Erode e la strage degli innocenti

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  1. jehoudda
     
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    Interessante polemica datata a 25 anni fa a proposito, fra l'altro, di quanto evidenziato in questa discussione. Non solo sui Forum amatoriali ci si "bastona"....

    http://www.storialibera.it/epoca_antica/cr...quell'Erode

    Giovanni GOZZER
    Come era mite quell'Erode
    tratto da: Il Sabato 20.8.1988, n. 34, p. 36.


    Polemiche estive. Chi cita le scritture a vanvera
    Beniamino Placido dà dei bugiardi a Luca e Matteo. Buscaroli riabilita il re responsabile della strage degli Innocenti. Ma è tutto un falso...


    Sul quotidiano la «Repubblica» del 20 aprile scorso Beniamino Placido, penna onnisciente del giornale di Scalfari, citando una citazione altrui (e senza darsi la pena di verificare i testi) ci assicura: il Discorso della Montagna (o delle Beatitudini) del Vangelo fu tenuto secondo Matteo «sul monte», secondo Luca «in pianura». Andate a credere a queste frottole contradditorie... sembra suggerire con laicissima ironia.

    Mando al direttore Scalfari un bigliettino di precisazioni: i testi di Matteo e Luca non sono contradditori; entrambi parlano del Monte; Matteo parla solo della salita; Luca aggiunge che, salito, si fermò in una radura, «pedinós tópos» in greco, «locus campestris» in latino, parlando alla gente radunata. Morale: non fidatevi, facendo stupide ironie delle citazioni altrui, ma verificate. Punto e chiuso.

    Naturalmente la «palestra dei lettori» non trova pochi centimetri di spazio per la precisazione. Tempo dopo un amico redattore del «Sabato» legge casualmente copia della lettera. Gliela dò volentieri ed egli la pubblica sul settimanale senza commenti miei. A questo punto il già silenzioso Placido si scatena; e mi sferraglia, sulla «Repubblica» del 5 giugno, tutta una esibizionistica girandola di altre innumerevoli citazioni, per darmi opportuna lezione sulla vessatissima questione della storicità dei Vangeli e sulla mia «ignoranza» della priorità del testo greco rispetto a quello latino. Sciocchezze. Gli rispondo tre giorni dopo.

    Come facilmente prevedevo (e scrivevo nella lettera di riprecisazioni al Placido) nessun cenno di risposta. Probabilmente avrei dovuto nuovamente ricorrere alla cortesia degli amici del «Sabato» per meritare udienza del Beniamino. Invece volevo che egli ne desse conto, a dibattito aperto (se avessi malreso il testo originale degli Evangelisti) sulla «Repubblica», là dove il caso era scoppiato. Ma chi ha pochi decimetri quadrati di un foglio ne custodisce proprietà ed esclusività con erodiana tenacia. Già, erodiana.

    Perchè proprio nello stesso torno di tempo mi capita di seguire (altro foglio, altre stanze) un'altra polemichetta, anch'essa coinvolgente in qualche modo i Vangeli. Scrive infatti in una corrispondenza da Parigi, dove ha visitato la mostra di Poussin, Piero Buscaroli sul «Giornale» montanelliano (riferendosi al quadro famoso «La strage degli Innocenti») alla data del 2 giugno: la citazione del nome di Erode sul bando della strage, «inconsueta concessione al verismo, è l'eco evidente di una delle menzogne dei Vangeli (Matteo, 2,3-16) di diffamazione perversa di quel nobile e mite principe».

    Signore qui non siamo più alle «contraddizioni» (Placido) di Evangelisti ignoranti sulla differenza tra pianura e montagna; siamo alla «diffamazione perversa di quel mite principe» che fu Erode, detto comunemente il grande (ma grande certamente per le sue atrocità e per le sue rapine).

    La faccenda però a questo punto, era troppo grossa per passare inosservata come la mia implacida polemichetta; credo che sia al direttore del quotidiano sia all'autore di tanto testo siano piovute addosso non so quante lettere di protesta e di sdegno. Del resto lo stesso Buscaroli se ne fa eco nella sua «terza pagina» dell'11 luglio, in cui per altro recidiva, con un titolo stupido e insolente: «Innocente è Erode - La strage non ci fu» («A proposito di bambini e di falsi storici»). E giù anche lui con una serie di citazioni (che spesso sono citazioni di altre citazioni, magari non citate) per assicurarci che nella storia di tutte le religioni c'è sempre un mito-prodigio, un mito fondatore dicono gli storici-antropologi delle religioni; che la bella invenzione di Matteo è più o meno insalata dello stesso orto. E via di seguito. Tutto quello che Buscaroli riconosce è che quel «mite», appiccicato ad Erode, gli è proprio «scappato»; del resto strage non ci fu mai e la leggenda tale resta. Chiuso anche qui.

    Il lettore curioso però desidera approfondire; è questione nota da immemorabile tempo che, secondo la datazione bene o male fissata nel sesto secolo (colpa del Breve o Esiguo Dionigi) la data della nascita di Cristo comunemente accettata è posteriore di 4 anni alla morte di Erode «il Massacratore grande»; in sostanza vi sono una mezza decina di anni (e forse più) entro cui oscillano le date dell'inizio convenzionale dell'Era Cristiana. Ciò concesso, facciamo pur grazia ad Erode di non esser stato autore della strage degli Innocenti, riferita dal solo Matteo. Va detto peraltro che il Matteo (già Levi) Evangelista era anche il «publicanus», esattore (o appaltatore di minor livello) di quelle riscossioni fiscali in cui Erode fu specialista sommo (al punto da meritare una visita «di studio dei metodi» da parte di Agrippa, altro non certo tenero tassatore, nell'anno 15 prima di Cristo); e che probabilmente Matteo era l'unico degli Evangelisti che alle famose stragi, anche se non siano state quelle degli Innocenti, abbia in qualche modo assistito o ne abbia avuto sentore.

    Perché, e qui basta riferirsi alla Guerra giudaica raccontata da Giuseppe Flavio, le stragi ci furono, eccome; proprio «in limine mortis» del feroce principe (già ridotto a un ammasso verminoso e portato di fretta ai «balnea» di Calliroe), ci furono le cosiddette stragi dell'Ippodromo di Gerico, perpetrate mentre Erode stava esalando l'ultimo respiro e fece trucidare negli stessi giorni il figlio Antipatro; ci furono di lì a poco le «stragi di Pasqua», efferati ammazzamenti (2.000 e più vittime) compiuti, quasi per esecuzione testamentaria, dal figlio di Erode e suo successore, Archelao. Insomma, per negare la strage degli Innocenti non occorre far di Erode il «mite e nobile principe» che ne fa Buscaroli; né fare d'ogni erba un fascio e ridurre i Vangeli a una leggenda idiota.

    Ecco, questi nuovi erodiani hanno però anch'essi i talloni vulnerabili. Cito proprio dall'articolo del Buscaroli, che, citando Meyer e Omodeo, ci assicura che la strage degli Innocenti non è se non una variante del destino prodigioso di personaggi «occupatori di storia» (e non solo di quella religiosa). Buscaroli ricorda il caso di Augusto; e citando da altrui citazioni (immagino) il passo del capitolo 94 della vita di Augusto scritta da Svetonio ci informa come lo stesso storico Svetonio, citando (anche lui, ma senza prove, suppongo, il racconto di Giulio Marato, liberto di Augusto) fa riferimento ad una profezia «secondo cui l'anno che doveva nascere Ottavio sarebbe nato da un senatore il dominatore di Roma. Il Senato, custode dello spirito repubblicano, avrebbe desiderato che tutti i figli dei senatori che nascessero in quell'anno fossero messi a morte» (sic in Buscaroli). Per esser senatori romani una bella strage, da riabilitare Erode. Ma il testo latino di Svetonio non dice affatto che fossero messi a morte questi figli di «senatori con mogli incinte»; ma che «non fossero educati (allevati, traduce Dessì nell'ultimo testo rizzoliano); «ne quis illo anno genitus educaretur». I senatori, fra l'altro, avrebbero tranquillamente obliterato la proposta (franchi tiratori anche allora?).

    Educazione o allevamento o esposizione a parte, perché tanta attenzione e credito a un narratore che quanto a inattendibilità batte tutti i quattro Evangelisti insieme (storia a parte); e che, per di più, cita una citazione di un liberto che forse Svetonio nemmeno aveva conosciuto e gli era stata trasmessa come asserzione del predetto liberto?

    No, signori erodiani della nostra splendida carta stampata 1988; prudenza nelle asserzioni; e cercate sempre un minimo di verifica anche nelle vostre citazioni. È una lezione che appresi molti anni fa da un vecchio latinista e saggio filologo i cui commenti dei classici erano un modello di rispetto al «dato»: si chiamava Tarcisio Buscaroli. Se sia omonimo o parente di Piero non so; se sia della stessa stirpe devo riconoscere che il giovane (si fa per dire) ha tralignato.

    Comunque, ci fosse un redivivo Dante potrebbe studiare un supplizio adatto a questi neo-erodiani: metterli in qualche cerchio infernale; accanto «al nobile e mite principe».
     
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7 replies since 6/5/2013, 10:52   2195 views
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