Consulenza ebraica per lo studio del Cristianesimo e dell'Islam

Posts written by Amos74

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    CITAZIONE (alfaom @ 30/11/2019, 17:46) 
    Correlato al mio primo quesito: al tempo di Gesù, i proseliti cosa dovevano fare prima di essere ebrei a pieno titolo, per così dire?

    Ciao,

    Per quello che so le sole notizie su Luca provengono dalla tradizione cristiana, che è ovviamente altra cosa rispetto all'indagine storica propriamente detta.Secondo tale tradizione Luca era un siro di Antiochia, nato da famiglia pagana, il quale si sarebbe convertito alla fede cristiana grazie all'opera di Paolo. Non vi sono elementi per ipotizzare che fosse un proselito: il proselito, in ebraico "gher tzedek", è un gentile (non ebreo) di nascita che decide di diventare ebreo accettando l'osservanza di tutti i precetti della Torà, a cominciare dalla circoncisione;l'acquisizione di tale status era, ed è tutt'oggi presso l'Ebraismo Ortodosso, accertata da parte del competente Tribunale Rabbinico. Condizione diversa è quella del "gher toshav", ossia del non ebreo che vive in Terra Di Israele accettando l'osservanza dei Precetti Noachidi: costui non diventa ebreo, ma acquisisce uno status ben distinto da quello degli altri Gentili, status che si estende agli altri non Ebrei che vivono fuori da Israel ma osservano i predetti Precetti Noachidi : tutti costoro sono considerati "Giusti tra le Nazioni" ed avranno una parte nel Mondo a Venire ( Rambam -Mishneh Torà --Leggi dei Re e delle Guerre 8:11)
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    "Vedo che 30Giorni( rivista cattolica, n.d.r.) ha corredato questo studio sulle traduzioni con un’immagine della guarigione dell’emorroissa. Ciò mi interessa molto. La vicenda del miracolo operato da Gesù è impressionante, perché nelle sue premesse è interamente ricompreso nell’ambito ebraico (a parte, ovviamente, la potenza miracolosa attribuita a Gesù). Questa donna aveva continue perdite di sangue e quindi non poteva avere alcun rapporto con un uomo perché era considerata impura. Se Gesù avesse voluto rompere con la tradizione avrebbe detto alla donna che la norma era superata e quindi non aveva alcuna importanza il suo stato. Ma lui non fa così, la guarisce. Siamo ancora completamente nel sistema ebraico. Ed è importante, facendo una comparazione tra i Sinottici che raccontano l’episodio, vedere che cosa tocca infatti la donna. Il lembo del mantello? No. C’è una differenza fondamentale: lei tocca la frangia del mantello. La frangia che ogni ebreo osservante portava e continua a portare. Siamo completamente in ambito ebraico. Il paradosso è che chi oggi vede l’immagine dell’emorroissa, che voi avete ripreso dalle catacombe cristiane, non capisce che cosa stia avvenendo, e cioè che la donna sta toccando lo “tzitzit” (“frangia” in ebraico). Infatti, facendo un confronto tra le versioni sinottiche, si trova che in alcune non esiste più questo dettaglio, perché evidentemente non si sapeva più come e a chi spiegarlo. Cioè, alcune versioni nascono in ambito ebraico e altre in un ambito già differente. Per questo il dettaglio della frangia si era perduto. Ma nell’affresco che voi pubblicate questo dettaglio c’è. E chi ha realizzato l’affresco aveva di fronte l’immagine di un ebreo vestito da ebreo. Per me è interessante non solo il racconto evangelico, ma anche questo dipinto.
    Quale era il significato simbolico del toccare la frangia? C’è un obbligo nella Bibbia (Numeri 15, dal verso 38) che noi ripetiamo ogni giorno nella preghiera – fa parte dei tre brani dello shemà –, che afferma che sui quattro angoli della veste occorre portare delle frange, di cui un filo sia di colore celeste, colorato con un pigmento speciale derivato da un mollusco. Successivamente questa tradizione si è perduta, ed ecco perché le frange oggi sono bianche, anche se recentemente in Israele si è ripreso a produrre questo colorante. Il segno esisteva per dire a ogni ebreo: «Ricorda, anche nell’abito che indossi, che esiste Dio ai quattro angoli». Sono frange sulle quali si fanno dei nodi, che seguono una tradizione numerica particolare e simbolicamente rappresentano il nome di Dio. Come tali quindi queste frange rappresentano la parte sacra dell’abito. Ciascun ebreo osservante indossava questo abito e continua a farlo oggi. Non era una veste solo sacerdotale. Anche oggi, quando si prega, si indossa il talled, un panno che vale in quanto ha queste frange sui suoi quattro angoli.
    L’emorroissa toccava perciò la parte sacra dell’abito, toccava quei nodi che rappresentavano il nome di Dio. Perciò, se si guarda l’immagine e non la si spiega, si perde immediatamente un legame sostanziale con l’Ebraismo.
    Per ancorarci al tema iniziale, potremmo dire che l’emorroissa chiedeva una grazia, come atto di bontà nei suoi confronti, hesed.
    Nell’immagine della guarigione dell’emorroissa, Gesù è raffigurato con i capelli corti. E ci dice che a Roma gli ebrei, pur vestendo come i romani, continuavano la tradizione di portare le frange. E ci fa capire che il pittore comunque debba essere stato almeno una volta testimone oculare delle preghiere in una sinagoga o abbia conosciuto ebrei che portavano quel segno. Sapeva ciò che aveva dipinto.”


    Rav Riccardo Di Segni
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    Ottimo Leviticus!
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    CITAZIONE (Maurizio 1 @ 9/12/2018, 11:28) 
    Il primo figlio primogenito di una coppia umana e' (secondo la Bibbia) Caino.
    Alla sua nascita sua madre dice: "ho acquistato un uomo da Hashem", mentre nulla dice alla nascita di Abele.
    E cio' e' in linea con la grande importanza che l'umanita' ha sin dall'antichita' dato al figlio primogenito.



    CITAZIONE
    Roberto Colombo
    Direttore delle materie ebraiche
    alle Scuole medie della Comunità
    di Milano e insegnante al centro
    Josef Tehillòt

    Fin dai tempi più antichi il primogenito acquistò una grande importanza nell’ambito della propria famiglia e della società in genere poiché, come simbolo di una nuova dinastia che si veniva a formare, il bekhòr era considerato un vero e proprio dono di Dio sia per i genitori, che per l’intero popolo che egli andava ad incrementare.

    Nonostante cio' la narrazione biblica fa ricadere le preferenze di Dio sul secondogenito: Abele

    Procedendo nella narrazione troviamo altri due fratelli Ismaele e Isacco.
    Anche qui abbiamo un primogenito, Ismaele, ma che non e' prescelto da Dio per la promessa fatta ad Abramo.

    Poi abbiamo Esau e Giacobbe, la storia per antonomasia di un secondogenito su cui ricade la scelta divina.

    Poi abbiamo la storia di 12 fratelli, uno di questi e' scelto da Dio per infondergli delle capacita' inpensabili per qualsiasi altro uomo, e per attuare il Suo piano di portare la famiglia In Egitto.

    Questi era Giuseppe, ma non era un primogenito.

    Ora spostiamoci nella famiglia di Jesse.
    Dio sceglie un re tra i suoi figli e manda il sacerdote Samuele per l'unzione.
    Viene scelto per caso il primogenito?
    No viene scelto il piu' piccolo: Davide.


    Insomma in quasi tutte le storie bibliche concernenti dei fratelli la scelta di DIo non ricade sul primogenito.

    Perche'? E' casuale questo? Voi che ne pensate?

    A me sembra che sia precisa (e un po' provocatoria) la scelta biblica di contrapporre le scelte di Dio (verso i piu' piccoli, verso chi e' svantaggiato) contro le logiche umane che tendono a privilegiare il piu' grande e/o il piu' forte.
    E' un po come dire che la bibbia ci tiene a descrivere che e' nella natura di Dio essere autore di scelte un po' originali non prevedibili dalla logica umana.

    Attendo il vostro parere.

    Maurizio, la tua osservazione è senza dubbio intelligente ed interessante.
    Esprimo il mio personale parere, nel senso dell'insegnamento che io vedo in questi episodi narrati dal Tanakh(non parlo quindi di quello che dice la tradizione ebraica su questo tema,perché non lo so) :in un pianeta dominato (allora come adesso) da privilegi e soprusi,le Scritture affermano che per HaShem, il Creatore dell'universo, non contano "posizioni di rendita",per quanto le stesse possano essere onorate nella società,perché davanti a Lui è la pura condotta dell'essere umano ad esprimere il "valore" dello stesso.Ciò è un filo conduttore di tutto il Tanakh : basti pensare alle grandi pagine in tal senso dei Libri Profetici e di quelli Sapienziali.

    Una scelta "provocatoria"?Non saprei, ma certamente una posizione e di conseguenza un insegnamento di alto valore etico, nettamente in contrasto con le capricciose ed isteriche "attività divine" che caratterizzano le narrazioni pagane del mondo greco-romano,dove gli dèi sono veramente l'esaltazione del lato peggiore degli esseri umani.
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    Ragazzi,

    Visto che ci troviamo in un forum intitolato "Consulenza ebraica per lo studio del Cristianesimo e dell'Islam", non sarebbe preferibile usare il termine Tanakh anziché l'espressione cristiana "Antico Testamento",che presuppone de iure la necessaria esistenza di un "Nuovo Testamento",inaccettabile su un piano ebraico?
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    CITAZIONE (Sandro_48 @ 3/12/2018, 22:29) 
    Carissimo Amos 74 ho scoperto la bellezza , profondissima del Libro di Giobbe, uno Scritto.
    Senza Contare che i Salmi e Il Cantico dei Cantici = Cantico nuziale di Salomone sono scritti.
    Sandro_48
    Ma leggere Torà e Profeti e ignorare Giobbe è un "peccato".
    Sandro_48
    3 dicembre 2018

    Carissimo Sandro,

    Concordo!

    La straordinaria bellezza e la profondità di sapienza e saggezza degli Agiografi sono un patrimonio dell' umanità,oltre che una componente nobile ed irrinunciabile della tradizione ebraica.
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    CITAZIONE (Amos74 @ 1/12/2018, 19:23) 
    Ciao Sandro,

    Ti rispondo limitatamente a quello che sono in grado di dirti sull'argomento. Per quanto ne so, secondo la tradizione ebraica l'autorità degli Agiografi,pur venerati ovviamente, non è allo stesso livello di quella del Pentateuco e dei Profeti; inoltre, tale tradizione sostiene che, mentre i Profeti e gli Agiografi sono stati ispirati da HaShem ma scritti da uomini, la Torà è stata dettata parola per parola dall'Eterno a Mosè.

    Sandro,

    Concludo la mia risposta, fermo restando che ovviamente posso esprimere un’idea personale non avendo la competenza per fornire un parere più qualificato: nell’ambito dello studio ritengo che il figlio d’Israele debba dare priorità alla Torà, e subito dopo ai Libri Profetici: questi ultimi penso rivestano un grado di ispirazione più elevato rispetto agli Agiografi, in quanto ai profeti HaShem ha parlato tramite la Ruach haQodesh ( lo Spirito Santo, inteso però quale mero strumento impersonale di cui l’Eterno si avvale, quindi senza aver nulla a che vedere con la “terza persona” della Trinità cristiana) ,tanto è vero che leggiamo in Tosefta Sotah 13:5: “Quando gli ultimi profeti, Aggeo, Zaccaria e Malachia, sono morti, la Ruach haQodesh ha cessato di parlare in Israele”.

    Questo discorso però ha un senso molto lato, perché sono proprio i maestri d’Israel, nello stesso Talmud che è la fonte di cognizione della Torà Orale, ad utilizzare ampiamente gli Agiografi per interpretare la stessa Torà, quindi alla fine credo che il concetto di “priorità” nello studio delle Scritture abbia un significato relativo nella tradizione ebraica, perché Torà ( scritta e orale),Profeti ed Agiografi costituiscono un unico corpus armonioso, in cui ogni parte si collega indissolubilmente all'altra sul piano contenutistico ed ermeneutico.
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    Ciao Sandro,

    Ti rispondo limitatamente a quello che sono in grado di dirti sull'argomento. Per quanto ne so, secondo la tradizione ebraica l'autorità degli Agiografi,pur venerati ovviamente, non è allo stesso livello di quella del Pentateuco e dei Profeti; inoltre, tale tradizione sostiene che, mentre i Profeti e gli Agiografi sono stati ispirati da HaShem ma scritti da uomini, la Torà è stata dettata parola per parola dall'Eterno a Mosè.
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    Mi associo.Grandissimo colpo!
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    Sì è vero, la traduzione dei Settanta non è considerata affidabile dalla tradizione ebraica, ma questo anche, e forse soprattutto,perché è diventata l'edizione principe utilizzata dai cristiani dei primi secoli.Il livello di traduzione è diseguale, ma non la scarterei affatto per due ragioni:

    1) Molte delle varianti rispetto al testo masoretico trovano una concordanza con i rotoli del Tanakh presenti a Qumran e con il Pentateuco Samaritano, segno che,almeno in alcuni casi, i traduttori non hanno sbagliato la resa in greco,hanno semplicemente utilizzato un testo ebraico diverso che circolava tra gli Ebrei dell'antichità ( v. quanto detto sopra);

    2) In alcuni casi la traduzione dei Settanta è molto,molto precisa e competente.Esempio: leggiamo in Deuteronomio 10:19


    “Amerete il gher perché anche voi foste gherim in terra D’Egitto "

    Gher significa letteralmente "straniero", e così è tradotto in tutte traduzioni ebraiche moderne che ho consultato in italiano ed inglese ( anche Shadal e Rav Dario Disegni).Ora, secondo la Halachà in questo brano non si parla del "gher" in generale,ma del gentile il convertito all’Ebraismo, cioè il “ger tzedek”.


    Guardate la versione dei Settanta:

    “καὶ ἀγαπήσετε τὸν προσήλυτον· προσήλυτοι γὰρ ἦτε ἐν γῇ Αἰγύπτῳ.”

    I traduttori rendono alla perfezione l'ebraico "gher" con "proselita",ossia convertito,superando in precisione tutte le traduzioni rabbiniche odierne (senza offesa per i maestri, absit iniuria verbis!)

    Nota a margine: in questo episodio della lotta di Giacobbe la Settanta rende "Elohim" con Theòs
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    Grande Leviticus. Io ho l'edizione pubblicata da Carucci Editore ( 40 euro di costo.... :blink: :blink: :blink: )
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    L’argomento è estremamente affascinante e complesso. A me pare che un filone particolarmente corposo della tradizione ebraica propenda per la teoria della “creatio ex nihilo”,in tal senso ad esempio si orientano Nachmanide e Maimonide; quest’ultimo, nella monumentale “Guida dei perplessi”,sostiene una posizione che non conoscevo:Rambam dice che in realtà la Genesi non prova l’esistenza della creazione,perché le sue parole in questa direzione potrebbero assumere un significato puramente allegorico,come quelle ad esempio che sembrano fare riferimento ad una dimensione corporea dell’Eterno.Secondo Maimonide,il Tanakh non porta nessuna prova né a favore dell’eternità della materia, né a favore della creazione , ed egli sostiene la teoria della creazione poiché aderire alla concezione della materia eterna metterebbe in pericolo la fede.

    E’ interessante notare come Rambam ragioni in ordine alla dicotomia materia eterna/materia creata, mentre è da lui trattata con scarso interesse la species, all’intero del genus “creazionista”, dell’ipotesi della creazione da una materia pre-esistente; Maimonide rileva che questa teoria è presente anche nell’esegesi rabbinica, ma la considera secondaria, giacché non ci dice nulla sull’effettiva origine della materia.

    Anche a mio avviso le ipotesi secondo la quali:

    l’Eterno abbia potuto creare e distruggere altri universi prima di creare quello in cui attualmente viviamo;

    L’Eterno abbia creato questo universo da una materia pre-esistente seppur sempre da Lui creata;

    Non pongono alcun problema rispetto alla rivelazione delle Scritture, sia perché il testo della Genesi non contraddice tali ipotesi, sia perché le stesse non contestano il principio monoteistico in base al quale HaShem è l’unico essere eterno ed il potere supremo a cui sono sottomesse tutte le realtà esistenti nell’universo.

    Mi ha invece profondamente colpito quanto sostiene il grande rabbino, filosofo e poeta Yehudah ha Levi in questo passo della sua celebre opera “Al-Khazārī”:

    “Se, dopo tutto, un credente nella Torà si trovasse nella necessità di ammettere una materia eterna e l'esistenza di molti mondi prima di questo, ciò non pregiudicherebbe la sua convinzione che questo mondo sia stato creato in una certa epoca, e che Adamo ed Eva siano stati i primi esseri umani”.

    Onoro ovviamente questo grande maestro ma credo, sulla scorta del pensiero di Rambam, che la teoria dell’eternità della materia sia ontologicamente incompatibile con il monoteismo professato dal Tanakh; infatti, se la materia fosse davvero eterna, essa Non deriverebbe da HaShem, e ciò poterebbe a mio avviso ad una delle seguenti conclusioni:

    Esistono due dèi: HaShem e la materia, in quanto entrambi sarebbero eterni e quindi "autonomi" l'uno dall'altro ;

    HaShem e la materia coincidono: ci troveremmo di fronte ad un panteismo che distruggerebbe totalmente l’idea di trascendenza di D-o e la sua irriducibile “alterità” rispetto all’universo.
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    Benvenuta!
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    Sandro,

    Io direi che la differenza è enorme: nel Cristianesimo lo Spirito Santo è una delle tre "persone" della Trinità ,ovvero è una entità dotata di propria "coscienza" ed "autonomia" rispetto alle altre due "persone", ma che nello stesso tempo è D-o come lo sono il "Padre" ed il "Figlio".Nella tradizione ebraica lo Spirito Santo (Ruach haQodesh ) è , un semplice strumento di cui HaShem si serve per rivelare la sua volontà ai profeti,(in questo senso forse si potrebbe definire un "malakh"), tanto è vero che in una fonte ebraica, che adesso non ricordo con esattezza , è scritto che alla morte di Aggeo, Zaccaria e Malachia, "La Ruach haQodesh ha cessato di parlare in Israele."
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    A questo punto ritengo utile riprendere l’interpretazione che del brano dà Rav Dante Lattes nel suo “Nuovo Commento alla Torah":


    L'episodio è evidentemente allegorico e più che all'individuo Giacobbe si riferisce alla sua discendenza, a quel popolo che si chiamerà il popolo dei figli d'Israele e che dovrà combattere, nella lunga notte della sua storia, contro gli dèi del paganesimo e contro i loro seguaci e che, per quanto ferito, uscirà dalla lotta sempre invitto.

    Non è facile spiegare - come accade spesso nei miti e nelle allegorie - tutti i particolari dell'episodio. L'uomo che Giacobbe si trovò improvvisamente di fronte era un angiolo - i dottori del Midrash dicono che era il « genio » di Esaù,- sarò shel Esav-, (perchè ogni popolo ha, secondo la concezione rabbinica, il suo angiolo in Cielo, cioè la sua specifica e immutata individualità nella storia); quell'angiolo era dunque la personificazione delle inimicizie, delle lotte, delle rivalità che per l'uomo giacobbe erano in quel momento rappresentate dal fratello Esaù e che per il popolo d'Israele dovevano incarnarsi prima negli Idumei e al tempo di Erode l'idumeo, nei Romani che, nella terminologia rabbinica, ne ereditarono il nome e i caratteri di fiera ostilità.

    Secondo J.H.Hertz (Rav Joseph Herman Hertz,Rabbino Capo del Regno Unito dal 1913 al 1946,n.d.r.) l'episodio rappresenta la crisi della storia spirituale di Gíacobbe: la storia narra cioè il suo incontro coll'essere celeste, il cambiamento del suo nome in quello d'Israel, la benedizione dell'angiolo che aveva lottato con lui e la conseguente trasformazione del suo carattere che, liberatosi dalle cattive e basse passioni, eleva l’anima ai più nobili ideali; (egli non è più Jaaqov, colui che ingannò suo padre e sostituì suo fratello nella primogenitura e nella benedizione, ma è Israel, il campione di D-o, il milite del Signore, il combattente contro le avverse situazioni provocate dalle imponderabili forze della storia, dalle inimicizie teologiche, o dalla malvagità degli uomini e dalle sue proprie passioni).

    Bisognerebbe ammettere, secondo la spiegazione data dal dr. J.H. Hertz, che l'angiolo sia l'incarnazione esteríorizzata di quanto c'era di impuro, di immorale, di basso, nello spirito di Giacobbe; ciò che è poco plausibile, perché si tratta di un essere divino, anzi della personificazione di D-o medesimo, d'un angiolo in figura umana con cui - come in altri casi – D-o si scambia e si immedesima: tanto è vero che Giacobbe dice di aver veduto Idd-o coi propri occhi (XXXII, 31), ed una delle interpretazioni date al nome Isràel è- ish raàh el- (l'uomo che- vide D-o). Si potrebbe spiegare l'allegoria, rispettando tutti i simboli e, per dir così, le persone dell'episodio, in questo modo: cioè che fino a quel momento Giacobbe aveva adoperato mezzi poco onesti per ottenere quanto credeva che gli spettasse di diritto, cioè l'astuzia e le vie coperte, e aveva approfittato più delle occasioni propizie che delle sue buone ragioni; ora egli aveva invece combattuto a viso aperto, per quanto fosse solo e fosse stato assalito all'improvviso, come in un'insidia nottuma, da un essere incommensurabilmente più forte di lui e non aveva tratto motivo di orgoglio dalla sua vittoria, ma anzi di profonda umiltà. Sono i due momenti áella sua vita, le due espressioni del suo carattere che il profeta Osea (XII, 4) riassume molto brevemente così: «Nell'alvo materno afferrò il fratello per il calcagno - e colla sua forza combattè contro un essere divino, - combatte coll'angiolo e vinse, - pianse e lo supplicò. – D-o lo trovò a Beth-el, - e là parlo con lui».

    Israele deve seguire questo secondo metodo; solo allora la vittoria sarà meritata.

    Secondo una leggenda che deriva da antiche fonti della letteratura mistica, l'episodio avrebbe rivestito il carattere e il valore d'una specie di atto di riabilitazione di Giacobbe, sarebbe stato cioè il riconoscimento della sua onestà. L'angelo si sarebbe presentato a Giacobbe sotto le sembianze di Esaù e gli avrebbe detto: «Tu sei un impostore, pechè avevi detto a tuo padre di essere Esaù, il suo primogenito, ciò che era una menzogna». Di fronte a questa accusa, con cui dopo tanti anni egli veniva colpito tornando a casa, Giacobbe si sarebbe difeso, asserendo che quando aveva acquistato la primogenitura egli era diventato di pieno diritto il successore di Esaù. A quest'argomento l'angiolo avrebbe replicato, pronunziando una sentenza di piena assoluzione: «Da ora in poi non ti dovrai più chiamare Giacobbe,- l'impostore- ma Israele, cioè shèar-el, il rimanente di dio di cui parla il profeta Zefaniah (III,13)”. Il rimanente Israele non commette iniquità nè dice menzogne”. Non sarebbe la crisi spirituale di Giacobbe, quale ha voluto scoprirvi il dott. J.H. Hertz, ma la ribellione della sua coscienza, la lotta della sua onestà contro l'accusa d'inganno e d'impostura e contro il dubbio e il rimorso che forse lo mordevano, rivedendo i luoghi della sua giovinezza e preparandosi a incontrare il fratello. Nella notte silenziosa, solo colla sua coscienza, egli aveva vinto la lotta contro il rimorso, ma nelle carni gli erano rimasti i segni dell'aspra battaglia.




    Ricordiamo sempre che Rav Lattes aderisce a quel filone della tradizione ebraica, oggi ampiamente maggioritario,che vede negli angeli manifestazioni teofaniche apparentemente esistenti,in realtà prive di dimensione tangibile e materiale,bensì "provvidenziali allucinazioni,volute e preordinate da D-o" (si ripende qui il pensiero di Rav Elia Benamozegh).E' per questo che nel Tanakh troviamo episodi in cui HaShem ed un angelo "si succedono e si sostituiscono l'un l'altro nello stesso racconto" ( parole sempre di Rav Lattes),come nel caso in questione secondo quanto dice sullo stesso Osea 12:3-5 (prima "elohim",poi "malakh"), oppure come accade in Genesi 16:7-13, dove prima leggiamo che fu il "Malakh YH**" a parlare ad Agar, e poi al verso 13 di dice che "Agar chiamo YH**,che le aveva parlato"
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