אריאל פינטור
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La scansione del Tempo
Il Tempo è una dimensione umana e la sua scansione determina il ritmo della vita umana. Particolarmente, la vita dell’Ebreo è regolata da una progressione temporale precisa. Già l’inizio della Creazione, nella Torah, definisce il concetto di “Tempo”. La prima parola è appunto “Bereshit” che, al di la delle tante interpretazioni possibili, definisce implicitamente il concetto del Tempo: “In Principio”, o meglio, “Nel Principio di…” Questo significa, implicitamente, una successione di eventi, in cui qualcosa precede qualcos’altro. Infatti, la Torah procede con una progressione creativa che, nell’alternanza וי ה י עבר , וי ה י ב קר “Waiehì erev, waiehì boker”, scandisce il ritmo “sera-mattina”, in un crescendo che porta ad un compimento, realizzato nello ש בת , Shabbat (il cui senso è “cessare”), unico giorno che ha la dignità di un nome, mentre gli altri, elencati e nominati numericamente, sembrano soltanto essere una preparazione all’evento solenne che è il settimo giorno, conclusione dell’opera creatrice di HaShem per essere poi in seguito rielaborata ( .( א רש ב ארא- ל י ה ם לעש ות I giorni feriali, infatti, sono definiti ciascuno come יו ם ח ו ל , “yom hol”, a sottolineare la differenza tra ciò che è comune, profano (come la sabbia ח“ו ל ”) da ciò che è קודש “kadosh” sacro, o meglio, “distinto”, “separato”. חו ל deriva dalla radice ,” ח“ל che designa il normale scorrere temporale, il realizzare nel tempo, come לתהח י ל “iniziare” o come nell’espression הe , חלי ל “challila”, “che mai succeda” e come anche וי חל di Bereshit ו:י חל עדו , שבע ת ימים אחרי 0ם 8,1 “fece scorrere ancora altri sette giorni”. Ma la funzione della scansione del tempo sarà assegnata principalmente agli astri, che l’uomo osserverà e dichiarerà l’inizio dei periodi di ogni attività umana. Gli astri saranno da segni, per i tempi, per i giorni e per gli anni: ו היו לתא ת ומל ועד ים , ולימ ים ושנים (Bereshit 1:14) Il giorno dunque, inteso come arco di tempo che va dalla sera alla sera successiva, è, per così dire, la prima unità temporale che scandisce, nel suo divenire, la vita ebraica, definendo i tre principali momenti di preghiera: shachrit, minchà, arvit. Lo scorrere dei giorni che ascende verso lo Shabbat, definisce un’altra unità temporale, la settimana .( ש ו ב)ע Le settimane convergono poi verso il novilunio che definisce l’inizio del nuovo mese ( חדוש ) e le stagioni verso le tre grandi feste di pellegrinaggio Pesach, Shavuot e Sukkot, momenti fondamentali dell’anno ebraico. Questo si fonda su 12 o 13 cicli lunari, rispetto alla posizione del Sole, a ciascuno dei quali è associato un mese. Allo scopo di conservare la caratterizzazione del ciclo lunare, che si ripete con ritmo identico e, al tempo stesso, per mantenere la connessione stagionale che è legata alla posizione della Terra rispetto al sole, in un ciclo di diciannove anni si verificano dodici annate di dodici mesi e sette annate di tredici mesi. E’ necessario pertanto, operare periodicamente una correzione, poiché il ciclo dell’anno lunare, in media di 354 giorni, ha circa 11 giorni in meno rispetto all’anno solare che è di circa 365,25 giorni. Il calendario ebraico, essendo luni-solare, tiene conto anche del ciclo di rivoluzione terrestre, allo scopo di evitare che le feste religiose cadano in una stagione differente da quella propria agricola, come comandato dalla Toràh: ” ש מור את חד ש הבא“יב “conserva il mese di primavera” (Devarim 16,1) e חג הכסו"ת תעש ה לך שבע ת ימים באספ ך מגרנ ך ומיקבך " “la festa di Succot farai per sette giorni, quando raccoglierai il prodotto della tua aia e del torchio-della-tua-cantina” (Devarim 16,13). L’integrazione consiste appunto nell’aggiunta di un mese in più, per sette volte in diciannove anni. Gli anni 3, 6, 8, 11, 14, 17, 19 sono detti embolistici e hanno il mese intercalare. Abbiamo dunque 7 anni embolistici, di 13 mesi, con l'intercalare II Adar e 12 anni semplici di 12 mesi. Secondo un correttivo astronomico, si alternano mesi di 29 giorni e mesi di 30 giorni (detti me’ubarim), in quanto la durata del ciclo lunare rispetto alla posizione del Sole, detto “mese sinodico” è in media di 29 giorni, 12 ore, 44 minuti e 2,9 secondi. la Torah ed i libri profetici indicano il carattere sacrale e solenne del novilunio. L’apparizione della luna nuova, un tempo attesa con assoluta attenzione e precisione da osservatori, su indicazione del Sanhedrin, è ancora annunciata, nella Bet haKnesset, durante lo Shabbat che la precede ed è celebrata con una berachà in onore del Creatore dell’astro. Ai tempi in cui vi era il Bet HaMikdash, nel quale vigevano le leggi del Sanhedrin, i mesi non avevano una durata fissa, come quelli del calendario scritto. Un anno poteva essere composto da 4 a 8 mesi di 30 giorni, detti “me’ubarim”, come descritto nella Mishnah: א ןי פחות י ן מארבע ה חדוש ים המע ובר ין לשנה , ואל נארה י תר על שמונ ה “non meno di 4 mesi meubarin (di 30 giorni) in un anno, e non se ne veda più di 8”. (Mishnàh, Arachin 2,2) Ne consegue che, con la presenza della Shekinà, l’uomo è strettamente legato alla natura ed ha parte attiva in questo sincronismo di tempi, in base ai cicli degli astri e le conseguenti stagioni agricole. L’anno civile ebraico inizia con il mese di Tishrì ma in realtà il comandamento biblico impone di contare l’inizio dell’anno dal mese di Nissan (anno religioso) che cade all’inizio della primavera. Nel mese di Tishrì ebbe inizio, secondo la tradizione, la vita umana, mentre nel mese di Nissan gli Ebrei trovarono la libertà e divennero realmente un Popolo, con il Matan Torah. L’anno ebraico ruota attorno a questi due poli e tiene conto quindi, sia delle leggi e delle successioni degli eventi naturali, sia di un aspetto più propriamente spirituale, religioso e culturale, secondo l’aspirazione alla libertà. Nel Talmud abbiamo due sistemi di conteggio degli anni: uno pone come punto di partenza Yom Shishì, in cui fu creato Adam haRishon e l’altro pone invece determina, come punto di partenza, un anno prima, nell’anno chiamato “Shannat Tohu” (il nome “Tohu” evoca lo stato primordiale della Terra espressa con la locuzione “tohu waVohu”, Bereshit 1:2), che precedette la creazione dell’uomo. Alla fine è prevalso quest’ultimo sistema, cosicché oggi, l’anno attuale (5775) contiene un anno in più rispetto a quello della creazione di Adam. Secondo un’antica concezione talmudica gli astri furono creati in un tempo remoto e solo nel quarto giorno creativo, come riporta anche RASHI, furono “appesi”, ovvero furono resi visibili nell’atmosfera terrestre che, prima di questo periodo, era coperta dal “Choshech”, un’intensa nube nera, che avvolgeva il pianeta Terra, rendendolo simile agli altri pianeti del sistema solare. Al primo novilunio, della Shannat Tohu, chiamato “ מלוד ת“ ו ה “molad Tohu”, è stata assegnata una data ben precisa espressa con la sigla: בהר״ ד , il cui senso è: bet=2, Yom Shenì; he = 5 ore, resh-daled = 204 parti di ora. Come si può notare, questo novilunio, chiamato anche מלוד ב ד ה״ר , appartiene a yom shenì, al secondo giorno, mentre gli astri furono “appesi” al quarto giorno dell’anno dopo. Quindi, viene riconosciuta la funzione temporale agli astri, ancor prima che essi comparissero nell’atmosfera terrestre, per essere osservati dall’uomo. Il periodo esatto della comparsa di questo novilunio è espresso anche in ore e in parti di ore. Un’ora era infatti divisa in 1080 parti e ogni parte equivale a 3 e 1/3 di secondo. Come abbiamo detto precedentemente, il giorno comincia alla sera, ed è questo il punto iniziale del conteggio delle ore. Adam haRishon fu creato yom shishì, un anno dopo, nel novilunio detto מלו ד אםד , “molad Adam” ed anche a questo è stata assegnata una data ben precisa espressa con la sigla: וי ״ד , che significa: ו, yom shishì; 14 , יד״ ore. Il periodo di tempo fra questi due noviluni, che costituisce un anno lunare normale di 354 giorni, è stato utilizzato dai khachamim per calcolare la durata del mese sinodico medio. Dal novilunio della Shannat Tohu, che cadde di yom shenì, fino a yom shenì della creazione, abbiamo 50 settimane di giorni completi, (7x50=350 giorni) e da yom shenì fino a yom shishì, nel quale fu creato Adam, abbiamo altri 4 giorni (350+4=354). A quest’anno lunare normale di 354 giorni, aggiungiamo la differenza in ore e parti di ore. A 14 ore sottraiamo 5 ore e 204 parti e otteniamo il valore di 354 giorni, 8 ore e 876 parti che, diviso per 12 mesi, determina la durata del mese sinodico medio: 354/12=29,5; 8 ore x 1080/12 = 720; 876 parti /12= 73: 29,5 720+73=793. 720 parti rappresentano anche i 2/3 del giorno (1080/3x2=720). Questo dato è anche confermato da Raban Gamaliel: א ןי חדוש ה של לבנ ה פחות ה מעש רי ם ותשעה יו ם וחמצה ושנ י שליש י שעה ו"גע חלק ים “Non c’è novilunio in meno di 29 giorni e mezzo, due terzi di giorno e 73 parti”. (Rosh haShannàh 25a). La dimensione ebraica del tempo è scandita quindi da due unità fondamentali: ש נ ה (anno) e חדוש (mese). Questi due termini presentano già nella loro radice due profondi significati. La radice “ שנ ה ” indica la “ripetizione” (come in משנ“ה ”) o della “duplicazione” (“ שנים ” due) oppure, come nell’espressione dello “Shemà Israel”, ושננתם לבני“ך ” , “ripeterai ai tuoi figli”, nel senso dell’insegnamento costante di padre in figlio e di generazione in generazione o del “rinnovo” שינו)י , “shinui” “cambiamento, inversione”). La radice ח“ד ש ” indica “novità, rinnovamento, cambiamento, rinascita”. Il tempo ha dunque in sé, sia una dimensione interiore, di rinnovamento, di evoluzione, di cambiamento sia, al tempo stesso, la dimensione del rammentare, del ripetere della memoria, del percorrere la Storia attraverso il movimento circolare dei חיגם (“ haghi m” “festi vità”) , un cammino preordinato, verso le feste tradizionali. Su questo ripassare obbligatoriamente, ogni anno per le stesse tappe, si interseca il concetto di rinnovamento, del “ ,” חדוש affinché il passaggio attraverso la festa non sia qualcosa di statico e di sterile, ma implichi il rinnovamento dell’individuo. Le due dimensioni del “ripercorrere e ricordare” e del “rinnovamento”, dell’uscita dal quotidiano, sono costantemente Le due dimensioni del “ripercorrere e ricordare” e del “rinnovamento”, dell’uscita dal quotidiano, sono costantemente parallele. Non è un caso che nella Torah, le date delle ricorrenze siano sempre stabilite a partire dal ר שא חדוש , il “capomese”, come a indicare che, nel ricordo e nella riproposizione, si attua un rinnovamento. La prima mitzvà data collettivamente al Popolo d’Israel, già in terra d’Egitto, è stato proprio il calcolo del Tempo החוד ש ה“ז : ה לכם ” (Shemot 12). La Torah, stabilendo che l’inizio dell’anno inizia con l’uscita dall’Egitto, nel mese di Nissan, insegna che lo scandire del tempo e dei mesi, il rinnovarsi del tempo, deve essere associato con l’idea della libertà, perché solo l’uomo libero ha la possibilità e la capacità della rigenerazione e del rinnovamento. La capacità di rinnovarsi sarà per Israel la condizione necessaria per uscire dalla schiavitù e divenire Popolo: החד“ש ה זהלכם , ר שא חד ש י ם רשא ון הו א לכם , ל ד חש י השנה ” , “questo mese sarà per voi” (Laddove “ לכם ” può anche significare “E’ a voi, appartiene a voi, questa capacità di rinnovamento”). “Esso sarà per voi לכם il primo dei mesi dell’anno”. Il novilunio diventa quindi un momento imprescindibile per la rottura delle catene di schiavitù e il mese di Nissan ( נסי ן , d סa נ “nes” miracolo), diviene simbolicamente il mese del rinnovamento definitivo. Il precetto quindi di scandire il Tempo, è il paradigma della libertà ed in tal senso va inteso il fatto che si tratta del primo comandamento collettivo, dato ad un intero popolo e non ad un singolo. Che cosa è infatti la libertà di un essere umano, se non la capacità di gestire il proprio tempo? Inoltre, la scansione collettiva del tempo è dimensione di unità di popolo, poiché in ogni istante, ogni ebreo è unito al suo popolo nell’unità del tempo delle preghiere quotidiane, dello Shabbat, delle festività, a qualunque latitudine ed in qualunque epoca egli si trovi. Il tempo delimita anche i compiti assegnati ad ogni ebreo, all’uomo e alla donna: " ו כל מ ו צו ת ע הש שהז מ ןגר מה , אנ ש י ם חיב ין ונ ש ים פ ו טרו" ת " ו כל מ ו צו ת ע הש שהז מ ןגר מה , אנ ש י ם חיב ין ונ ש ים פ ו טרו" ת “Tutte le mizvot che sono dipendenti dal tempo, gli uomini sono obbligati e le donne esenti”. (Mishna, Kiddushin 1,7). Le donne sono esenti dalle mitzvot di mettere gli Zizit e i Tefilin perché queste mitzvot dipendono esclusivamente dal periodo diurno. La loro funzione è infatti che l’uomo li veda e possa così ricordarsi di tutti gli obblighi della Torah. Abbiamo poi il “Kiriat Shemà” , la lettura dello Shemàh Israel, che si compie due volte al giorno, in due periodi stabiliti, una di giorno e l’altra di notte. Sono mitzvot legate al Tempo anche: l’ascoltare il suono dello Shofar di Rosh haShannàh, l’abitare nella Succàh, il Netillat Lulav e il Sefirat a’Omer, (il conteggio dell’omer). Da tutte queste, la donna è dunque sollevata dall’obbligo. Le donne non sono invece esenti dalle mitzwot simchà, i comandamenti dell’allegria, come il Kiddush di Shabbat e delle feste; il mangiare la mazzàh nella notte di Pesach e il bere le quattro coppe di vino. Nella Torah è infatti chiaramente specificata la partecipazione delle donne: ושמחת ב ג ח ך א תה ובנ ך ובת ך ועבד ך ואמת ך “ti rallegrerai nella tua festa, tu, tuo figlio, tua figlia, il tuo servo, la tua serva”. (devarim 16:14) Le donne non sono esenti invece da ogni comandamento negativo, anche se questo è dipendente dal tempo. Una mitzvah che richiede una partecipazione attiva e contemporanea di tutti gli ebrei maschi è Sefirat a’Omer, il conteggio dell’omer: וספרתם ל כם מחמר ת השב ת מוים הביאכ ם את ע מר התנופה ש בע שבת ו ת ת י מ מת תהיינ ה עד מחמר ת השב ת השביע ת תספ רו חשמ ים יו ם והקרבתם מחנ ה חד ש ה “vi conterete dal giorno dopo il sabato, dal giorno che avrete portato l’omer dell’agitazione, sette settimane complete vi saranno fino all'indomani del settimo sabato, conterete 50 giorni e offrirete una nuova minchà”. (waikrà 23,15). Non come quindi nel caso dello stabilire il Rosh Chodesh, dove solo una cerchia di persone preposte a questo scopo ne prendeva parte. In questo caso invece, ogni ebreo maschio è obbligato a pronunciare una berachàh, in ognuno di questi giorni, contando e ricordando anche il numero di settimane completate, fino alla festa solenne di Shavu’ot, che cade il 50° giorno. Vi sono poi mitzvot, strettamente dipendenti dalla scansione del Tempo, che riguardano la terra di Israel, la sua proprietà e i suoi frutti. La prima di queste e la più importante è ש נ ת השמ יט ה , “shannat hashemitàh”, l’anno sabbatico: כי תאב ו אל ה ארץ א רש א ני נ תן ל כם ושבתה ה ארץ ש בת ל ׳ ה “Quando verrete nella terra che io vi do, essa osserverà uno shabbat in onore di HaShem”. (Waikrà 25,2). “Shannat hashemità” è il nome del settimo anno in un ciclo di sette anni. In quest’ anno si osservano mitzvot molto particolari, come la cessazione della maggior parte dei lavori agricoli e il rendere “hefker” (senza proprietario) i frutti, affinché tutti coloro che desiderano raccoglierli, in particolare i poveri, possano farlo liberamente. Inoltre, è anche obbligatorio f a r c e s s a r e i d e b i t i a l l a f i n e d e l l a “ s h a n n a t hashemitàh” (Devarim 15, 1-3). Un’altra mitzvà legata a questa annata è la “mitzvat hakhel”, un comandamento positivo, cui anche le donne sono obbligate. Questa mitzvàh consiste nel riunire tutta la comunità ebraica per ascoltare la lettura del libro di Devarim effettuata durante la festa di Succot che cade nell’anno successivo alla fine della “shannat hashemitàh”. Alle particolarità di queste mizwot la Mishnà dedica un intero trattato: Massechet Shevi’it. Strettamente legata alla mizwàh della shemità è la “Shannat hayovel”: וספרת לך, ש בע שבת ת שנים “Conterai sette sabati di anni” (waikrà 25,8). Analogamente come per la sefirat ha’omer, abbiamo il conteggio 7x7 e poi un 50esimo. Qui il 50esimo anno è un anno molto particolare per tutto il popolo di Israel, ove la proprietà della terra torna ai suoi proprietari originali. La Terra di Israel non è vendibile , ma la si può affittare per un periodo di tempo che si conclude all’inizio della shannat yovel: והאר ץ לא תכמ ר לצמת ת כי לי ה ארץ כי גרים ושתו ב ים א תם ע דמי “E la terra non si potrà vendere per sempre, perché mia è la terra e voi presso di me siete solo residenti e ospiti”. In questo anno, che viene proclamato all’uscita dello Yom Kippur con il suono dello shofar, sono anche proibiti molti lavori agricoli e si aggiunge al 49esimo anno che è già una Shannat haShemità. In questo anno si proclama anche l’uguaglianza sociale con la cessazione della servitù. Oggi, ancora non può essere osservata questa grande mitzvàh, la cui osservanza cessò nel lontano periodo della fine del primo tempio. Essa è infatti legata a tutto il popolo di Israel ed a tutte le tribù, soprattutto le 10 tribù disperse, alle quali furono assegnati vasti territori. (Che venga presto il Mashiach per ricondurle nella Terra d’Israel affinché si possa ancora tornare ad osservare questa grande mizwàh della Shannat Yovel). Ma anche al di fuori di questi periodi solenni abbiamo mitzvot strettamente legati al tempo ed alla terra di Israel. I frutti che sono maturati negli alberi nei primi tre anni, da quando sono stati piantati, prendono il nome di עלר ה , “Orlà”: in questi tre anni, è proibito raccogliere e mangiare questi frutti: saranno raccolti nel quarto anno e mangiati entro l’area di Gerusalemme. Solo nel quinto anno saranno considerati frutti normali, che possono essere raccolti e mangiati in ogni luogo. La tradizione rabbinica fa risalire la definizione delle modalità di identificazione del capomese a Moshè Rabbenu, che le trasferì alla Knesset haghedolàh. Questa applicò delle regole, di osservazione e testimonianza, codificate nei trattati talmudici di Rosh hashanà e Sanhedrin e che restarono in vigore a lungo, fino al IV secolo circa, quando all’epoca di Hillel III (figlio di Yehuda Nessià, il fratello maggiore di Hille II), degli esatti criteri di calcolo matematico, sostituirono il criterio fondato sulla sola osservazione. Questo fu però un calendario temporaneo, il calendario della galut, che cesserà con il completo ritorno e la ricostruzione del Bet haMikdash haShelishì. Perché dunque la scelta del ciclo lunare? Tra le tante ipotesi avanzate in merito, si può pensare al grande rilievo che la luna ha occupato nella tradizione ebraica (e anche non ebraica). Basti pensare al fatto che l’astro lunare, con la periodicità delle sue fasi, ha costituito l’archetipo di riferimento in relazione ai cicli della vita, delle piogge, della vegetazione, delle maree, della fertilità, con l’analogia della durata del suo periodo con il ciclo femminile. Questo infatti corrisponde al ciclo siderale della Luna di circa 27 giorni e 7 ore. Allo stesso modo, le sue fasi: crescente, di pienezza, di calo e di scomparsa, per poi ritornare e ricominciare, è stata messa in relazione con le analoghe fasi della vita umana: nascita, crescita, maturità, declino e morte, per poi sempre ricominciare con una nuova vita che ripercorrerà le stesse tappe. Come il suo oscuramento non è mai definitivo, allo stesso modo la morte è sempre seguita da una nuova nascita. Il Rosh Chodesh quindi, con il novilunio, diventa l’archetipo del rinnovamento spirituale e della rinascita dell’uomo ed è significativo che “Erev Rosh Chodesh” venga definito כיופר ק ן ט “piccolo kippur”, un momento di riflessione e di resoconto dei propri peccati e dei propri errori, di fronte al Creatore, in vista di un rinnovamento spirituale perpetuo e ciclico, che consenta di affrontare il mese (il tempo) a venire, con nuove e rinnovate energie, partendo da una presa di coscienza della propria piccolezza e incompletezza, unica strada per poter operare un condono e un tikkun. Al contrario, Qoelet ci ricorda che sotto il sole non vi è nulla di nuovo, non esiste novità: ואי ן כל חד ש תחתהשמ ש “Ein khol chadash tachat hashemesh”. Il sole nasce e tramonta ma, in fondo, il disco solare è sempre lo stesso, non ha fasi progressive di vita. Egli nasce e tramonta, aumentando e diminuendo progressivamente la propria potenza, restando però costanti, in linea di massima, le sue dimensioni e la sua visibilità. In tal senso è l’archetipo della forza e della potenza, ma con caratteristiche che non prevedono il rinnovamento, come a dire che l’astro solare è simbolo di un percorso storico in cui le grandi civiltà adoratrici del sole, terminano nel nulla, malgrado le loro epoche di accecante fulgore, per essere seguite poi da altre civiltà che altrettanto saranno dimenticate: Egizi, Babilonesi, Assiri, Greci, Romani, letteralmente scomparsi dalla storia, come qualunque popolo che non si rinnova. Anche per questo astro la liturgia ebraica prevede una speciale Berachàh che si recita ad ogni ciclo di 28 anni, quando il Sole torna alla posizione iniziale, come quando comparve per la prima volta nel quarto giorno della Creazione. Questa infatti è parte di una speciale celebrazione che cade proprio di Yom Revi’ì. L’importanza del calendario, come momento identitario e come simbolo di libertà, trova conferma nel fatto che, nel corso della loro dominazione, i Greci proibirono appunto agli Ebrei l’osservanza della Milàh, dello Shabbat e del calendario lunare. Si tratta di tre mitzwot, fondamentali per il Popolo ebraico, che indicano con chiarezza il concetto dell’incompiutezza che deve tendere verso il completamento, la perfezione: perfezione ed integrità fisica, possibili solo se vi è una carenza iniziale; l’incompiutezza dei giorni della settimana che ascendono alla completezza dello Shabbat, momento in cui si abbandona l’imperfezione dello yom hol, di se stessi e del proprio lavoro; l’incompiutezza e l’imperfezione dell’essere umano che deve tendere alla completezza, attraverso il rinnovamento periodico e cadenzato nel tempo. L’ingresso dello Shabbat è una presa di coscienza del proprio essere incompiuto e imperfetto, laddove solo D-o è completo è perfetto ed è proprio in quella gioia di assoluto riposo che si tende alla perfezione (si “tende”, pur nella coscienza di non poter mai raggiungere la meta), dell’uomo che è , בלצמ נו כד מ ות נ ו a “nostra immagine e somiglianza”. La luna, che nelle sue fasi giunge ad un minimo di grandezza, diremmo di incompiutezza, non indica quindi un motivo di inferiorità, ma un impulso a crescere progressivamente, a migliorare e progredire, verso l’imitazione di Colui che è il Solo ad essere Perfetto. I Greci, cultori della perfezione, nel fisico, nelle lettere e nell’arte, non potevano di certo comprendere la mentalità ebraica, per la quale queste tre situazioni mettono in evidenza l’imperfezione. Il pensiero greco che esaltava la logica, la matematica, la forza della mente umana attraverso la speculazione filosofica, nella quale non D-o, ma l’essere umano è al centro dell’universo, vedevano minato il loro pensiero nelle fondamenta. La stessa concezione aristotelica di “motore immobile” è agli antipodi del pensiero ebraico: il motore immobile è al di sopra dell’essere umano, ma è distaccato da esso, è indifferente alla Storia dell’uomo e non interagisce con l’umanità, esattamente al contrario del D-o d’Israel. Colpire Israel nelle sue mitzvot principali, significava colpire il Popolo al cuore, in quella concezione che è alla base stessa della sua ragione di esistere, il servizio divino, essendo la fede ebraica essenzialmente un’ortoprassi e non una religione di dogmi. Allo stesso modo, anche la festa di Hannuchà è simbolo di questo antico “incontro-scontro” con la cultura greca. Essa, che simboleggia la riconsacrazione del Tempio profanato e l’accensione della menorah con l’olio consacrato ( נס חנוכה ), non è solo il puro ricordo di una vittoria militare, ma diviene simbolo di rinnovamento spirituale che arde eterno, come perenne è la fiamma che illumina il Tempio. La relazione di Hannuchà con la scansione del Tempo è data dal fatto che è l’unica festività che inizia negli ultimi giorni del mese, in fase di luna calante e, terminando otto giorni dopo in fase di luna crescente. L’importanza che l’astro lunare, con le sue significative fasi di progresso, di crescita, pienezza, declino, scomparsa e rinascita, ha avuto presso il popolo ebraico, trova riscontro in un antico midrash che racconta la peculiare storia della Luna che si riporta al Sefer Bereshit quando, al quarto giorno della creazione, D-o crea i due grandi luminari che presiedono, rispettivamente, al giorno e alla notte. La Torah li definisce dapprima המאר ת הגדל ים “hameorot haghedolim”, i due “grandi luminari”, per poi chiamarli, successivamente, , המא ו ר הגדל “hamaor hagadol” e המא ור הקט ן “hamaor hakaton”, “l’astro grande e l’astro piccolo”. Il midrash racconta che la Luna avrebbe protestato, ponendo ad HaShem un quesito interessante, dal punto di vista filosofico: “Che senso ha la presenza contemporanea di due astri che dominano il cielo con pari dignità? Non vi è posto, contemporaneamente per due dominatori ”. La risposta del Creatore è che spetterà alla Luna il compito di ridurre il suo volume, a causa della sua ambizione. La Luna, in realtà, sta ponendo non un semplice quesito filosofico, ma molto di più: simbolicamente i due astri rappresentano la contrapposizione di due opposte civiltà, di due modi di concepire l’esistenza, di due diversità, talvolta inconciliabili. A questo punto, D-o cerca di consolare la Luna con diverse motivazioni: con il fatto che i figli d‘Israel calcoleranno il tempo sul ciclo lunare, con il fatto che i grandi rappresentanti del popolo d’Israel saranno anch’essi di piccola statura, come David, Shmuel o Yaacov, che il sole dominerà di giorno, mentre la luna sarà presente sia di giorno che di notte, ma questo non basta a consolare la delusione dell’astro. Il midrash si conclude con il comando di Hashem di offrire, nella notte di novilunio, un sacrificio di espiazione “per il Signore” (cioè per conto del Signore). Questo midrash ha un senso molto profondo, in quanto, nella concezione dei Maestri, il Sole si identificherà con Essav, da cui discenderà l’impero romano e la luna si identificherà con Yaacov, progenitore del Popolo ebraico, realtà contrapposte ed inconciliabili: la prima grande, potente, dominatrice, accecante ma destinata a tramontare, la seconda piccola, più debole, che vive di luce riflessa (apparentemente), ma destinata ad essere sempre presente, sia quando il sole risplende, sia e soprattutto, dopo il tramonto di questo. Il midrash in qualche modo, con la valutazione del tempo lunare e del tempo solare, con la contrapposizione tra gli astri, elabora una situazione storica, di vita e di divenire, nell’alternanza di “shanà e hodesh”, in cui il piccolo popolo d’Israel, pur dominato e oppresso, conserva perennemente una grande funzione di esistenza e di ruolo, grazie alla capacità di ritrovare nell’antico, nella tradizione, un continuo r innovamento e un c o n t inuo p r o g r e s s o, g razie all’interpretazione esatta del ruolo conferitogli da D.o. La stessa dialettica tra “shanà e hodesh”, impronta tutto lo studio della Torah. La caratteristica dello studio, la ripetizione, la “mishnà”, unitamente alla trasmissione rinnovata ed interpretata, nel ritrovare nell’antico e nel perenne ciò che è novità e progresso, ripropone esattamente la stessa dialettica della successione temporale che appunto inizia con la prima mitzvà collettiva: ” החד ש ה זהל כם ר שא חד ש י ם רשא ון ה ו א ל כם ל ד חש י השנ“ה ” החד ש ה זהל כם ר שא חד ש י ם רשא ון ה ו א ל כם ל ד חש י השנ“ה
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