Gesù e il Sabato

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  1. Jesuslives
     
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    Brano tratto da: "Predicava nella loro sinagoghe"; Pinchas Lapide, ed. Paideia.
    Predicava nella loro sinagoghe

    Capitolo 3
    La raccolta delle spighe e la questione del Sabato

    In tutti i Vangeli sinottici troviamo un episodio che merita osservare, in cui si racconta, con leggere differenze, lo stesso avvenimento.
    In quel tempo Gesù attraversò di Sabato dei campi di grano; e i suoi discepoli ebbero fame e si misero a strappare delle spighe e a mangiare. I farisei, veduto ciò, gli dissero: «Vedi! i tuoi discepoli fanno quello che non è lecito fare di Sabato». Ma egli rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando ebbe fame, egli insieme a coloro che erano con lui? Come egli entrò nella casa di Dio e come mangiarono i pani di presentazione che non era lecito mangiare né a lui, né a quelli che erano con lui, ma solamente ai sacerdoti? O non avete letto nella legge che ogni Sabato i sacerdoti nel tempio violano il Sabato e non ne sono colpevoli? Ora io vi dico che c'è qui qualcosa di più grande del tempio. Se sapeste che cosa significa: "Voglio misericordia e non sacrificio", non avreste condannato gli innocenti; perché il Figlio dell'uomo è signore del Sabato».
    (Mt. 12,1-8; Mc. 2,23-28; Lc. 6,1-5)

    Tre punti soprattutto vanno ribaditi al riguardo:
    1. Qui vengono accusati di aver infranto il Sabato non Gesù, ma i suoi dicepoli che egli ora difende, come fa qualsiasi maestro leale.
    2. Gli accusatori non sono «i Farisei» o addirittura «tutti i Farisei», ma solo «alcuni di loro», il che, secondo l'uso linguistico Ebraico, vuol dire che si tratta di una questione dibattuta, sulla quale, come molte altre questioni simili, può giungere a una soluzione di compromesso nella dialogica dell'insegnamento rabbinico.
    3. Gesù non intendeva sopprimere il precetto del Sabato, ma al contrario gli premeva che fossero fondamentalmente rispettate tutte le prescrizioni relative al Sabato, indifesa delle quali interviene qui in maniera convincente, nel senso della prassi giuridica Ebraica.
    Che fosse esperto di questioni halachiche lo dimostrano sia il suo modo rabbinico di argomentare, sia la reazione che spesso hanno i suoi interlocutori e che conosciamo da altri dialoghi, come ad esempio: «appena ebbe detto questo, tutti i suoi avversari si vergognarono» (Lc. 20,39); [...].
    Si deve ancora aggiungere che l'espressione «figlio dell'uomo» non può riferirsi qui a GEsù, dal momento che nella disputa non si tratta nè di azioni di Gesù stesso nè di azioni compiute da altri su suo ordine, ma semplicemente di un comportamento spontaneo dei suoi discepoli. Perciò il termine Ebraico ben Adam (o in aramaico bar inash), che sta alla base del nostro testo, va inteso come «ognuno» oppure «uno di noi», il che corrisponde esattamente al significato corrente del vocabolo.
    [...]
    Ma torniamo all'azione di cogliere le spighe di Sabato. Di che cosa si tratta in definitiva? Si tratta del modo appropriato di celebrare il Sabato, che agli Ebrei era stato dato allo scopo di testimoniare, mediante la sua santificazione, che Dio è il Creatore del mondo.
    [...]

    I TRENTANOVE LAVORI PROIBITI DI SABATO

    Per non lascare al capriccio del singolo l'interpretazione e la pratica individuale del riposo del Sabato comandato da Dio, gli Scribi stabilirono uno lista di 39 lavori proibiti, che spesso diede occasione a vivaci dibattiti tra le diverse scuole esegetiche - soprattutto a proposito dei casi limite, come strappare spighe, cogliere fichi, spremere succhi, ecc. I lavori proibiti sono: arare e seminare, mietere e legare covoni, trebbiare e ventilare, far la cernita e macinare, setacciare e impastare, cuocere al forno o sul fuoco; tosare la lana, candeggiarla, pettinarla, colorarla e filarla, tessere e annodare due maglie, tessere o separare due fili, annodare e scioglere un nodo, cucire o togliere due punti; cacciare un cervo e macellarlo, togliergli la pelle, salarlo e concciarlo... scrivere due lettere e concellarle... costruire e demolire, spegnere e accendere, battere col martello e trasportare un peso da un luogo all'altro.
    Si vede a colpo d'occhio che si tratta di un elenco di divieti per contadini, pastori e artigiani, che intendono prendere sul serio il riposo Biblico del Sabato.
    La profanazione si ha quando si compie per intero una di queste 39 attività, quattro delle quali sono nominate nei Vangeli: mietere, trebbiare, cuocere sul fuoco e impastare.
    In queste denominazioni generiche erano compresi, naturalmente, tutta un quantità di lavori analoghi, alla condizione tuttavia che sia il modo di attuazione sia lo scopo dell'esecuzione si conformassero al concetto corrente di lavoro, ossia ad un adoperarsi a scopo di guadagno. Se queste due condizioni vengono meno, come ad esempio nello sbucciare una mela per mangiarla subito, operazione che per altro ricadrebbe nella categoria del «trebbiare», non si ha nessuna colpa e non si potrà quindi parlare di punire l'interessato.
    In questo senso per «mietere» si intende prendere interi fasci o covoni di spighe e tagliarli con la falce. Lo strappare qualche gambo o far uscire i grani dalle spighe per smorzare la fame, equivale invece allo sbucciare una mela, e non può quindi essere trattato come un vero lavoro.
    Così pensava la maggior parte dei rabbi, non tutti però. I rigoristi o «coloro che aggravano il carico», come li si chiamava al tempo di Gesù, volevano che tutto ciò che anche lontanamente poteva richiamare il lavoro, lo sforzo e la fatica, il Sabato fosse considerato proibito.
    Per farci un'idea del pluralismo di opinioni nel Giudaismo rabbinico, citiamo qui cinque detti sulla questione del Sabato, di famosi maestri del Talmud.
    Rabbi Hija insegnava: «Mietere, vendemmiare, raccogliere le olive, sradicare, strappare, raccogliere fichi - tutto ciò rientra nel mietere ed è quindi proibito» (bShabbath
    7,9b)
    Rabbi Ismael dice: «Chi il venerdì, finchè è ancora giorno, tritura aglio, uva acerba e spighe di grano per mangiarli, può completare l'opera anche con l'inizio del Sabato».
    Rabbi Aqiba diceva: «non è consentito terminare» (b'Edujjot 2,6).
    Abaje diceva: «Chi il giorno in cui si fanno preparativi per il Sabato strofina spighe per il giorno seguente, può (di Sabato) soffiare su una mano e sull'altra (per togliere la pula) e mangiare - ma non può farlo in una cesta di pane nè in una ciotola» (bBEsah 12b).
    Rabbi Jehuda disse: «È consentito (di Sabato) trattare frutti con la mano per mangiarli, ma è proibito farlo usando uno strumento» (bShabbath 128a).
    Più che verosimile è che Gesù, il quale veniva dalla Galilea come rabbi Jehuda, l'ultimo citato, ne condividesse l'opinione liberale e ritenesse consentito di Sabato sfregare le spighe per sfamarsi.
    E lo strapparle? David Flusser formula quest'opinione: «Il traduttore greco della narrazione Ebraica originaria non aveva molta familiarità con le usanze nazionali e, per rendere più concreta la scena, aggiunse l'azione di strappare le spighe, senza pensare che in tal modo introduceva nella tradizione sinottica l'unica infrazione della Legge» (David Flusser, Jesus in Selbstzeugnis und Bilddokumenten, 1968, 44).
    Franz Delitzsch, il famoso traduttore della Bibbia, che in questo passo rende il termine «spighe» con l'Ebraico melitot (spighe ben mature), probabilmente ha instintivamente intuito il termine della fonte evangelica perduta, in cui è lecito supporre che, insieme ad esso, vi fosse anche il suo verbo derivato mll che significa «sfregare». Questo parallelismo etimologico di nome actionis e verbo è una caratteristica dello stile Biblico (v., ad es., Gios. 9,20; Is. 30,14; Lev. 26,35). Non fa quindi meraviglia che questa coppia di termini compaia anche nella Mishnà: hammollel mellitot shel hittin (uno che sfrega le spighe) - in più, in senso positivo: chi sfrega le spighe del grano con le dite del grano con le dita non deve pagarne la decima (Ma'aserot 4,5). Quest'ipotesi trova conferma nel frammento di un Vangelo degli Ebrei in uno scritto polemico Arabo del X secolo, che, in questa pericope, a proposito dei discepoli di Gesù, dice semplicemente: «Sfregarono (jafruqun) e mangiarono le spighe» (S. Pines, The Jewish Christians of the Early Centuries of Christianity According to a New Source, The Israel Accademy of Sciences and Humanities, Jerusalem 1966, 63). Questa visione concorda anche col Diaterasson Arabo (Diaterasson de Tatien, Beuruth 1935, 66).
    Per esperienza personale posso poi aggiungere che in Israele, all'epoca del raccolto, con le spighe ben mature, è del tutto superfluo, se non quasi impossibile, strapparle per mangiarne il frutto, poichè, anche solo sfregando dolcemente le spighe senza strapparle, i chicchi cadono da sè nella mano. Che «alcuni» Farisei (Lc. 6,2), bigotti oppure provenienti dalla Giudea, riprendessero Gesù per una pratica dei suoi discepoli che in Galilea era comune, non significa altro che, come in tutti i casi limite, c'erano opinione diverse, e che «taluni» Farisei non riconoscevano o non volevano accettare l'interpretazione corrente di rabbi Jehuda.
    Guardando a distanza la situazione, possiamo constatare che l'interpretazione di Gesù si è imposta nella prassi Talmudica, ancora fluida a quell'epoca, essendo ancora in corso di redazione. Ciò, quindi, che ai tempi suoi era ancora oggetto di discussione è diventato nel frattempo la regola - non da ultimo grazie a una maniera d'intendere la Torah che ricorda spesso i modi di interpretare del Nazareno.

    Rimane ancora quindi da chiarire l'argomentazione di Gesù nella difesa che fa dei suoi discepoli. Gesù rimanda al giovane Davide che, fuggendo davanti al re Saul che voleva ucciderlo cercò protezione presso i sacerdoti di Nob.
    [...]
    Ora Gesù richiama questi episodi ben noti della giovinezza di Davide, secondo la fondamentale regola rabbinica dell'analogia. Per avere forza probatoria, le due metà del suo paragone devono concordare nei tre tratti fondamentali riguardanti il chi, il cosa e il come.
    Il chi sono Davide e i suoi seguaci, che vengono paragonati a Gesù e ai suoi discepoli.
    Il che cosa sono i pani sacri della proposizione e i grani della raccolta di spighe fatta di Sabato; nei due casi cibo che in condizioni normali non dev'essere consumato. Perchè è, invece, consentito mangiarlo? Alla domanda risponde il come.
    Il come sono le circostanze straordinarie comuni ai due gruppi, ossia la fuga e il pericolo di vita che consentono loro quest'unico modo di sfamarsi. La tradizione rabbinica dice che la vicenda dei pani della proposizione accadde di Sabato (bMenahot 95b) e a Davide fa dire al sacerdote: «Dammeli, affinchè non muoriamo di fame, poichè il pericolo di vita annulla il Sabato» (Jalqut a 1 Sam. 21,5). La difesa di Gesù, quindi, regge ed è convincente solo se il pericolo di vita - terzo elemento di paragone - è altrettanto cogente per i discepoli di Gesù quanto lo fu a suo tempo per i compagni di Davide. Questa inevitabile conseguenza getta nuova luce sulle parole spesso ripetute dagli evangelisti: «Ed egli si sottrasse loro», oppure «fuggì su una montagna» - ma soprattutto sulla parole di Gesù: «Ma il figlio dell'uomo non ha dove posare il capo» (Mt. 8,20).

    LE ECCEZIONI ALLA REGOLA

    Anche questo aspetto della pericope dovrebbe essere di stimolo alla riflessione. Ma torniamo alla questione del riposo del Sabato che, come tutti i casi della prassi prescrittiva religiosa del Giudaismo, ammette situazioni speciali ed eccezioni. Anche su questa questione c'erano - e vi sono ancora oggi - vivaci discussioni e divergenze d'opinine sui particolari, ma su due punti principali tutte le scuole rabbiniche concordano: la salvezza di una vita umana (anche della propria) fa passare in secondo piano il Sabato - anche il minimo sospetto di pericolo di vita giustifica, di Sabato, ogni sorta di cura. Anche in casi di indisposizione non pericolosa, persino un mal di denti, era pienamente legittima la cura con mezzi «che comportassero lavoro».
    In secondo luogo, in caso di attacco, di aggressione o di guerra, non solo era consentito, ma era doveroso metter mano alle armi per difendere sè stessi, il popolo e la terra d'Israele, poichè fin dai tempi dei Maccabei i rabbi avevano stabilito il principio: «Il Sabato sottostà al vostro potere, non voi al potere del Sabato!» (Mekilta a Es. 31,13) - principio vitale, la cui eco risuona nelle parole di Gesù: «Il Sabato è fatto per l'uomo, non l'uomo per il Sabato» (Mc. 2,27).
    Siamo quindi in grado di datare con notevole precisione l'origine del detto di Gesù sul Sabato. Intorno al 167 prima dell'era Cristiana, allorchè la Siria, potenza pagana, aggredì direttamente Israele, le autorità nemiche notarono ben presto che un attacco portato agli Ebrei di Sabato avrebbe poturo avere grande successo poichè il settimo giorno gli Ebrei si rifiutavano di usare le armi, li si sarebbe potuti massacrare disarmati. Dopo due offensive subite di Sabato fu convocato un sinodo dei Maccabei che si pose la grave domanda: può essere volere di Dio che si santifichi il Sabato anche quando, con tale santificazione, viene messa in serio pericolo sia la santità della Terra di Israele sia la sopravvivenza stessa d'Israele? Alla quale i difensori della fede diedero concordemente questa risposta: Affinchè le future generazioni di Ebrei siano in grado di santificare debitamente il Sabato, è necessario che noi ora temporaneamentelo infrangiamo, poiche, come disse Davide nel Salmo 115: «I morti non loderanno Dio... noi, i viventi, celebreremo Dio con le parole e con le azioni, ora e in eterno».

    Concludendo: Gesù, lungi dall'inventare qualcosa di nuovo, per dimostrare che la raccolta delle spighe era rispettosa del Sabato e conforme alla Bibbia, si richiamava a questo patrimonio sapienziale corrente.

    Shalom
     
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