Shemà ishrael

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  1. cabian60
     
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    ***Analizziamo lo shemà ishrael."Ascolta Ishrael **** è il nostro d_o(elohim nostro),*** è uno". Io leggo così,ma se leggo male fermatemi subito.Io senza ebraico non posso capire, ma anche voi con l'ebraico potete non capire.Quindi non è sempre valida la locuzione:ebraico=capire non ebraico =non capire, se c'è anche ebraico = capire e ebraico = non capire.Quindi,in questo caso l'ebraico non è essenziale.**** è il nostro elohim,perciò ebraico o non ebraico, grammatica o non grammatica, è uno di tanti.**** è uno.Perfetto!Quindi?***mod*** è uno, non gli elohim.Elohim,messia, profeta,sono solo ruoli che qualcuno interpreta,o viene comandato di interpretare.A Moshè è stato comandato di essere un elohim, cioè un ministro di d_o, un rappresentante di d_o, non un d_o.....
    Shalom anzi Shabbat shalom

    Edited by leviticus - 12/9/2019, 12:46
     
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    Da un commento sullo Shema Israel di Rav Elia Kopciowski - già rabbino capo di Milano:

    "..Già il primo versetto è stato una fonte di insegnamenti e di consigli, oltre a una guida che permette al credente di comprendere come il riconoscimento del Di.o unico abbia mutato il corso della storia morale e spirituale dell’Umanità, abbia inciso nell’animo dell’ebreo la fiducia, la sicurezza che l’Umanità intera avrebbe rigettato le falsità dell’idolatria e riconosciuto l’Uno, l’Unico: "Ascolta Israele, il Signore è D.io nostro, il Signore è Uno!".

    Ma una domanda sorge spontanea: perché ripetere il Nome tetragrammato? Non sarebbe stato sufficiente affermare: "Il Signore nostro Di.o è Uno?". La spiegazione del Rashì (1040-1105), nella sua concisione, è molto significativa: "Ascolta Israele, il Signore che ora è riconosciuto come Di.o soltanto da noi, sarà in futuro riconosciuto come l’Essere supremo da tutte le creature!". Ma sarà riconosciuto non solo come l’Essere supremo, bensì come l'Uno e l'Unico! Uno, perché non vi sono, né vi possono essere, altre divinità; Unico perché le sue qualità sono esclusive e nessun altro essere ha, né può avere, le qualità divine. E ancora, rilevano i nostri Maestri, sono soltanto sei, nel testo ebraico, le parole che traduciamo "Ascolta Israele... ". Di queste sei parole ben tre esprimono le caratteristiche fondamentali dell'Uno e Unico.

    Due volte, abbiamo visto, è citato il Tetragramma e una volta la parola "Elohim". Fa notare lo Hirsch (1808-1888): la ripetizione del Tetragramma, attirando la nostra attenzione, ci richiama a riconoscere e a proclamare che tutto ciò che è contenuto nel mondo e nell'universo è sotto il dominio dell'Unico Dio. Inoltre, secondo la tradizione giudaica, il Tetragramma, qui reso con "Signore" o "Eterno", indica la Middath ha-rachamim, la qualità divina della misericordia, mentre Elohim indica la Middath ha-din, la giustizia divina. Giustizia e misericordia, viene quindi messo in risalto fin dall'inizio della proclamazione di fede del giudaismo, costituiscono per il pensiero ebraico le due qualità precipue della Maestà divina!

    Questo Essere Uno e Unico è Colui che detiene il potere della giustizia e della misericordia. Ed è molto significativo che la qualità della misericordia sia espressa due volte, mentre quella della giustizia soltanto una volta; in tal modo l'Eterno stesso mette in rilievo che la misericordia deve superare le esigenze della giustizia.

    È proprio questa misericordia che l'ebreo, testimone dell'Eterno sia per se stesso, sia per l'umanità, è chiamato a ricordare e a dimostrare, con la ‘ain con cui termina la parola Shema‘ e la dalet di echad scritte in caratteri più grandi in modo da formare la parola, ‘ed, "testimonio". Ma, fa notare lo Hirsch, possiamo aggiungere ancora qualcosa: non è sufficiente che l'ebreo sia "testimonio" soltanto per aver ascoltato!: la lettera ‘ain, la prima della parola ‘ed, "testimonio", significa "occhio".

    L'occhio che vede, unito all'orecchio che ascolta, rendono il verso assai più denso di significato: tutte le nostre facoltà devono essere chiamate a testimoniare della "Unità e Unicità di Dio", così come si è espresso Davide: "O Signore, tutte le mie membra proclamano: ‘O Eterno, chi è come te?’"(Sal 35,10). Il "fedele" diverrà così non un semplice testimonio, bensì un "testimonio oculare". L'osservazione dello Hirsch si basa sul fatto che nessuna frase, nessuna parola, nessuna lettera, nel testo divino sono superflue; ognuna di esse vuole insegnarci qualcosa. […]

    La ripetizione del Nome tetragrammato nel primo versetto ha logicamente attirato l'attenzione di molti commentatori, e varie sono state le spiegazioni suggerite. Abbiamo già citato il Rashi, che interpreta tale ripetizione come un auspicio e una speranza: "Di.o, che ora è soltanto il nostro Di.o e non degli idolatri, sarà un giorno il D.io di tutti gli uomini". Si tratta di una interpretazione basata sulle affermazioni di due profeti: "Poiché allora Io muterò in labbra pure le labbra dei popoli, affinché tutti invochino il Nome dell'Eterno, per servirlo di pari consentimento" (Sof 3,9), e "In quel giorno l'Eterno sarà unico e uno sarà il suo Nome" (Zc 14,9).

    Se ogni parola ci mette in condizione di aggiungere qualche cosa di nuovo alla nostra conoscenza e di permetterci una migliore comprensione della parola divina, un'apparente irregolarità grammaticale, così come ogni altrettanto apparente imprecisione di linguaggio, sarà certamente fonte di nuovi insegnamenti. È stato notato, per esempio, che nel primo versetto dello Shema’ si usa il plurale: "L'Eterno è nostro Dio", mentre nel resto del brano troviamo sempre il singolare: "e amerai…, e ripeterai ...".

    Questo anomalo passaggio dal plurale al singolare ha suggerito al Nachmanide (1194-1270) una istruttiva risposta: Dio ha compiuto per mezzo di Mosè opere grandiose e prodigi tali da rendere il nome del protoprofeta glorioso e indimenticabile; ma i miracoli e i prodigi erano stati compiuti per tutto il popolo e non unicamente per Mosè. Perciò, afferma il Nachmanide, se Mosè avesse detto "Il Signore vostro Dio", avrebbe escluso se stesso dalla collettività; ma se avesse detto "Il Signore mio Dio", avrebbe escluso il popolo! Con le parole "Il Signore nostro Dio" ha voluto invece sottolineare che il Signore aveva operato i miracoli sia per lui, sia per il popolo perché sia l'uno, sia gli altri, erano chiamati a divenire i suoi fedeli servitori, coloro che avrebbero diffuso la Parola e la Legge.

    E ne possiamo dedurre chiaramente la morale: quando rimaniamo colpiti dalle azioni prodigiose operate dall'Eterno, ricordiamoci di non pretendere di averne trovato la giusta, l'unica interpretazione; la nostra comprensione è troppo limitata! Oltre a quella che ci sembra la spiegazione immediata, non dobbiamo dimenticare che lo scopo delle azioni divine è molto al di là di quello che noi valutiamo a prima vista. Ecco perché i nostri Maestri si sono soffermati in particolare sulle parole "Ascolta Israele…": per ampliare la comprensione del parola divina.

    Ma, si chiede il Midrash, soltanto a Israele come popolo sono rivolte le parole divine? No, risponde lo stesso Midrash: per "Israele" si intende qui anche il patriarca Giacobbe che meritò per il proprio valore il titolo appunto di "Israele", cioè: "Campione di Dio"! L’ebreo devoto perciò, secondo il Midrash, si rivolge al suo antico padre per confermargli, generazione dopo generazione, che ha mantenuto la sua fede totale nel Dio unico.

    Abudarham (XIV sec.) aggiunge che, con questo appello, ogni ebreo si rivolge anche al suo fratello di fede, per ricordargli l’impegno e il compito; lo richiama quindi all’attività comune per raggiungere lo scopo divino; lo richiama al dovere della solidarietà e gli ricorda la responsabilità collettiva, che è una realtà innegabile che riguarda l’umanità intera, ma che è vitale per la sopravvivenza del popolo d’Israele, come è chiaramente affermato: kol Israel ‘arevim ze la-ze, "Tutti i figli d’Israele sono responsabili l’uno dell’altro".

    Un’interpretazione chassidica della parola "Israele" ci sembra particolarmente mistica e coinvolgente. Dov Baer di Lubawitch, nel suo Kunteros ha-Itpa ’aluth, sostiene che con questo solenne appello ogni ebreo si rivolge a se stesso, si rivolge cioè alla propria anima, che è la parte migliore di sé; a quell’"Israele Campione di Dio" che è componente spirituale della sua essenza, come deve esserlo di ogni essere umano.

    Lo Hirsch si sofferma ancora sulla parola Echad, "Uno", che termina con la lettera dalet (d)scritta, con un carattere più grande, per distinguerla in modo chiaro dalla lettera resh (r)e osserva: le due lettere si rassomigliano, ma la resh ha l’angolo superiore arrotondato, mentre la dalet lo ha sporgente e spigoloso. E non senza ragione, sostiene, si è voluto attirare su queste due lettere l’attenzione di colui che prega; se infatti alla dalet della parola echad, "Uno", sostituiamo la resh, leggiamo una parola di significato completamente diverso: non più echad, "Uno, Unico", bensì acher, "altro", che potrebbe essere inteso come "altra divinità"!

    In pratica se sostituissimo la lettera dalet con la lettera resh, non pregheremmo l’"Unico", ma l’"altro", e contravverremmo al Comandamento che ci ordina di non prestar culto a qualsiasi "altra divinità". La sostituzione della dalet con la resh, continua lo Hirsch, ci impartisce un altro valido insegnamento: se noi consideriamo la parola acher, come abbiamo visto, come termine per indicare "altri dèi", con un chiaro riferimento al politeismo, viene messo in evidenza il fatto che l’ideologia politeistica, come la resh dall’angolo smussato, ha una morale smussata, facile da seguire, perché non impone doveri morali e richiede ben pochi sforzi o impegni. La dalet spigolosa, conclude lo Hirsch, è un severo richiamo alla concezione ebraica, concezione ardua ed estremamente impegnativa, difficile da seguire perché impone una rigida disciplina morale. In altre parole, egli conclude, se tentiamo di ‘smussare’ il nostro comportamento rinunciando a quell’impegno spesso faticoso che ha per scopo l’attuazione di una società, di una umanità migliore, e che è simboleggiato appunto dall’angolosità della dalet, perdiamo la nostra caratteristica di popolo del D. io unico, e diveniamo seguaci di un ‘altro’ credo, indubbiamente più facile, ma totalmente vano.

    Dopo la solenne dichiarazione dell’unità e dell’unicità di Di. o, è scritto: "E amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue possibilità".
    Cosa dobbiamo intendere con amare D. io "con tutto il cuore e con tutta l’anima" e che cosa significa "con tutte le possibilità"? […]

    Il comando di amare D. io è possibile solo dopo l’affermazione solenne e ripetuta non soltanto dell’unità di D. io, ma anche della Sua misericordia e della Sua giustizia. Ed effettivamente, come abbiamo rilevato, la dichiarazione "Ascolta Israele l’Eterno è D. io nostro, l’Eterno è Unico", ci ricorda sempre la ‘misericordia’ divina (menzionata, ripetiamo, due volte nel nome tetragrammato) oltre che la ‘giustizia’ divina (menzionata con la parola "Elohim"). Solo attraverso la convinzione della misericordia e della giustizia divina, può nascere la serenità ispirata dalla coscienza di aver seguito una precisa legge di comportamento che all’amore e alla giustizia di D. io si ispira, e può nascere il conforto, la sicurezza e l’amore verso Colui che non lascia spazio a sorprese e a casualità di giudizio, e che infonde in noi tranquillità di coscienza, serenità e, di conseguenza amore: amore per l’Eterno e amore per il prossimo. […]"

    Da qui:

    www.nostreradici.it/Kopciowski_shema.htm

    Se ne era parlato comunque diverse volte nel forum approfonditamente ad esempio qui

    https://forumbiblico.forumfree.it/?t=24232150

    https://consulenzaebraica.forumfree.it/?t=67897764
     
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