Consulenza ebraica per lo studio del Cristianesimo e dell'Islam

Posts written by leviticus

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    Quando è stato scritto il libro delle lamentazioni?

    Di Naftali Silberberg



    L'idea comune è che il libro delle Lamentazioni , che piange la distruzione del primo tempio sacro e il conseguente esilio della nazione ebraica, fu scritto in risposta a quei tragici eventi. Molti dipinti raffigurano il profeta Geremia , l'autore di Lamentazioni, che penetra l'opera mentre sullo sfondo Gerusalemme e il Tempio stanno andando in fumo.

    In realtà, l'opinione ebraica ampiamente accettata è che Lamentazioni (o almeno la maggior parte di esso) è stato scritto anni prima degli eventi calamitosi reali che descrive.

    Il primo tempio fu distrutto nel 423 a.C. Diciassette anni prima, d.io aveva incaricato Geremia: “Prendi per te un rotolo e scrivi su di esso tutte le parole che ti ho detto riguardo a Israele e riguardo a Giuda . . . Forse la casa di Giuda ascolterà tutto il male che ho intenzione di fare loro, affinché si pentano, ognuno della sua via malvagia, e perdonerò la loro iniquità e il loro peccato ”.

    Geremia, che fu imprigionato all'epoca (apparentemente perché il re Jehoiakim era stanco di ascoltare le profezie di Geremia che predicevano la caduta di Gerusalemme), dettato al suo devoto studente Baruch ben Neriah tre capitoli, ogni capitolo composto da 22 versi, ogni verso che inizia con un lettera diversa, seguendo l'ordine dell'alfabeto ebraico. Questi capitoli descrivono in modo vivido e straziante le tragedie e le calamità che sarebbero accadute a Giuda. I capitoli parlano al passato, lamentando questi eventi come se si fossero già verificati.

    Baruch scrisse questi capitoli su una pergamena e, su istruzione del profeta, li lesse alle persone radunate nel Tempio. Alla fine, il documento fu letto davanti al re Jehoiakim, che sentendo solo i primi versi lanciò insensibilmente la pergamena nel camino.

    Di.o ordinò quindi a Geremia di riscrivere le profezie. Geremia dettò di nuovo le profezie al suo studente, questa volta aggiungendo un capitolo aggiuntivo: uno che conteneva 66 versi, i primi tre che iniziano con la lettera aleph , i tre successivi con un beit e così via. 1

    I primi tre capitoli scritti da Geremia costituiscono i capitoli 1, 2 e 4 del libro delle Lamentazioni. Il capitolo di 66 versi che ha aggiunto è il capitolo 3. Il capitolo 5 — l'unico capitolo che non è un acrostico alfabetico, sebbene contenga anche 22 versetti — fu aggiunto da Geremia in un secondo momento.

    (Il capitolo 4 era originariamente composto come elogio per il re Giosia ( Yoshiyahu ), il padre di Jehoiakim. 2 A differenza di Jehoiakim, Giosia era un individuo veramente santo, come testimonia la Torah ( II Re 23:25) : “Prima di lui non c'era un re come colui che è tornato a Di.o con tutto il suo cuore e con tutta la sua anima e con tutta la sua forza, secondo l'intera Torà di Mosè , e dopo di lui non è sorto nessuno [della sua statura] ”. 3 )

    E infatti, diciassette anni dopo, il nono di Av nell'anno 3338 dalla creazione, il Tempio fu distrutto e gli ebrei condotti in cattività, proprio come aveva profetizzato Geremia. 4

    Da allora, il libro di Lamentations viene letto ogni anno alla vigilia del nono di Av


    Riporto la nota 4

    Quanto sopra si basa sul Talmud (Moed Katan 26b), citato in Rashi (a Geremia 36:23 e Lamentazioni 1: 1) , e l'opinione del rabbino Giuda nel Midrash (Eichah Rabbah 1: 1). Vi è, tuttavia, anche l'opinione del rabbino Neemia (citato nel Midrash loc. Cit.) Secondo cui Lamentazioni fu scritta dopo la distruzione del Tempio, poiché "lamentiamo il defunto prima della sua morte? "

    Per le altre si veda la fonte oroginale

    www.chabad.org/library/article_cdo...ons-Written.htm

    Edited by leviticus - 3/9/2019, 16:58
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    Le virgolette finiscono alla fine di Genesi 2:23, la traduzione del commento di Rashi sul principio di Genesi 2:24 dice:

    "Lo Spirito Divino dice questo, proibendo così anche la relazione immorale con i "Figli di Noè" (Sanhedrin 57b-58a)

    Sul discorso "voce narrante" se vi può interessare potete leggere Meir Sternberg, un critico letterario israeliano che fa un' approccio "letterario" alla Bibbia.
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    Qui potete trovare il link per il download del pdf gratuito del testo in inglese a seguire una breve recensione:

    www.google.com/url?sa=t&source=web...wU2k-dng7aIdc7c



    Ebrei che si sognavano tedeschi

    Recensione di Giorgio Montefoschi | Corriere della Sera - 09/02/2018



    «Negli anni precedenti la Prima guerra mondiale — racconta Gershom Scholem all’inizio del suo libro di memorie intitolato Da Berlino a Gerusalemme — Berlino era tutto sommato una città molto tranquilla. Durante i miei primi anni di scuola andavo con la mamma a trovare i nonni a Charlottemburg con il tram a cavalli, partendo da Kupfergraben e attraversando il Tiergarten, che era ancora un vero, grande parco. Solo la metà delle strade era asfaltata, e in molti quartieri, soprattutto nell’est e nel nord, gli omnibus a cavalli strepitavano ancora sul selciato. I primi autobus furono una novità sensazionale, e salire sull’imperiale era un ambito piacere».

    La comunità ebraica alla quale appartenevano gli Scholem, una tipica famiglia delle media borghesia di orientamento liberale che, da piccoli e modestissimi inizi, aveva risalito la scala sociale grazie al proprio lavoro — erano proprietari di una tipografia — raggiungendo il benessere, contava all’epoca 144 mila persone. A Berlino esistevano ovunque sinagoghe, scuole e licei ebraici, circoli culturali e politici di ispirazione ebraica, e stava nascendo il sionismo. Ma la pratica religiosa non era particolarmente seguita, mentre l’assimilazione all’elemento tedesco, nonostante il montante antisemitismo, era molto avanti. Un giovane ebreo che non fosse appartenuto alla minoranza fedele ai precetti si trovava, da un lato, di fronte a un progressivo sfaldamento spirituale dell’ebraismo, dall’altro, di fronte a una confusa mescolanza di tradizioni e di costumi, al desiderio della maggioranza degli ebrei di sentirsi parte della nazione germanica. Il tema dell’assimilazione — al quale Giulio Busi, nella sua postfazione, dedica osservazioni illuminanti — è l’argomento centrale di questo libro imprescindibile per comprendere la tragedia dell’Olocausto. Scholem lo chiama autoinganno: «L’incapacità di giudizio della maggior parte degli ebrei in ciò che li riguardava direttamente, benché fossero altamente capaci di ragionevolezza, discernimento e lungimiranza quando si trattava di altri fenomeni, questa inclinazione all’autoinganno, rappresenta uno degli aspetti più importanti e sciagurati dei rapporti fra ebrei e tedeschi».



    Gli ebrei volevano essere tedeschi; volevano partecipare alla vita pubblica e a quella politica; volevano — e tra coloro ci fu Martin Buber — combattere in guerra nell’esercito tedesco. I loro collegi, al di là di alcuni elementi del rituale ebraico, erano rigidamente nazionalisti. Nelle famiglie, come in quella di Gershom Scholem, la figura dell’ebreo ortodosso, proveniente in prevalenza dall’Europa orientale, era vista con fastidio. E se qualcuno — per esempio un appartenente al gruppo Jung Juda — proponeva di istituire in una scuola religiosa un corso che comprendesse lo studio dell’ebraico, delle fonti bibliche e del Talmud, il progetto veniva lasciato cadere. «Oggi — scrive Scholem — nessuno mi crederà se dico che, prima della Grande guerra, la numerosa e ricca comunità ebraica di Berlino si rifiutava ostinatamente di permettere l’istituzione di un simile corso». In quanto al sionismo, il sentimento più diffuso era quello della diffidenza. Basterebbe ricordare che cosa disse in proposito Hermann Cohen, un grande filosofo, veneratissimo, capo della scuola neokantiana di Marburg, autore di un libro intitolato La religione della ragione secondo le fonti dell’ebraismo , a un altro importante studioso, Franz Rosenzweig, traduttore di preghiere e poesie liturgiche, autore di un libro intitolato Stella della redenzione , quando quest’ultimo gli chiese che cosa avesse in fondo contro quel movimento. Come se volesse rivelargli un segreto, Cohen gli sussurrò all’orecchio: «Quei tipi vogliono essere felici!».

    Secondo lui, come secondo molti altri, quegli uomini che, invece di immergersi nell’ancestrale magia del mondo ebraico, non delimitabile in uno spazio terreno, fondavano colonie e villaggi, perdevano il loro tempo inutilmente. Per reagire a questa dispersione dell’identità, il giovane Scholem chiede aiuto alla storia. E ai libri.


    L’esperienza decisiva l’ha avuta una domenica di primavera del 1913: in uno stesso giorno ha imparato a memoria la prima pagina del Talmud e letto un commento al primo capitolo della Genesi . Da quel momento, la sua ansia di imparare l’ebraico, di riappropriarsi della tradizione, di conoscere ogni testo, ogni glossa, ogni commento, non conosce limite. Pur frequentando le lezioni di matematica, e con tale interesse e profitto da ricevere, dopo la laurea, l’offerta di una cattedra universitaria, non smette di leggere, leggere e poi ancora leggere, di trascorrere settimane nelle biblioteche, di scovare libri antichi e preziosi nelle librerie antiquarie. Finché non incontra lo Zohar (Il libro dello splendore), il misticismo ebraico e la qabbalah , nello studio della quale si getta con tutta la passione della scoperta e la furia filologica che non lo abbandonerà mai, diventando ben presto uno dei più grandi conoscitori di quel mondo misterioso e affascinante, fitto di simboli inestricabili, delle combinazioni numeriche più ardite. Insomma, lui così giovane, scacciato di casa da un padre deluso che non sia messo negli affari, curioso di ogni nuovo incontro «è già Scholem». Un ragazzo che immediatamente diventa amico e sodale di Walter Benjamin; che passeggia nei parchi col mitico Agnon (futuro Premio Nobel), ascoltando da quella tenera voce le sue meravigliose leggende; che parla a tu per tu con Martin Buber; e scrive articoli; fa conferenze nei circoli, dove ad ascoltarlo c’è anche Felice Bauer, la fidanzata di Kafka.

    Il ritratto che nella terza età della sua vita fa della Germania ebraica e non ebraica dei primi anni del Novecento quest’uomo famosissimo, inesorabilmente critico e litigioso, autore di libri importantissimi, ma soprattutto di quel capolavoro che è Shabbetay Sevi. Il messia mistico (la storia di un pazzo visionario che alla metà del Diciassettesimo secolo volle persuadere se stesso e gli altri di essere il Messia, e per riscattare l’ultima impurità del male si fece musulmano), ebbene, questo ritratto è stupefacente e grandioso: le università, le biblioteche, i giornali, le riviste, i sionisti e gli antisionisti, la borghesia torpida e un mare di cultura. E un intero popolo, cieco, sull’orlo di un abisso.

    Altrettanto grandioso, ma per altri motivi, e per chi sappia leggere fra le sue righe, abbandonando Scholem alla inesausta ostinazione del filologo, nonché del bibliofilo in giro per le botteghe di Mea Sharim, è il capitolo finale del libro — che avremmo voluto più impastato nella bellezza dei luoghi, e più lungo — nel quale, siamo nel 1923, l’autore racconta il suo arrivo e i suoi primi anni nella Terra Promessa e a Gerusalemme. Anche qui ci troviamo in una situazione abbastanza incredibile. Scholem sembra che non «veda» nulla. Non ci descrive neppure una volta la mura della città, il deserto della Giudea, il grano della Galilea, il mare di Jaffa. Il suo interesse è, e continua a essere, uno soltanto: la carta stampata, magari consumata dalle cimici, nella quale può esserci una precisazione fondamentale sulla Parola di Dio. Ma quei contadini — che ci appaiono fra un libro e un altro — piegati a dissodare la terra di Israele, quei mormorii delle preghiere che salgono dalle «case ungheresi», quelle quattro strade fuori delle mura, quell’unico cinema, quella voglia di continuare a esistere in un luogo perenne, sono commoventi. Così come è commovente la descrizione, sempre così asciutta, dell’inaugurazione, nel 1924, dei primi edifici dell’Università di Monte Skopus, oggi una delle più famose del mondo: con Lord Balfour nella luce del tramonto, a pronunciare in piedi l’elogio del popolo ebraico sui gradini dell’anfiteatro che guarda la valle del Giordano.

    Da qui

    www.informazionecorretta.com/main.p...ez=120&id=69464
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    Qui potete trovare il link per il download gratis della versione inglese del testo:

    "Ritorno a Di.o. Norme sulla Teshuvà" di Mosè Maimonide, La Giuntina.

    www.google.com/url?sa=t&source=web...8XuadAaAkrcvpl3

    Titolo in inglese "Moses Maimonides on Teshuvah: The Ways of Repentance, A New Translation and Commentary" di Henry Abramson, Henry Abramson at Samshwords 2012.

    L'ebraismo, rifiutando con decisione l'idea di fato, riconosce all'uomo la possibilità di plasmare il proprio futuro, abbandonando il peccato e facendo ritorno a Di.o. Teshuvà, che in ebraico significa appunto "ritorno", nel linguaggio rabbinico indica pentimento, rifiuto del peccato, confessione della colpa e richiesta di perdono alla parte lesa, e rappresenta l'unico mezzo per alterare il rapporto obbligato tra peccato e punizione. In questo breve trattato, articolato in dieci capitoli, Maimonide espone le norme che aiutano l'uomo a raggiungere il pentimento, delineando autentici "percorsi di ritorno".
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    Tornano le volpi al Muro del Pianto (kotel) come nella profezia biblica.


    Secondo la profezia biblica, ora che il tempio sterile è diventato un terreno pedonale per le volpi, sarà ricostruito.
    Mentre il mondo ebraico conta i giorni fino al nono di Av (Tisha Be'Av), la data in cui gli ebrei piangono la distruzione dei due templi di Gerusalemme in seguito alla sua distruzione da parte dei romani, sono state avvistate volpi che camminavano vicino al muro occidentale , un comunicato stampa riportato giovedì.

    È scritto nel Libro delle Lamentazioni (5:18), che si legge su Tisha Be'Av, che il Monte Sion - dove sorgevano i Templi - sarà così desolato che "le volpi ci cammineranno sopra". La comprensione, secondo il Talmud nel trattato Makkot (24b) è che se le profezie di distruzione si sono adempiute, così saranno quelle del profeta Zaccaria riguardo alla ricostruzione del Tempio.


    Il rabbino Shmuel Rabinowitz, il rabbino delle Mura occidentali e dei luoghi sacri, ha fatto riferimento alle foto delle volpi e ha commentato: "Non si può trattenersi dal piangere sul luogo dell'adempimento della profezia delle 'volpi che vi cammineranno sopra".

    Da qui

    www.google.com/amp/s/www.ilmessagg...me-4668066.html

    www.breakingisraelnews.com/134846/...eturning-glory/

    www.jpost.com/Israel-News/Foxes-se...-promise-598053

    Qui il video



    Edited by leviticus - 17/8/2019, 21:02
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    Riguardo i primogeniti del bestiame sempre dalla medesima fonte

    "... perché li adoravano come dei. Quando il Santo, benedetto sia Lui, applica la punizione di una nazione, punisce i loro dei allo stesso tempo (Genesi Rabbah 96: 5)."
  7. .
    Assolutamente no, Hitler nei suoi scritti (come del resto anche Mussolini, Lenin e Stalin) e' estremamente critico (per usare un eufemismo) con la Chiesa definita "inumana e brutale" e il Cristianesimo che definisce come il "colpo più duro che l’umanità abbia ricevuto" per citare solo alcuni degli infiniti giudizi negativi di cui sono corredati i suoi libri come "Mein kampf" e "discorsi a tavola" ma anche altri.
    Sul rapporto Nazismo - Chiesa Romana si può poi discutere.

    Idem per il concetto di "obbedienza", non c'è solo negli scritti paolini o in relazione a Pietro ma anche negli atti degli apostoli e nel vangelo di Giovanni.

    PS ricordo che per regolamento non si possono attaccare genericamente religioni, istituzioni e via dicendo.

    Edited by leviticus - 8/8/2019, 11:29
  8. .
    Nella traduzione in italiano dall inglese a sua volta dall ebraico del commento di Rashi a Esodo 11:5 troviamo una citazione di un Midrash in riferimento alla paracha di Bo (che contiene questa parte dell esodo) :

    "dal primogenito di Faraone al primogenito... Tutti coloro che avevano meno importanza del primogenito di Faraone e maggiore importanza rispetto al primogenito della ancella sono inclusi in questa descrizione. E perché i figli delle ancelle furono colpiti? Perché anch'essi li trattavano (gli israeliti) come schiavi e si rallegravano della loro miseria (Midrash Tanchuma, Bo 7).

    Da qui :

    www.sefaria.org/Rashi_on_Exodus.11.5.1?lang=bi
  9. .
    E'scritto sopra, sta parlando di quando i bambini stanno continuando le vie malvagie dei loro genitori... ci si riferisce specificamente a uno scenario in cui i figli o i nipoti continuano nei modi cattivi dei loro genitori.

    Riguardo la morte dei primogeniti nell'articolo di fonte ebraica chabad usa che segue si dice:

    ".. Il Talmud e il Midrash ci dicono che.. non fa distinzione tra i giusti e i malvagi". Per questo motivo, anche un ebreo avrebbe potuto essere colpito...

    Per approfondire su questo si veda Mechilta to Exodus 12:22 . Talmud, Baba Kama 60a. Portato da Rashi a Esodo 12:22 .


    Lo scopo delle prime nove piaghe non erano punire o distruggere gli egiziani. Il loro unico scopo era di far conoscere loro d.io
    Dato che il popolo ebraico conosceva già Di.o non era necessario che avessero le piaghe. D'altra parte, la morte del primogenito doveva punire gli egiziani. Dal momento che il popolo ebraico cadde ai livelli più bassi di degrado spirituale in Egitto anche loro avrebbero potuto essere colpiti pertanto, hanno dovuto prendere delle precauzioni.

    Per approfondire su Midat ​​Hadin ("l'attributo del giudizio") è su Mashchit, "il distruttore", che proviene da Midat ​​Hadin si veda articolo intero.

    https://www.chabad.org/parshah/article_cdo...e-Firstborn.htm

    Edited by leviticus - 30/7/2019, 13:13
  10. .
    Riportiamo un pensiero sul tema dello storico Filippo Maria Lucrezi:


    Collegandomi a quanto ho avuto modo di scrivere nella mia nota settimanale di​ mercoledì scorso, riguardo ai concetto di laicità e di libertà “di religione” e “dalla religione”, vorrei svolgere qualche breve considerazione riguardo alla parola che è al centro di tali nozioni, e il cui significato si dà spesso per scontato, come se si trattasse di una nozione ovvia, da tutti conosciuta e da tutti intesa nello stesso modo. Tutti sanno che ci sono e ci sono state diverse religioni, sulle quali ognuno la pensa a modo proprio. Quelle appartenenti al passato (l’Olimpo greco e romano, i culti precolombiani, l’animismo ecc.), ormai, stanno solo nei libri di storia, inutile chiedersi se fossero buone o cattive, belle o brutte. Tra quelle ancora in vita, chi crede in una di esse, può avere verso le altre gli atteggiamenti più diversi (simpatia, avversione, indifferenza ecc.), così come gli atei o gli agnostici possono giudicarle, tutte insieme o singolarmente, nei modi più diversi. Tutti, però, quando pronunciano la parola “religione”, credono di fare riferimento a un concetto ben preciso, di cui tutti ritengono di conoscere il senso.
    Invece, non c’è forse parola, in tutte le lingue del mondo, dal significato più mutevole, complesso, sfuggente, prismatico. Di questa parola, forse, si può dire lo stesso che disse Sant’Agostino a proposito del tempo, ossia che è quella cosa che tutti sanno che cosa sia, a meno che non lo si debba spiegare. E non è un caso, perché le parole “religione” e “tempo” hanno molto in comune, essendo la prima, in pratica, deputata a svelare il mistero della seconda. Può essere utile, al riguardo, rileggere quanto ebbe a scrivere, a proposito, uno dei massimi studiosi del fenomeno religioso, Angelo Brelich: “La storia delle religioni, o anche di una religione… non è la storia dell’inesauribile varietà di comportamenti, idee, reazioni, sentimenti, credenze, esperienze religiose, diversi non solo di epoca in epoca e di classe in classe sociale, ma di momento in momento anche nella vita di un singolo individuo e di individuo in individuo anche nello stesso momento; una tale concezione confonderebbe la religione con la religiosità, trascurando l’essenziale aspetto istituzionale della prima. Ogni singola religione è un complesso di istituzioni che non cambiano di giorno in giorno e si conservano indipendentemente dalla sempre varia e mutevole religiosità degli individui, che è il rapporto soggettivo, hic et nunc, di questi con le istituzioni”. (Appendice a Tre variazioni romane sul tema delle origini, ed. 2010).
    È davvero difficile trovare un comune denominatore di tutte le espressioni religiose, di ogni luogo e ogni tempo, qualcosa che accomuni le offerte agli dei omerici alle odierne processioni mariane, i sacrifici praticati dagli antichi maya alle adorazioni del sole e delle luna, il culto di Mani e Zoroastro alle pratiche sacerdotali per propiziare il raccolto, la pioggia, gli esiti delle battaglie ecc. Ma tutte queste cose, secondo Brelich, attengono alla storia delle istituzioni religiose – quella dei riti, dei sacerdozi, dei templi -, l’unica di cui siamo in grado di sapere qualcosa, l’unica che può entrare nei libri di storia. Perché della storia della religiosità degli uomini, in realtà, non siamo in grado di sapere assolutamente nulla. Sarebbe così difficile, come giustamente nota il grande studioso, perfino sintetizzare quale sia il nostro personale sentimento religioso in un preciso momento. Anche chi dica, sbrigativamente, “credo”, o “non credo”, non fa che ridurre in una formuletta un bagaglio di pensiero che richiederebbe ben altra articolazione.
    Personalmente, penso che le religioni, in tutti i luoghi e tutti i tempi, siano servite e servano essenzialmente a due obiettivi opposti: cercare di interpretare il senso dell’esistenza; non porsi domande sul senso dell’esistenza. Nascono, infatti, per dare una risposta a questa domanda di senso, ma poi si ritualizzano, e diventano istituzioni, perché questa dolorosa ricerca venga abbandonata, a vantaggio di più rassicuranti e innocue pratiche collettive. La storia delle istituzioni religiose è una storia di identità, appartenenza, divisioni, contrapposizioni, conflitti. La storia delle religiosità – che non si può raccontare – accomuna tutti gli essere umani, senza alcuna distinzione, e finirà con la fine degli uomini.

    Da qui :

    http://moked.it/blog/category/attualita/
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    Devi avere l'account premium, altrimenti lo puoi aggirare abbastanza facilmente senza pagare usando uno dei link a questo sito:

    https://www.jguana.com/come-scaricare-da-r...ccount-premium/
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    Riporto la parte relativa alla cronologia dell'ampia disamina sulle figure di Esdra e Neehmia in questo saggio di fonte conservative

    www.jewishvirtuallibrary.org/ezra-and-nehemiah-books-o

    L articolo è estremamente dettagliato, presenta le varie ipotesi e critiche, le scoperte archeologiche più recenti ed ha una ricchissima ed insostituibile Bibliografia per approfondire con testi chiave sia datati che recentissimi.


    .. Esdra-Neemia si occupa del periodo della restaurazione della comunità ebraica in Giuda, allora la provincia persiana di Yehud, nel VI-V secolo aC durante i circa 100 anni tra il tempo dell'editto di * Ciro (538) che consentì agli ebrei di tornare a Gerusalemme e al 32 ° anno del regno di Artaserse I(433). Tre diversi periodi sono rappresentati nei libri, ognuno con diversi leader e diverse missioni reali. Il primo periodo (Esdra, capitoli 1–6) va dal tempo dell'editto di Ciro (538) fino alla ricostruzione del tempio (516), quando i capi degli ebrei erano Sheshbazzar e Zerubbabel. Il secondo periodo (Esdra, capitoli 7–10 e Neh., Cap. 8) inizia nel settimo anno del regno di Artaserse (458), quando a Esdra viene assegnato un mandato reale per ricondurre un gruppo di esiliati a Gerusalemme. Il terzo periodo (Neh., Capitoli 1–7 e 9–13) comprende un periodo di 12 anni dal 20 ° anno del regno di Artaserse (445) fino al suo 32 ° anno (433), e si occupa del lavoro di Neemia.

    IL PRIMO PERIODO ( EZRA, CAP. 1–6)

    Il primo periodo, che abbraccia 22 anni dal 538 al 516, include un resoconto di (1) l'editto di Ciro; (2) un elenco dei primi rimpatriati; (3) restauro del culto e posa delle basi del Tempio; (4) opposizione all'edificio del Tempio; (5) l'appello a * Darius e la sua risposta favorevole; e (6) il completamento del Tempio. In questo periodo i leader erano * Sheshbazzar e * Zerubbabel . Si pensa che Sheshbazzar sia identico a Senanazzar (il quarto figlio di Ieconia (Jehoiachin), ICron. 3:18), ed è definito sia principe (נָשִׂיא) che governatore (פֶּחָה). Zerubbabel è uno dei leader del primo emigrato (2: 2) e probabilmente successe a Sheshbazzar (4: 2), sebbene si dice che entrambi abbiano gettato le basi del tempio (Sheshbazzar in Esdra 5:16 e Zerubbabel in Zech. 4 : 9).


    L'Editto di Ciro (1: 1–11)

    Nel libro di Esdra sono riportati due resoconti sull'editto di Ciro: una versione ebraica in ebraico e una versione persiana in aramaico. La versione ebraica / ebraica fa dichiarare a Ciro che Di.o gli ha dato "tutti i regni della terra", che ha ordinato la ricostruzione del Tempio e che qualsiasi popolo di Di.o che lo desidera può tornare ad aiutare nello svolgimento dell'ordine (1: 1–3). La versione persiana / aramaica fornisce ulteriori dettagli che descrivono in dettaglio le specifiche del tempio da costruire (ad esempio, la sua altezza e larghezza dovrebbe essere di 60 cubiti, emulando il tempio distrutto dai babilonesi), che le spese per il tempio saranno pagate dallo stato, e quei preziosi utensili catturati da * Nabucodonosor portato a Babilonia sarànno restituiti (6: 3–5). Quest'ultimo fatto è effettivamente menzionato nel primo capitolo di Esdra (v. 7). Ciro rilasciò gli oggetti di culto e li consegnò a Sheshbazzar, il governatore di Giuda, tramite Mithredath, il tesoriere dello stato. Il cilindro di Ciro registra atti simili di amnistia e favore mostrati ai popoli e alle divinità di altri paesi in seguito alla sua conquista di Babilonia nel 539 (Cogan).

    Un elenco dei primi rimpatriati (2: 1–3: 1)

    L'elenco degli esiliati di ritorno con Zerubbabel è dettagliato per famiglia, luogo di origine, professione (ad es. Sacerdoti, leviti, guardiani, ecc.). Poiché questa lista è ripetuta nella sua interezza in Neemia (Neh. 7: 6–8: 1a), si è discusso molto sullo scopo della lista e su dove la lista originariamente apparteneva. Molto probabilmente, lo scrittore nel Libro di Esdra stava usando un elenco successivo compilato per altri usi, e il suo scopo all'inizio di Esdra è di ingrandire la prima risposta degli esiliati all'editto di Ciro. Tuttavia, nel Libro di Neemia, l'elenco viene utilizzato per uno scopo diverso, come punto di partenza di una campagna per indurre coloro che si erano stabiliti altrove in Giuda a trasferirsi a Gerusalemme, che necessitava di ripopolamento.

    Restauro del culto e gettare le basi del tempio (3: 2–13)
    Tra le prime attività degli esiliati di ritorno nel 538 c'erano l'erezione di un altare sul sito del Tempio, il rinnovamento del culto sacrificale e la celebrazione della festa dei Tabernacoli. Furono quindi fatti i preparativi per la ricostruzione del Tempio, parallelamente ai preparativi per il Tempio di Salomone. La posa delle basi è stata eseguita con un servizio speciale: preghiera e canto. La risposta della gente fu entusiasta e piansero di gioia. Tuttavia, ci furono un certo numero di esiliati che avevano visto il primo Tempio, e queste persone piansero in memoria di questo Tempio distrutto a tal punto che il pianto di gioia non poté essere distinto da quelli che piangevano in memoria del Tempio distrutto.

    Opposizione all'edificio del tempio (4: 1–24)

    I lavori sul tempio non procedettero senza intoppi e, sebbene iniziarono nel secondo anno dopo il ritorno (537), i lavori non proseguirono fino al secondo anno di Dario I(521). Il lungo ritardo di circa 21 anni tra la posa delle fondamenta del tempio nel 537 e il suo completamento nel 516 è spiegato come dovuto all'opposizione della popolazione locale. L'opposizione è nata principalmente a seguito della politica di esclusione dei rimpatriati riguardo al permettere alla popolazione indigena di partecipare allo sforzo di ricostruzione. I rimpatriati credevano di essere i veri rappresentanti del popolo di Dio che erano andati in esilio e che quelli che non erano andati in esilio ma erano rimasti nel paese, o erano discendenti di sfollati che avevano successivamente adottato la religione di Israele, non erano autorizzati a partecipare a questo progetto. Gli avversari sono chiamati צָרֵי יְהוּדָה וּבִנְיָמִן "avversari di Giuda e Benjamin" e עַם־הָאָרֶץ "popolo della terra" e hanno tentato di contrastare lo sforzo di ricostruzione con vari mezzi tra cui la scrittura di lettere accusatorie ai re persiani. Queste lettere accusatorie contenute in 4: 6–23 sono problematiche per due motivi: in primo luogo, perché non si occupano della ricostruzione del Tempio ma della ricostruzione della città, e in secondo luogo perché queste lettere sono indirizzate ai re persiani che regnarono a lungo dopo che il tempio fu effettivamente completato (516). Queste lettere vengono inviate a * SerseI (486–465) e * Artaserse I (465–424). Che la sezione che contiene queste lettere sia fuori posto è chiaro dal fatto che si trova in un posto diverso in I Esdra, dove queste lettere si trovano nel capitolo 2, e non nel capitolo 4 come nel testo Masoretico.

    Appello a Dario e risposta favorevole (5: 1–6: 14)

    La fine del capitolo 4 ritorna alla cronologia corretta, quella del secondo anno di Dario (521), a quel tempo i profeti * Aggeo e * Zaccaria incoraggiarono gli ebrei a persistere nella costruzione del tempio. La rinnovata attività ha portato a un'indagine da parte delle autorità persiane locali e una lettera di inchiesta (non una denuncia come le comunicazioni precedenti) è stata inviata a Dario. Le autorità persiane hanno riferito di essere andate a Gerusalemme, di aver osservato lo stato delle operazioni di costruzione e di aver richiesto informazioni sull'autorizzazione del progetto. Furono informati dai capi ebrei dell'editto di Ciro che concedeva agli ebrei il permesso di ricostruire il Tempio, e la lettera chiese al re di verificare se Ciro avesse emesso o meno questo editto. Dario ordinò quindi una perquisizione negli archivi reali e l'editto fu trovato ed è riprodotto nella sua risposta alle autorità locali (vedi sopra). Dario impartisce istruzioni per onorare il decreto di Ciro, e che le spese per il progetto sarebbero state sottratte al gettito fiscale proveniente dal tesoro reale della provincia. Inoltre, dovevano essere prese disposizioni per le osservanze religiose quotidiane in modo che potessero essere fatte preghiere per il benessere del re e della sua famiglia. Il suddetto cilindro di Ciro è spesso indicato come un esempio di un monarca persiano che ha richiesto la preghiera di altre persone per il benessere di suo figlio e di lui.

    Completamento del tempio (6: 15–22)

    La ricostruzione del Tempio fu completata nel sesto anno del regno di Dario I (516); l'opera era durata 21 anni da quando fu posta la fondazione nel secondo anno di Ciro (537). Una gioiosa cerimonia di dedicazione ebbe luogo con enormi quantità di sacrifici, "cento tori, duecento montoni, quattrocento agnelli e dodici capre". Poco dopo gli esiliati tornati celebravano la Pasqua ebraica, insieme a quelli della popolazione indigena che si era "separata dall'impurità delle nazioni delle terre", un suggerimento che i rimpatriati erano aperti a permettere agli altri nella loro piega (vedi anche Neh. 10:29).


    IL SECONDO PERIODO ( EZRA, CAP. 7–10 E NEH., CAP. 8–9)

    Il secondo periodo, datato nel settimo anno del regno di Artaserse I (458), tratta dell'opera di * Esdra , da cui prende il nome il libro, e comprende (1) l'editto di Artaserse ad Esdra; (2) il ritorno di Esdra a Gerusalemme; (3) la sua reazione alle notizie di matrimonio misto; (4) la sua lettura della Torah; e (5) un giorno di penitenza e una preghiera dei leviti. In questo periodo, il capo è Esdra, un sacerdote la cui discendenza viene fatta risalire ad Aaronne (7: 1–5) e uno scriba "ben versato nella legge di Mosè" (7: 6, 11). La data di Esdra è problematica come lo è il suo rapporto con * Neemia, perché a parte Neemia 8: 9 e altri due riferimenti minori (Neh. 12:26, ​​36), i due non vengono mai citati insieme. Secondo i loro rispettivi libri, Ezra ha assunto la sua missione nel settimo anno di Artaserse (458) e Neemia è venuto nel 20 ° anno del re stesso (445). Ciò significherebbe che Ezra, che venne al comando espresso di Artaserse per attuare e insegnare la legge, non condusse la sua prima lettura pubblica della Legge fino a 13 anni dopo. Un altro problema per la cronologia biblica è che Esdra trovò molte persone a Gerusalemme ma, secondo Neemia, ai suoi tempi Gerusalemme non era popolata. Per questi e altri motivi, alcuni studiosi ritengono che Ezra venne a Gerusalemme molto più tardi, o nel 37 ° anno di Artaserse I(428) o nel settimo anno di Artaserse II (397) (vedi discussione in Klein).

    L'Editto di Artaserse a Esdra (7: 1–28)

    Nel settimo anno del suo regno (458), Artaserse I (465–424) emanò un editto reale che autorizzava gli ebrei a recarsi a Gerusalemme con Esdra. A Esdra fu permesso di portare con sé donazioni d'oro e d'argento da altri ebrei. Le spese di manutenzione regolare del Tempio dovevano essere fornite dal tesoro reale e dovevano essere liberate le tasse per il personale del Tempio. La missione di Esdra era "esporre la legge del Signore" e "insegnare leggi e regole a Israele" (v. 10). A tal fine gli fu concesso, non solo un sussidio reale, ma gli fu anche conferito il potere di nominare giudici, far rispettare la legge religiosa e persino applicare la pena di morte. In risposta ai critici che sostengono che una tale preoccupazione da parte di un re persiano per un culto straniero sarebbe improbabile, il papiro pasquale rilasciato da Dario IInel 419/18 agli ebrei di Elephantine in Egitto riguardo alla data e al metodo per celebrare la Pasqua ebraica (Porten) è stata spesso citata. Tuttavia, la questione dell'autorizzazione imperiale della legge ebraica da parte dell'Impero persiano continua a essere oggetto di dibattito (Watts).

    Il ritorno di Esdra a Gerusalemme (8: 1–36)

    Il viaggio di Ezra di quattro mesi a Gerusalemme è descritto da Ezra in un libro di memorie in prima persona. Dopo aver elencato i nomi dei capi che tornano con lui, Ezra scopre che non c'erano * leviti nel suo partito, quindi dovette raccogliere 38 leviti da alcune famiglie levitiche. Un altro problema era la sicurezza. Poiché in origine Ezra aveva fatto una dichiarazione di fiducia in Dio davanti al re, riteneva inappropriato richiedere da lui la consueta scorta. Così ha rappresentato l'arrivo sicuro del partito a Gerusalemme con tutto il suo tesoro intatto come un segno di benevolenza divina.

    La reazione di Esdra alle notizie sui matrimoni misti (9: 1–10: 44)

    Quando Esdra arrivò a Gerusalemme fu informato che alcune persone, compresi membri del clero e dell'aristocrazia, avevano contratto matrimoni stranieri. Immediatamente dopo aver ascoltato questa notizia, Esdra si dedicò a riti di lutto, strappò le vesti e digiunò e, a nome del popolo, confessò i propri peccati e pronunciò una preghiera di contrizione. A lui si unisce un gruppo di sostenitori che sono anche disturbati da questa notizia. Su iniziativa di un certo Shecaniah figlio di Jehiel, Ezra fu invitato ad agire immediatamente. Fu convocata un'assemblea nazionale d'emergenza ed Ezra si rivolse alla folla in una tempesta invernale chiedendo al popolo di divorziare dalle loro mogli straniere. La folla riunita accettò la richiesta di Ezra, ma a causa delle forti piogge e della complessità della questione (l'estensione di Ezra ai divieti legali dei matrimoni che erano stati precedentemente autorizzati), hanno chiesto l'istituzione di una commissione d'inchiesta. Dopo tre mesi la commissione riferì con un elenco di sacerdoti, leviti e israeliti che si erano sposati.

    La lettura della Torà di Esdra (Ne 8: 1–12)

    Apparentemente fuori causa, Esdra riappare nel capitolo 8 del Libro di Neemia, dove si racconta che abbia letto pubblicamente la Torà il primo giorno del settimo mese (Rosh Ha-Shanah). Si fermò su una piattaforma con dignitari in piedi a destra e a sinistra. La cerimonia è iniziata con un'invocazione di Esdra e una risposta della gente che diceva "Amen, Amen". Durante la lettura la gente rimase in piedi mentre il testo veniva chiarito (o tradotto per loro (in aramaico)) dai leviti (van der Kooij). Le persone furono emozionalmente sopraffatte dall'occasione e piansero. Tuttavia, furono ingiunti di non essere tristi, piuttosto di celebrare gioiosamente la giornata mangiando, bevendo e facendo regali. Il giorno dopo la lettura pubblica, un gruppo di sacerdoti e leviti continuò a studiare la Torà con Esdra e si imbatté nel regolamento per l'osservazione della festa dei Tabernacoli in quello stesso mese. È stato emesso un proclama per celebrare il festival, che è stato fatto con grande gioia, e la Torà è stata nuovamente letta pubblicamente durante tutti gli otto giorni del festival. È stato spesso sottolineato che la festa dei Tabernacoli che viene descritta di nuovo scoperta dalla lettura della Torah e che non era stata osservata dai tempi di Giosuè, era già stata osservata non molto prima dai primi e-ritorno (Esdra 3 : 4). Inoltre, i materiali che si dice siano raccolti per la festa (rami di ulivo, pino, mirto, palma e alberi frondosi) differiscono da quelli richiesti per la festa in Levitico 23:40 (dove i materiali sono il frutto degli alberi הָדָר (in seguito interpretato come cedro), salici del ruscello, palme e ramo di alberi frondosi (in seguito interpretati come il mirto)). Più sorprendentemente, si dice che questi materiali siano usati per costruire "tabernacoli" ebraici e non per essere usati per fabbricare il לוּלָב e il אֶתרוֹג secondo la successiva interpretazione rabbinica.

    Giorno di penitenza e preghiera dei leviti (Neh. 9: 1–37)

    Il 24 ° giorno del mese, immediatamente dopo la celebrazione della festa dei Tabernacoli, fu annunciata una giornata veloce. L'identificazione e lo scopo di questa giornata veloce non sono noti. La maggior parte dei commentatori ritiene che questa veloce e successiva preghiera dei levitidovrebbe venire dopo gli eventi descritti in Esdra 10, che riguardava problemi di matrimoni misti. La lunga preghiera dei leviti (v. 5-37) è simile a uno degli inni storici nel Salterio (cfr. Sal 105, 106, 135, 136) (Fensham). L'inno contiene il linguaggio stereotipato del Salmo e contiene riferimenti alla creazione, all'alleanza con Abramo, agli atti di Dio in Egitto, ai vagabondaggi nel deserto, al Sinai, alla conquista, ai Giudici e ai periodi successivi. Molte delle sezioni sono divise dal pronome indipendente וְאַתָּה (v. 6, 7, 19, 27, 33). L'inno è degno di nota nel non menzionare David e Salomone, due dei gloriosi sovrani di Giuda, né si fa menzione dell'esilio e dell'attuale restaurazione, eventi centrali per Esdra e Neemia. I versetti 6–11 di questo inno sono inclusi nel servizio ebraico di preghiera mattutina (פְּסוּקֵי דְּזִמְרָא).

    IL TERZO PERIODO ( NEH., CAP. 1–7 E 9–13)

    Il terzo periodo comprende 12 anni dal 20 ° anno del regno di Artaserse I (445) fino al suo 32 ° anno (433), e si occupa dell'opera di Neemia, che aveva ricoperto un importante incarico (definito "coppiere") in la famiglia reale del re persiano Artaserse I(465-424). L'opera di Neemia descritta nella forma di un libro di memorie in prima persona include la sua ricostruzione delle mura di Gerusalemme e le sue riforme economiche e religiose. Una delle caratteristiche delle memorie di Neemia è che intervista brevi preghiere dirette all'interno della sua narrazione che di solito inizia con זָכְרָה לִי אלֱֹהַי o con lievi variazioni (5:19, 6:14, 13:14, 22, 29, 31) ma una volta con שְׁמשְׁ אֱלֹהֵינוּ (3: 36–37). In particolare, questo periodo riguarda (1) la risposta di Neemia alle notizie da Gerusalemme; (2) gli sforzi di Neemia per ricostruire e fortificare Gerusalemme; (3) intrighi contro Neemia; (4) la dedica del muro; (5) la risoluzione di Neemia dei problemi economici; (6) Riforme religiose di Neemia.

    La risposta di Neemia alle notizie da Gerusalemme (1: 1–2: 9)

    Nel 20 ° anno del re persiano Artaserse I(445), una delegazione di ebrei arrivò da Gerusalemme a Susa, la residenza invernale del re, e informò Neemia del deteriorarsi delle condizioni di Giuda. Le mura di Gerusalemme erano in uno stato precario e le riparazioni non potevano essere intraprese (poiché erano specificamente vietate da un precedente decreto degli stessi Artaserse (Esdra 4:21)). La notizia di Gerusalemme sconvolse Neemia e chiese e gli fu concesso il permesso dal re di andare a Gerusalemme come governatore e ricostruire la città. Si pensa che questo cambiamento nella politica persiana sia arrivato dopo la rivolta egiziana del 448, quando si credeva che un Giuda relativamente forte e amichevole potesse servire meglio gli interessi strategici della Persia (Myers). A Neemia fu anche concessa molta assistenza materiale, comprese le forniture di legno per lo sforzo di ricostruzione. Tuttavia, a differenza di Esdra,

    Gli sforzi di Neemia per ricostruire e fortificare Gerusalemme (2: 10–4: 17, 7: 1–4)

    Poco dopo il suo arrivo a Gerusalemme, Neemia fece un giro di ispezione notturna delle mura della città cavalcando un asino. Riferisce che non poteva continuare a cavalcare, ma doveva smontare, a causa delle enormi pietre lasciate dal rovesciamento della città dai babilonesi. Dopo il suo giro di ispezione, Neemia rivelò ai funzionari ebrei locali la sua missione di ricostruire le mura. Neemia si incaricò di ricostruire il muro dividendo l'opera in circa 40 sezioni. Quasi tutte le classi sociali (sacerdoti, leviti, funzionari del tempio e laici) hanno partecipato allo sforzo di costruzione. Durante tutto il tempo dell'edificio, Neemia incontrò opposizione e molestie da parte dei capi delle province persiane, che avevano precedentemente amministrato gli affari di Giuda, specialmente da un * Sanballat, un oronita (da Beth Horon), anche chiamato Samarian / Samaritan. Sanballat ricorse a scherno e scherno, affermando: "quel muro di pietra che stanno costruendo - se una volpe lo scalasse lo farebbe breccia" (3: 33–35). Per contrastare l'opposizione, Neemia fornì una guardia agli operai e anche i muratori e i loro aiutanti portavano spade. A causa della grandezza del progetto, gli operai erano separati l'uno dall'altro da grandi distanze, quindi un trombettista era pronto a suonare l'allarme, l'idea che se un gruppo dovesse essere attaccato gli altri sarebbero venuti in loro aiuto. Neemia ordinò agli operai di rimanere a Gerusalemme in parte per l'autoprotezione e in parte per aiutare a proteggere la città. Dopo che il muro fu ricostruito, Neemia nominò Hanani suo fratello e un individuo di nome simile, Hananiah, incaricato della sicurezza. Diede anche l'ordine di chiudere le porte della città prima che le guardie andassero fuori servizio e che fossero aperte solo quando il sole era alto (a metà mattina). Oltre alla polizia di sicurezza, c'era una pattuglia cittadina il cui compito era quello di sorvegliare le proprie case. Il problema centrale era la piccola popolazione di Gerusalemme: la città era estesa e spaziosa, ma le persone in essa erano poche e le case non erano ancora state costruite. Neemia decise di portare a Gerusalemme una delle dieci persone della popolazione circostante (11: 1–2). Il problema centrale era la piccola popolazione di Gerusalemme: la città era estesa e spaziosa, ma le persone in essa erano poche e le case non erano ancora state costruite. Neemia decise di portare a Gerusalemme una delle dieci persone della popolazione circostante (11: 1–2). Il problema centrale era la piccola popolazione di Gerusalemme: la città era estesa e spaziosa, ma le persone in essa erano poche e le case non erano ancora state costruite. Neemia decise di portare a Gerusalemme una delle dieci persone della popolazione circostante (11: 1–2).

    Intrighi contro Neemia (6: 1–19)

    Uno dei nemici di Neemia, Tobiah, un ammonita, si era sposato con un'importante famiglia di Giuda. Aveva tentato senza successo di sovvertire il lavoro di Neemia chiedendo il loro aiuto, ma senza successo. Poiché i nemici di Neemia non potevano impedire la ricostruzione e la fortificazione della città, fecero disperati tentativi di catturarlo. Un piano era di attirarlo lontano da Gerusalemme in un luogo non specificato. Quattro volte hanno tentato di invitarlo a "incontri" e ogni volta Neemia, conoscendo le loro intenzioni dannose, ha rifiutato il loro invito. Quando questi tentativi fallirono, fu fatto un quinto tentativo di ferire Neemia inquadrandolo davanti alle autorità persiane con un falso rapporto secondo cui aveva pianificato di farsi proclamare re in Giuda. Un sesto tentativo di danneggiare Neemia fu di pagare un falso profeta, Shemaiah, per attirare Neemia nel Tempio, ma Neemia, rendendosi conto che questa era una trama, si rifiutò di andare. Nonostante queste minacce, Neemia riferisce che il muro fu completato in soli 52 giorni, il che sembra essere un tempo incredibilmente breve per un compito così monumentale. Secondo Josephus, il progetto ha richiesto due anni e quattro mesi.

    Dedica del muro (12: 27–43)

    Un grande raduno di sacerdoti, leviti, musicisti e notabili riuniti da tutta Giudaper la dedica del muro a Gerusalemme. Neemia divise i partecipanti in due processioni ciascuna a partire dallo stesso punto; una processione marciava verso sud verso la Porta del letame e poi attorno al lato destro del muro, l'altra marciava verso nord lungo la parte superiore del lato sinistro, ed entrambi i gruppi si unirono nella piazza del Tempio. Ogni processione era guidata da un coro e musicisti con trombe, cembali, arpe e liriche portavano sul retro. Si dice che Esdra abbia marciato in una processione (sebbene la sua presenza nel testo sia probabilmente un'aggiunta editoriale) e Neemia nell'altra. Le due gioiose processioni si incontrarono nella piazza del Tempio dove la dedica si concluse con molti sacrifici.

    La risoluzione dei problemi economici di Neemia (5: 1–19)

    Durante il periodo della ricostruzione, la gente si è lamentata della scarsità di cibo e del carico di tasse elevate. Per soddisfare i loro bisogni primari, i poveri dovevano impegnare i loro beni, persino per vendere figli e figlie alla schiavitù. Neemia reagì con rabbia contro i creditori accusandoli di violare il patto di fratellanza. Quando il suo appello ai creditori volontariamente a intraprendere azioni correttive fallì, Neemia li costrinse a prestare giuramento, rafforzato da un atto simbolico di scuotere il suo indumento, per ripristinare la proprietà presa in pegno, nonché per perdonare le richieste di prestiti. Neemia stesso alleviò l'onere fiscale del popolo rifiutando di accettare l'assegno familiare molto liberale per il suo seguito ufficiale che ammontava a circa 40 sicli d'argento al giorno.

    Riforme religiose di Neemia (10: 1–40, 12: 44–47, 13: 1–29)

    Le riforme religiose di Neemia si trovano (a) nel cosiddetto Codice di Neemia; e (b) nelle norme emanate dopo aver iniziato il suo secondo mandato come governatore nel 32 ° anno di Artaserse I (433).

    Codice di Neemia (10: 1–40)

    Il Codice di Neemia rappresenta gli impegni assunti dalla comunità di osservare la Torah, i suoi comandamenti e le sue regole. È preceduto da un elenco di firmatari tra cui Neemia, i suoi funzionari, i sacerdoti, i leviti e i familiari di spicco (1–28). Nel Codice, la comunità ha promesso di fare sette cose: (1) per evitare matrimoni misti con i popoli della terra; (2) di non acquistare da stranieri il sabato e nei giorni sacri; (3) osservare l'anno sabbatico; (4) pagare una nuova tassa annuale sui templi di terzo siclo; (5) per fornire offerte per i servizi e legno per l'altare del tempio; (6) per fornire i primi frutti, primogeniti, decime e altri contributi al Tempio; (7) portare le decime dovute ai sacerdoti e ai leviti nei magazzini locali.

    Regolamento emanato da Neemia durante il suo secondo mandato come governatore (13: 1–31)
    Espulsione di stranieri (13: 1–9) .

    Nella loro continua lettura della Torah la comunità si imbatté in una legge (forse riferendosi a Deut 23: 4–6) che vietava agli ammoniti e ai moabiti di diventare israeliti, e così decisero di separarsi dagli stranieri (עֵרֶב). Quando Neemia tornò da una visita ufficiale alla corte persiana nel 32 ° anno di Artaserse (433), scoprì che il sommo sacerdote Eliashib aveva dato alloggio in un ex magazzino del Tempio a uno dei suoi vecchi nemici Tobia, l'Ammonita (vedi sopra). Quando Neemia tornò, sfrattò Tobia, scartò tutte le sue cose e fece purificare le camere e riportarle al loro uso originale.

    Rinnovo del supporto levitico (13: 10–14)

    Un'altra conseguenza dell'assenza di Neemia alla corte persiana fu che il popolo aveva smesso di dare la decima ai leviti costringendoli a tornare nei loro villaggi. Neemia prese provvedimenti per riportare i leviti a Gerusalemme assicurando che i pagamenti in sospeso, che non erano stati raccolti durante la sua assenza, sarebbero stati pagati e che le decime future sarebbero state regolarmente date.

    Applicazione dei regolamenti del sabato (13: 15–22)

    Neemia riferisce che ai suoi tempi il sabato era stato completamente commercializzato. La gente lavorava nei vigneti e nelle fattorie e i commercianti fenici aprivano negozi a Gerusalemme di sabato. Neemia tentò di fermare questa attività di sabato ordinando la chiusura delle porte della città durante il sabato. Nonostante i suoi ordini, i commercianti fenici si accamparono fuori dalle mura sperando di invogliare i clienti a venire fuori.

    Problema dei matrimoni misti (13: 23–29)

    Come ai tempi di Esdra, Neemia doveva affrontare i problemi derivanti dai matrimoni con donne straniere. Una delle sue maggiori preoccupazioni era il fatto che i figli di questi matrimoni non potessero più parlare la lingua di Giuda. Neemia ordinò la fine di ulteriori matrimoni misti, ma non andò fino a Esdra che chiese il divorzio dalle mogli straniere.
  13. .
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    Secondo Joseph Jacobs e Schulim Ochser sulla jewish encyclopedia Ziklag è una città simeonitica che, dopo l'unione delle tribù di Simeone e Giuda, divenne Giudea; menzionato per la prima volta nel racconto del territorio e dei confini delle singole tribù (Giosuè 31, XIX 5). Nella prima parte del periodo regale, Ziklag entrò in possesso dei Filistei, che la mantennero fino a quando il re Achis la cedette al suo vassallo David come luogo di residenza (I Sam. Xxvii., 6 Sam. I. 1, iv .10; I Chron. Xii. 1, 20). Fu invasa e bruciata dagli amalechiti quando Davide si unì al re filisteo in guerra (I Sam. Xxx. 1-26), e dopo il ritorno dal primo esilio fu una delle città assegnate ai Giudei (Ne xi. 28). La città non è stata ancora identificata, sebbene Conder e Kitchener credano che le sue rovine siano rappresentate dai resti chiamati Zuḥailika, scoperti da loro nel 1877,

    Bibliografia:
    Riehm, Handwörterbuch, 2d ed., P. 1866b;
    Buhl, Geographie des Alten Palästina, Berlino, 1896

    Oggi, nel luglio 2019, dopo sette stagioni di scavi nelle estremità delle colline della Giudea, ricercatori dell'Università ebraica di Gerusalemme e dell'Università Macquarie di Sydney (Australia) ritengono di aver finalmente localizzato la località filistea di Ziklag. In quel posto - secondo la narrazione della Bibbia - tremila anni fa Davide trovò protezione mentre cercava di sottrarsi alla cattura ordinata da Saul, primo re d'Israele. In seguito alla morte di Saul, Davide gli sarebbe succeduto al trono.
    Secondo quanto riferisce l'Autorità israeliana per la archeologia gli studiosi Yosef Garfinkel, Saar Ganor, Kyle Keimer e Gil Davis ritengono che la antica Ziklag sia da localizzare - nella zona della odierna Kiryat Gat - a Khirbet a-Rai: un villaggio in rovina situato su una elevazione da cui si domina la via maestra che conduce ad Ashkelon, sulla costa mediterranea.

    Da qui:

    www.msn.com/it-it/notizie/other/ec...ocid=spartanntp
  14. .
    Dibbuk


    Nel folclore ebraico e nella credenza popolare, uno spirito malvagio che entra in una persona vivente, aderisce alla sua anima, provoca malattia mentale, parla attraverso la sua bocca e rappresenta una personalità separata e aliena che è chiamata dibbuk. Il termine non appare né nella letteratura talmudica né nella Cabala, dove questo fenomeno è sempre chiamato "spirito malvagio". (Nella letteratura talmudica a volte viene chiamata ru'aḥ tezazit , e nel Nuovo Testamento "spirito immondo".) Il termine fu introdotto nella letteratura solo nel XVII secolo dalla lingua parlata degli ebrei tedeschi e polacchi. È un'abbreviazione di dibbuk me-ru'aḥ ra'ah ("una scissione di uno spirito malvagio"), o dibbuk min ḥa-hiẓonim (" dibbuk dall'esterno"), che si trova nell'uomo. L'atto di attaccamento dello spirito al corpo divenne il nome dello spirito stesso. Tuttavia, il verbo davok ("cleave") si trova in tutta la letteratura cabalistica dove denota le relazioni tra lo spirito malvagio e il corpo, mitdabbeket bo ("si fende a lui").
    Le storie su dibbukim sono comuni al tempo del Secondo Tempio e dei periodi talmudici, in particolare nei Vangeli; non sono così importanti nella letteratura medievale. All'inizio, il dibbuk era considerato un diavolo o un demone che entrava nel corpo di una persona malata. Più tardi, fu aggiunta una spiegazione comune tra gli altri popoli, e cioè che alcuni dei dibbukim sono gli spiriti di persone morte che non furono messe a riposo e divennero così * demoni . Questa idea (anche comune nel cristianesimo medievale) combinata con la dottrina di * gilgul ("trasmigrazione dell'anima") nel 16 ° secolo e divenne diffusa e accettata da ampi segmenti della popolazione ebraica, insieme con la fede in dibbukim . Erano generalmente considerati anime che, a causa dell'enormità dei loro peccati, non erano nemmeno autorizzati a trasmigrare e come "spiriti spogliati" cercavano rifugio nei corpi di persone viventi. L'ingresso di un dibbuk in una persona era un segno del fatto che aveva commesso un peccato segreto che apriva una porta per il dibbuk . Una combinazione di credenze correnti nell'ambiente non ebraico e credenze ebraiche popolari influenzate dalla Kabbalah formano queste concezioni. La letteratura cabalistica di * Luria I discepoli contengono molte storie e "protocolli" sull'esorcismo di dibbukim . Numerosi manoscritti presentano istruzioni dettagliate su come esorcizzarli. Il potere di esorcizzare dibbukim è stato dato a ba'alei shem o compiuto Ḥasidim. Esorcizzavano il dibbuk dal corpo che era legato da esso e simultaneamente riscattò l'anima fornendogli un tikkun ("restauro") per lui, sia per trasmigrazione che facendo entrare il dibbuk nell'inferno. Mosè * Cordovero definì il dibbuk come una "cattiva gravidanza".
    Dal 1560 diverse relazioni dettagliate in ebraico e yiddish sulle opere di dibbukim e le loro testimonianze su se stessi furono conservate e pubblicate. Si raccoglie una ricchezza di materiale sulle storie reali di dibbukim Samuel * Vital Sha'ar ha-Gilgulim , in Ḥayyim * Vital Sefer ha-Ḥezyonot , in Nishmat Ḥayyim vicino * Manasseh Ben Israel (libro 3, capitolo 10 e 14), in Minḥat Eliyahu ( cap . 4 e 5) di * Elijah ha-Kohen di Smirne, e in Minḥat Yehudah da Judah Moses Fetya di Baghdad (1933, pp. 41-59). Quest'ultimo esorcizzato * Shabbetai Ẓevi e il suo profeta * Nathan di Gaza che apparve come dibbukim nei corpi di uomini e donne a Baghdad nel 1903. Sono stati pubblicati anche opuscoli speciali sugli esorcismi degli spiriti famosi che si sono svolti a Korets (fine del XVII secolo in yiddish), a Nikolsburg (1696, 1743) , in Detmold (1743), e in Stolowitz (1848). L'ultimo protocollo di questo tipo, pubblicato a Gerusalemme nel 1904, riguarda un dibbuk che è entrato nel corpo di una donna ed è stato esorcizzato da Ben-Zion Ḥazzan. I fenomeni connessi con le credenze e le storie su dibbukim di solito hanno il loro background fattuale nei casi di isteria e talvolta anche nelle manifestazioni di schizofrenia.

    Possesso ed esorcismo



    Il concetto di possesso ed esorcismo delle anime decedute ( dibukim, dybbuks) che abitavano i corpi degli ospiti non voluti si basa sul concetto cabalistico di gilgul (trasmigrazione), trovato nello Zohar e in altre fonti medievali. 'Ibur neshamah (impregnazione dell'anima) è un concetto correlato che si trova anche nelle fonti cabalistiche; si riferisce alla penetrazione dell'anima di un cabalista dall'anima aggiuntiva di un saggio antico che lo aiuta in una ricerca spirituale. 'Ibur neshamah è stato valutato come una forma di possesso positiva e molto apprezzata.

    Un dybbuk, d'altra parte, aveva commesso un peccato che doveva essere espiato prima che l'anima potesse andare in cielo o in Gehenna. La persona posseduta a volte aveva una connessione con il dybbuk e altre volte era solo un individuo il cui corpo era in grado di entrare nel dybbuk. Il dybbuk non poteva che essere esorcizzato (costretto a rinunciare al controllo sulla vittima e partire) da un grande rabbino, di solito un cabalista. Questa capacità di esorcizzare i dybbuks e di occuparsi in generale del possesso fu trovata per la prima volta tra i cabalisti di Safed (nella Terra di Israele ) e fu diffusa attraverso raccolte di storie agiografiche e testi cabalistici pubblicati nel diciassettesimo secolo.

    Alcuni studiosi hanno suggerito che le storie originariamente servivano a convalidare la dottrina della trasmigrazione e dimostrare i poteri magici e la santità del cabalista nell'eseguire l'esorcismo. Recentemente, sono state avanzate altre prospettive, sottolineando che le donne e le ragazze erano predominanti tra quelle possedute e che la pratica era usata come mezzo di controllo sociale, o, in alternativa, nei casi di "ibur neshamah", come un modo per le donne di guadagnare una voce pubblica. Altri investigatori trovano parallelismi con la mania europea contemporanea delle streghe e suggeriscono anche che l'ambiente cabalistico aveva un particolare interesse per la relazione tra anime viventi e morte, con il dybbuk a cavallo di entrambi i mondi.

    Il termine dybbuk, derivato dall'espressione ebraica ruaḥ ha-medabek (lo spirito che fende), fu usato per la prima volta nell'Europa del diciottesimo secolo. In precedenza, il termine ruaḥ ra ' (spirito malvagio) era usato per designare l'anima defunta. Prima dell'ascesa del chassidismo c'erano un certo numero di conti di possesso e di esorcismo nell'Europa orientale. Il primo resoconto pubblicato di un esorcismo Safed si trova nel Mayse-bukh, pubblicato a Basilea nel 1602. C'è anche un manoscritto yiddish di Praga risalente alla prima metà del diciassettesimo secolo, che fornisce una breve descrizione di tre esorcismi eseguiti da Yitsḥak Benish († 1647).

    Poco dopo, "'Ma'aseh shel ruaḥ be-Korets" (Racconto di un esorcismo in Koretz) fu pubblicato, molto probabilmente a Praga negli anni sessanta. È un chapbook yiddish di 16 pagine molto singolare (mayse-bikhl), piuttosto che un pezzo più tipico che faceva parte di un'opera più grande. Piuttosto che essere un racconto agiografico che glorifica un particolare santone o un lavoro che convalida il concetto di gilgul (come altri esempi di questo genere), questo racconto è il primo esempio di un nuovo genere, una narrativa concepita per intrattenere anziché edificare.

    L'ultima storia pre-chassidica di questo tipo è "Ma'aseh Adonai ki nora 'hu'" aggiunto a Mosèh Graf's Zera 'kodesh (1696). Questo resoconto era basato su un incidente reale e fornisce dettagli specifici degli eventi accaduti, menzionando anche tutti i rabbini coinvolti nell'esorcismo. Il suo scopo era quello tradizionale di convalidare la dottrina della trasmigrazione.

    Mentre la capacità di esorcizzare era caratteristica del ba'ale shem dell'epoca, il chassidismo adottò un approccio diverso al fenomeno. I dettagli sul possesso effettivo e sull'esorcismo si ritirarono in importanza; e la nuova enfasi era sullo tsadik chassidico e sulla sua santità, dimostrata dalla sua capacità di esorcizzare il dybbukim.

    Ci sono due storie di esorcismo in Shivḥe ha-Besht (Elogio del Ba'al Shem Tov), la biografia agiografica del fondatore dello Chassidismo, morto nel 1760. Entrambe le storie hanno avuto luogo prima che il Ba'al Shem Tov diventasse pubblico figura e facevano parte del processo della sua rivelazione pubblica. Poiché il potere di esorcizzare un dybbuk è stato dato solo a un vero tsadik, questi incidenti hanno confermato la sua santità e hanno dimostrato le sue affermazioni carismatiche.

    Un certo numero di resoconti di esorcismo si trovano nella successiva letteratura agiografica chassidica. In ogni caso, lo scopo della storia è dimostrare la santità dello tsadik coinvolto; i dettagli dell'evento, nella misura in cui esistono, sono tangenziali nella migliore delle ipotesi. All'inizio del XX secolo, il concetto del dybbuk fu catapultato nella moderna coscienza ebraica dal dramma di S. An-sk i, The Dybbuk ; una versione cinematografica, prodotta nel 1938, divenne un grande classico del cinema yiddish prebellico.

    Esorcismo Dybbuk

    Nella tradizione chassidica , un rabbino particolarmente potente operante nel miracolo noto come ba'al shem (maestro del nome) potrebbe espellere anche il più dannato dybbuk attraverso un rito di esorcismo . Tuttavia, oggi l'esorcismo di un dybbuk coinvolge normalmente nove ebrei più il rabbino. Normalmente la cerimonia non è una cosa che opprime il dybbuk, ma lo scioccante prima, e poi dialoga con esso nel tentativo di indurlo a vedere che deve andarsene.

    Il gruppo circonda la vittima posseduta e recita ripetutamente i versi confortanti e protettivi del Salmo 91. Il rabbino procede a soffiare uno shofar (tromba di corno d'ariete) in uno schema specifico. Questo "shock" sia la persona posseduta che il dybbuk, causando un allentamento tra i due che consente a ciascuna entità di essere indirizzata separatamente. Una volta che questo è compiuto, il rabbino entra in un dialogo con il dybbuk per scoprire il suo scopo. Il gruppo procede quindi a guarirlo attraverso il dialogo e la preghiera, e questo viene fatto anche per una persona che è posseduta. A volte i bisogni legittimi del dybbuk devono essere soddisfatti prima che accetti di andarsene.

    Mentre molti ebrei oggi non accettano più l'idea dei dybbuks e della loro influenza, in alcune comunità, specialmente (ma non solo) tra gli ebrei chassidici, vengono ancora celebrate cerimonie per liberare la gente dal possesso del dybbuk.

    Il Dybbuk fu anche un' opera teatrale di S. Ansky del 1914

    Raccontava la storia di una giovane sposa posseduta da un dybbuk alla vigilia delle sue nozze. È considerato un lavoro fondamentale nella storia del dramma ebraico e ha svolto un ruolo importante nello sviluppo del teatro yiddish. L'opera era basata su anni di ricerche di S. Ansky, che viaggiava tra gli shtetl ebrei in Russia e Ucraina , documentando credenze popolari e storie degli ebrei hassidici . Leonard Bernstein ha composto un balletto basato sul gioco.

    Morris M. Faierstein
    Sha'ar ha-Gilgulim (1875), 8-17; Moses Zacuto, Iggerot ha-Remez (1780), n. 2; Moses Graff di Praga, Kunteres Ma'aseh ha-Shem ki Nora Hu (Fuerth, 1696); Mosè Abraham b. Ruben Ḥayyat, Sefer Ru'ah Ḥayyim , (1785); M. Sassoon, Sippur Nora shel ha-Dibbuk (1966); Phinehas Michael, Av Bet Din di Stolowitz, Ma'aseh Nora'ah ... (Yiddish, Varsavia, 1911); SR Mizraḥi, Ma'aseh Nora shel ha-Ru'aḥ (1904); M. Weinreich, Bilder fun der Yidisher Literatur Geshikhte (1928), 254-61; G.JH Chajes, Between Worlds: Dybbuks, Exorcists and Early Modern Judaism (Philadelphia, 2003); Matt Goldish, ed., Spirit Possession in Judaism: Cases and Contexts from the Middle Ages to the Present (Detroit, 2003); Gedalyah Nigal, "Dybbuks, Possession and Exorcism" in Magic, Mysticism and Chassidism, trad. Edward Lewin, pp. 67-133 (Northvale, NJ, 1994); Gedalyah Nigal, Sipure dibuk be-sifrut Yisra'el, 2a ed. (Gerusalemme, 1994), riassunto in inglese; Yohanan Petrovsky-Shtern, "Il maestro di un nome malvagio: Hillel Ba'al Shem e His Sefer ha-ḥeshek, " AJS Review 28 (2004): 217-248; Sarah Zfatman-Biller, "Gerush ruḥot be-Prag be-me'ah ha-17: Le-She'elat mehemanuto ha-historit shel z'a'nr 'amami" Meḥkere Yerushalayim be-folklor yehudi 3 (1982): 7 -33; Sarah Zfatman-Biller, "'Ma'aseh shel ruaḥ be-KK Korets': Shalav ḥadash be-hitpatḥuto shel z'a'nr 'amami," Meḥkere Yerushalayim be-folklor yehudi 2 (1982): 17-65.


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    Tehillim N° 91 Esorcismo per Dibbuk

    Tu che abiti nel rifugio dell'Altissimo, che dimora nell'ombra dell'Onnipotente:
    Io dico del Signore che è il mio rifugio e la mia fortezza, il mio Dio in cui confido,
    che ti salverà dalla trappola dell'inquinamento, dalla pestilenza distruttiva.
    Egli ti coprirà con le sue penne e troverai rifugio sotto le sue ali;
    La sua verità è uno scudo e un'armatura.
    Non temerai il terrore della notte, né la freccia che vola di giorno;
    la pestilenza che gira nell'oscurità, né la distruzione che distrugge a mezzogiorno.
    Un migliaio di persone potrebbe cadere sul tuo [lato sinistro] e diecimila alla tua destra,
    ma non ti raggiungerà.
    Devi solo guardare con i tuoi occhi e vedrai la punizione dei malvagi.
    Perché tu [hai detto] "Il Signore è il mio rifugio" e hai reso l'Altissimo il tuo rifugio,
    Nessun male ti abbatterà, nessuna piaga si avvicinerà alla tua tenda.
    Poiché istruirà i Suoi angeli in tuo favore, per proteggerti in tutte le tue vie.
    Ti porteranno nelle loro mani, per non ferire il tuo piede su una roccia.
    Calpesti il leone e la vipera; calpesterai il giovane leone e il serpente.
    Poiché chi mi desidera, lo libererò; Lo fortificherò, perché conosce il mio nome.
    Quando mi chiama, gli risponderò; Sono con lui in difficoltà. Lo consegnerò e lo onorerò.
    Lo sazierò di lunga vita e gli mostrerò la mia liberazione.
  15. .
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    E D.io creò i taninim ghedolim e tutti gli esseri viventi che si muovono, di cui brulicano le acque, ciascuno secondo la propria specie, ed ogni volatile secondo la propria specie (Genesi 1:21).

    I taninim ghedolim, termine tradotto con «grandi mostri marini», «grandi rettili» o «grandi animali marini», sono l’unica specie di animali a cui il racconto biblico della Creazione dedica un riferimento esplicito. Sulla precisa identificazione di questi misteriosi esseri viventi, oltre che sul motivo della loro menzione specifica, studiosi sia religiosi che accademici hanno formulato opinioni diverse. Nel suo notissimo commentario alla Bibbia ebraica, Rashi spiega:

    “Taninim – I grandi pesci che sono nel mare. Secondo le affermazioni della Aggadah, si tratta qui del Leviathan e della sua consorte, che Il Santo Benedetto Egli sia, creò maschio e femmina”.

    Sulla base della tradizione rabbinica dell’Aggadah, Rashi suggerisce quindi che il termine Taninim alluda al Leviathan, il leggendario mostro degli abissi menzionato più volte nella Bibbia e nella letteratura ebraica successiva. Questa antica interpretazione diviene particolarmente interessante se vista alla luce di una comparazione tra le parole della Torah e i miti comuni a diverse culture del Medio Oriente di tremila anni fa. In questo ci viene in aiuto il grande studioso ebraista fiorentino Umberto Cassuto, che nel suo Commentario al Libro della Genesi ha trattato la questione con estrema chiarezza:

    “All’interno dell’intera sezione [del racconto della Genesi] sono menzionate solo le categorie generali delle piante e degli animali, ma non le specie distinte, eccetto per quanto riguarda i mostri marini. Possiamo essere certi che tale eccezione sia dovuta ad un motivo preciso. Sembra che anche qui la Torah intenda far risuonare una protesta contro alcuni concetti che erano comuni fra i pagani, e in una certa misura anche fra gli Israeliti, ma che non erano in accordo con lo spirito [dell’insegnamento della Torah]. In Egitto e in Mesopotamia si narravano leggende di ogni genere sulle battaglie tra le grandi divinità e i draghi marini. Secondo l’epica ugaritica, i principali nemici del dio Baal, oltre al dio Mot, erano il signore del mare e alcuni mostri come il Dragone, il Leviathan detto «serpente guizzante» e «serpente tortuoso», e altre creature simili. Negli ambienti israeliti, le tradizioni che riguardano i mostri marini e i loro alleati assunsero un aspetto coerente con lo spirito della fede d’Israele. Perciò non ci sono più potenze divine che si oppongono alla Divinità suprema. […] La Torah esprime la propria protesta in maniera silenziosa, dichiarando: E Dio creò i grandi mostri marini. In effetti, è come se la Torah dicesse: Nessuno osi immaginare che i mostri marini fossero esseri mitologici nemici di Dio o in rivolta contro di Lui; essi erano invece come ogni altra creatura, e furono formati in un tempo e in un luogo già stabiliti dalla Parola del Creatore, affinché potessero adempiere il Suo volere come ogni altro essere creato. Allo stesso modo è scritto nel Salmo 148: Lodate il Signore dalla terra, voi mostri marini e tutti gli abissi. Il salmista invita tutte le creature a lodare il Signore, e fra esse menziona in modo specifico i mostri marini” (U. Cassuto, From Adam to Noah, pp. 49-51).

    Dunque, secondo l’eccellente spiegazione di Cassuto, la Torah nomina i taninim ghedolim per contrastare un’idea pagana molto diffusa nell’antichità. Mentre la mitologia dei popoli politeisti parlava delle guerre combattute dagli dei del cielo contro i mostri acquatici, la Bibbia, al contrario, insiste nell’affermare che il mare, con tutte le sue creature, sia stato creato dalla Volontà incontrastata dell’Unico Dio. Le bestie più temibili vengono in questo modo private della loro aura mitica e divina, per essere considerate semplici animali, parte dell’ordine naturale stabilito dal Creatore.

    Tuttavia, se da un lato la Torah (ovvero il Pentateuco) rigetta totalmente le storie leggendarie sui mostri marini, dall’altro è anche vero che questi stessi miti ricompaiono in altre sezioni della Bibbia ebraica, dove le Scritture sembrano persino voler dare credito alle antiche credenze mesopotamiche e cananee:

    Con la tua forza dividesti il mare e schiacciasti la testa dei mostri marini nelle acque. Frantumasti le teste del Leviathan e le desti in pasto al popolo del deserto (Salmi 74:13-14).

    Risvegliati, risvegliati, rivestiti di forza, o braccio del Signore, risvegliati come nei giorni antichi, come nelle generazioni passate! Non sei tu che hai fatto a pezzi Rahab, che hai trafitto il dragone? Non sei tu che hai prosciugato il mare, le acque del grande abisso, che hai fatto delle profondità del mare una strada, perché i redenti vi passassero? (Isaia 51:9-10).

    In quel giorno il Signore punirà con la sua spada dura, grande e forte il Leviathan, il serpente guizzante, il Leviathan, il serpente tortuoso, e ucciderà il mostro che è nel mare (Isaia 27:1).

    Come si spiega tutto ciò? I brani citati intendono forse trasmettere un’idea diversa sulla Creazione del mondo rispetto a quanto narrato dalla Genesi?
    È bene partire ancora una volta da quanto afferma Umberto Cassuto a questo proposito:

    “I profeti e i poeti biblici, abituati a rivestire i propri concetti in un abito poetico e a comunicarli attraverso similitudini, facendo uso degli strumenti comuni della poesia, non rinunciavano ad utilizzare ciò che si trovava facilmente nei poemi epici dell’epoca. Ma la Torah, che non è scritta in versi ma in prosa, e che impiega in genere un linguaggio semplice, in cui ogni parola è scelta scrupolosamente, è ben attenta a non introdurre alcun elemento che non sia in completo accordo con le sue dottrine” (U. Cassuto, Introduzione al Commentario al Libro della Genesi).

    Se analizziamo attentamente i passi di Isaia e dei Salmi nel loro contesto, possiamo comprendere che in essi in realtà non si parla affatto della Creazione o di una vera lotta tra Dio e i mostri marini. Nel Salmo 74, il mare che viene diviso e il “popolo del deserto” (v. 14) sono elementi che alludono chiaramente al passaggio attraverso il Mar Rosso del popolo ebraico dopo l’uscita dall’Egitto. Il Leviathan e i mostri marini uccisi da Dio rappresentano quindi il Faraone e l’esercito egiziano che annegarono e furono sconfitti, come narra il Libro dell’Esodo. Ciò è in perfetto accordo con alcuni brani poetici di Ezechiele, in cui il Faraone è paragonato a un drago acquatico:

    Ecco, io sono contro di te, Faraone, re d’Egitto, grande dragone, che giaci in mezzo ai tuoi fiumi (Ezechiele 29:3).

    Innalza una lamentazione sul Faraone, re d’Egitto, e digli: […] Tu eri come un dragone nei mari e ti slanciavi nei tuoi fiumi (Ezechiele 32:2).

    Gli autori biblici, come spiega Cassuto, sfruttano metafore e similitudini tratte dall’antica mitologia per descrivere la vittoria di Dio sui nemici di Israele. Ciò è evidente anche nei versi di Isaia che abbiamo citato: “…Non sei tu che hai prosciugato il mare, le acque del grande abisso, che hai fatto delle profondità del mare una strada, perché i redenti vi passassero? Così i riscattati del Signore torneranno, verranno a Sion con grida di gioia e un’allegrezza eterna coronerà il loro capo” (Isaia 51:9-11). Qui, come nel Salmo 74, il miracolo della salvezza degli Israeliti richiama poeticamente i miti sulla lotta tra le divinità del cielo e del mare, ma lo fa in un contesto di assoluto monoteismo.
    In Isaia 27, invece, come mostra il contesto, l’uccisione del Leviathan rappresenta il giudizio di Dio contro “l’iniquità degli abitanti della terra” (Isaia 26:21). I terribili mostri mitologici diventano così soltanto immagini letterarie dietro cui si celano gli uomini malvagi.

    Da qui:

    https://www.google.com/amp/s/sguardoasion....ti-cananei/amp/
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