbinica positiva?
     
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  5. Qutula
     
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    Salve,

    vorrei ringraziare Negev per il suo post esauriente ed esplicativo, una vera introduzione alla Kabballàh alla portata di dummies come me.
     
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    אריאל פינטור

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    È la mia tesi dell esame di Kabbalah al master in cultura ebraica , con Rav Benedetto Carucci Viterbi.
    È bene stare in guardia dalle derive alle quali può portare quello studio se non si posseggono strumenti di conoscenza biblica e talmudica adeguati
     
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    Consiglio preziosissimo. Anche da subito si vede come un certo tipo di speculazione "a briglia sciolta" possa portare paradossalmente "lontano". Non solo dalla Legge, am anche dalla "concretezza" del vivere.
    Se non si studia anche l'Halakha e il livello concreto dei testi ci si "perde", senza troppa metafora.
    Come avere la nave, ma non la mappa, la mappa, ma non la bussola.
    Tutti i liveli della Torah servono allo stesso modo.
    Purtroppo una vita intera, a studiare tutto, non basta.
     
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    אריאל פינטור

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    Se non si hanno solide basi di Tanach e Talmud è facile il fraintendimento la superstizione e la deriva idolatrica.
    Si può pensare che certe simbolismi e certe allegorie corrispondano a cose reali.
    Non sono pochi i casi di kaballisti usciti completamente fuori di senno.
    Per quanto mi riguarda amo il concetto EMI piace stare con i piedi a terra senza eccessi speculativi
     
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  9. forbicetta
     
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    CITAZIONE
    Il movimento messianico di Shavtai Zvi fu alimentato principalmente dalla Kaballàh di Ari. La conversione all’Islam di Shavtai Zvi fu un colpo terribile per tutto il popolo d’Israel e ciò portò a restringere ancor più le permissioni allo studio intensivo della Kaballàh, perché ritenuto pericoloso.

    Lessi altrove che un ebreo nato ebreo ed istruito da genitori ebrei anche se si converte durante la propria esistenza al cristianesimo oppure al buddismo rimane sempre ebreo.
    Questo forse non vale se la conversione avviene verso l'Islam?

    Ciao
     
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  10. Ieronimoy
     
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    Grazie.Discussione molto interessante.Sapete dirmi che differenze esistono fra le varie Kabbalah ebraiche? Ho notato che i gruppi più conosciuti a livello mondiale sono Kabbalah Center e Bnei Baruch, due modi molto diversi di vedere la cabala.
     
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    CITAZIONE (forbicetta @ 16/2/2017, 16:15) 
    CITAZIONE
    Il movimento messianico di Shavtai Zvi fu alimentato principalmente dalla Kaballàh di Ari. La conversione all’Islam di Shavtai Zvi fu un colpo terribile per tutto il popolo d’Israel e ciò portò a restringere ancor più le permissioni allo studio intensivo della Kaballàh, perché ritenuto pericoloso.

    Lessi altrove che un ebreo nato ebreo ed istruito da genitori ebrei anche se si converte durante la propria esistenza al cristianesimo oppure al buddismo rimane sempre ebreo.
    Questo forse non vale se la conversione avviene verso l'Islam?

    Ciao

    Certo che sì, oltretutto era l'unica altra religione considerata monoteismo puro. Ma questo non c'entra con la triste storia di Tsvi.






    Ps
    Ho spostato l'incomprensibile off topic.
     
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    SScusate , l edizione dello zohar commentata da Michael laitman poi tradotta in italiano secondo voi è valida? Ho letto cv ma non capisco se sia serio o no.
    Ma poi possibile si chiami mich el e lait~man di cognome? Non è che è il nome d arte o finto kabalistico?

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    אריאל פינטור

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    non ne so nulla. per quello che mi interessa la kabballah non mi sono mai informato
     
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  14. Ieronimoy
     
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    Leviticus non esiste l'intero Zohar in Italiano.Il testo di Laitman è una prefazione dello zohar
     
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    E temo tu abbia ragione,ho guardato su sefaria.org e si vede struttura completa e manca molto ahimè

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19 replies since 18/9/2015, 11:41   2424 views
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