Il profeta: chi era?

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    Trasposizione dalla discussione: "opinioni degli utenti".
    CITAZIONE (leviticus @ 31/5/2017, 06:41) 
    ci sono tre tread generali su daniele e la profezia Dove si spiega fra l altro come da una certa parte dell esegesi ebraica e nel talmud daniele non è considerato un profeta.
    Poi si parla delle datazioni del libro e del concetto ebraico di profeta diverso dal nostro ovvero di "colui che parla per conto di.." ma che non necessariamente prevede il futuro.
    Ed anche in quel caso la cosiddetta profezia e considerata comunque facoltà umana.

    Domanda:
    considerata facolta' umana da chi?
    Da noi uomini del 21 secolo in base all'idea che ci siamo fatti in riguardo alla possibile esistenza di Dio e al suo eventuale modo di interagire con l'umanita'?
    Oppure ci si riferisce a come i profeti venivano considerati dai loro contemporanei?
     
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  2. jjl
     
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    Inserisco come promemoria i link ai due post in cui ho proposto qualche dato

    Rav. Di Segni su cosa fossero i profeti
    #entry608916489

    Chiusura del canone ebraico con qualche nozione connessa
    #entry609138158

    CITAZIONE
    considerata facolta' umana da chi?

    Il concetto della profezia come trattato da Maimonide
    https://it.wikibooks.org/wiki/Guida_maimon..._della_Profezia
    Profezia come evento miracoloso
    Profezia come evento naturale
    Riconciliazione di Maimonide delle prime due posizioni in una terza.

    Maimonide di solito non inventa nulla ma sistematizza di dati precedenti in suo possesso.

    Ho il suo testo, con calma proverò a cercare se qualcosa vale la pena di copiare qui. Senz'altro non avrà omesso di esporre come nasce e si sviluppa il punto 2 nel corso della storia dell'ebraismo fino a quel momento, presumo e spero almeno.

    Consideriamo però che un argomento sviluppato discretamente non può esserlo in un giorno. Se si vuole portare informazioni pertinenti occorre tempo, di incontrarle, trovarle, meditarle un attimo, selezionarle e poi riproporle. Quindi richiede un lavoro personale e tempo.
    Mi ripropongo di non intervenire senza dati significativi.
     
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    Faccio un po' di compagnia a questo mio thread da lungo tempo solo e abbandonato.😌

    Estratto dal discorso di Di Segni (riportato da jjl) su cio' che viene detto in merito alla figura del profeta.
    CITAZIONE (jjl @ 27/5/2017, 19:22) 
    Dati inerenti su cosa siano i profeti

    navì (profeta)

    colui che comunica la volontà di Dio e parla a nome di Dio, che rappresenterà nella società ebraica per un periodo molto lungo l'alter-ego del potere costituito.

    Quando si consolida l'istituto della Monarchia, riemergono anche due funzioni: esiste il sacerdozio ed esiste (si riapre il terzo polo) che è quello dei profeti.


    I profeti sono quelli che vanno a rompere le scatole, e vanno a dire ai re ed ai sacerdoti che non si stanno comportando bene.

    Dicono ai sacerdoti che sono corrotti, che non esercitano con lo spirito dovuto la loro funzione sacra, e dicono al re che si comporta male.


    Quindi la società ebraica vive - in quel momento - con tre forme di potere:
    sacerdoti, re e profeti.


    Edited by Maurizio 1 - 30/6/2018, 13:46
     
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    Mi incuriosisce la definizione di "forma di potere" per lo status di profeta.
    Ma cosa si intende esattamente?
    Un ruolo specifico e istituzionalizzato all'interno della societa?
    Era un mestiere o una vocazione?
    A chiunque era consentito andare da un re o un sacerdote a dirgli in faccia tutto quello che pensava senza mettere a repentaglio la propria incolumita?

    Edited by Maurizio 1 - 30/6/2018, 14:05
     
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    Possiamo trovare le risposte per esempio in profeti anteriori e posteriori di disegni ediz giuntina, anche I profeti di Israele di Carlo Enrico cornill e molto ricco di informazioni

    www.archivio-torah.it/ebooks/profeti.pdf


    Si racconta ad esempio del profeta Amos pastore e piantatore di sicomori, chiamato da d.io andò a predicare nel santuario a bethel.
    Dopo questi sermoni ebbe un incontro con il gran sacerdote Amazia che lo invito' a non predicare più nel santuario e a tornare a casa.
    Amos alla fine del compito affidatogli da d.io fece effettivamente poi ritorno alla sua casa dove scrisse la sua opera.
    Diverso il caso di Isaia che apparteneva evidentemente ad una delle classi più distinte, la tradizione ebraica ne fa un principe della casa regale, possedette quindi potenza e influenza che esercito egli stesso per guidare con la bussola divina la sua patria in un'epoca difficile.
    Nei testi sopra si parla di profeti che riuscirono a impedire rivolte parlando al popolo, ai re, ecc.
    Si parla anche del rapporto fra profetismo e regno oltre che con il sacerdozio, ad esempio si racconta dei profeti perseguitati sotto l epoca di Manasse.

    Edited by leviticus - 5/3/2019, 22:27
     
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    Alla luce di una panoramica così vasta e differenziata relativa ai racconti che coinvolgono i personaggi che vengono definiti profeti diviene secondo me difficile definire un potere specifico di una classe specifica all'interno dell'ebraismo di allora.
    Mentre nel caso di sacerdote e re ci troviamo di fronte a figure che detengono un potere ragionevolmente definito e certo, la stessa cosa non si puo'dire del profeta.
    Casi come quello di Isaia,Geremia e molti altri sono da considerare a parte perché si tratta di sacerdoti/profeti.
    Per esprimersi come rav disegni godono del privilegio di avere due poteri contemporanei: quello di sacerdote e quello di profeta.
    Io penso che il fatto che all'interno del Tanach la figura del profeta e'molto spesso legata a quella del sacerdote e' anche una questione importante da approfondire.

    il profeta Amos invece e' un esempio di solo profeta.
    Egli non si vede riconoscere la sua autorità profetica ne dal re ne dal sacerdote in carica.
    In quel caso pero'ci si pone davanti il caso di un ebraismo costituito da due regni, quindi due re, e due luoghi di culto diversi,e di conseguenza diversa tipologia di sacerdote a seconda del territorio.
    Queste considerazioni non ci sono nella ricostruzione storica di Rav di Segni.
    Aveva ragione il sacerdote Amasia a contestare la non peretinenza territoriale dell'attivita'di Amos?

    Edited by Maurizio 1 - 4/3/2019, 21:40
     
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    Nei testi indicati non si parla in questi termini di Amos né dei regni né dei profeti in generale , Cornill usa le stesse parole di disegni per quanto concerne poteri e istituzioni, in diversi punti si parla di un partito profetico, di gruppi anche di 200 profeti attivi contemporaneamente.
    Riguardo ad Amos il testo dice che il gran sacerdote segnala che era vietato predicare contro Israele.

    Edited by leviticus - 17/4/2019, 22:52
     
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    Puoi essere un po piu preciso?
    Puoi dire a quali parole di Cornill ti riferisci dal momento che ha scritto un libro intero sull'argomento?

    Veniamo al partito dei profeti.
    Gli altri due poteri (monarchia e sacerdozio) come consideravano l'attività di questo partito?
    Una collaborazione? Un azione tollerata?
    Un interferenza con il loro potere da sopprimere?

    Edited by Maurizio 1 - 5/3/2019, 10:01
     
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    CITAZIONE (Maurizio 1 @ 4/3/2019, 14:56) 
    Puoi essere un po piu preciso?
    Puoi dire a quali parole di Cornill ti riferisci dal momento che ha scritto un libro intero sull'argomento?

    Veniamo al partito dei profeti.
    Gli altri due poteri (monarchia e sacerdozio) come consideravano l'attività di questo partito?
    Una collaborazione? Un azione tollerata?
    Un interferenza con il loro potere da sopprimere?

    Vedi post precedenti dove si parla di rapporto tra profeti popolo sacerdoti e re come l epoca di Manasse sopra citata. Per approfondire:

    www.archivio-torah.it/ebooks/profeti.pdf

    Primo capitolo "il profetismo fino alla morte di chiskija" da pag 35 in avanti.

    Edited by leviticus - 7/3/2019, 09:50
     
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    La prima considerazione che mi viene da fare e' domandare se ha molto senso in un sito che si chiama consulenza ebraica prendere a riferimento un libro scritto da un cristiano protestante quale carlo enrico cornill.
    https://de.wikipedia.org/wiki/Carl_Heinrich_Cornill
    Dire che bisogna approfondire quel libro li E cercare le risposte li mi sembra sia stato un po'azzardato.
    detto questo vorrei ritornare al punto in cui io ho cominciato a fare qualche domanda sulla figura del profeta.


    Mi incuriosisce la definizione di "forma di potere" data da Rav Riccardo Disegni per lo status di profeta.
    Ma cosa si intende esattamente?
    Un ruolo specifico e istituzionalizzato all'interno della societa?
    Era un mestiere o una vocazione?
    A chiunque era consentito andare da un re o un sacerdote a dirgli in faccia tutto quello che pensava senza mettere a repentaglio la propria incolumita?
    (Spero che in armonia con la funzione e lo spirito del forum non si riduca tutto al consiglio di acquisto di un libro).

    Edited by Maurizio 1 - 11/4/2019, 09:21
     
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    Un altra domanda che vorrei aggiungere e' questa.
    Che sostanziale differenza ci poteva essere tra la figura del profeta ebreo e la figura del profeti contemporanei negli altri territori del vicino oriente?
    (A parte il contesto di politeismo da una parte e monoteismo dall'altra)
     
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    Non è stato citato solo il testo di Cornill.
    Non c'è da stupirsi nel trovare fonti e autori variegati su siti ebraici, nell ebraismo si dà grande rilievo a tutte le posizioni di autori accademici e di chiara fama, e soprattutto si tutelano quelle minoritarie o contrarie.
    Detto questo siamo in un forum di studio, non è strano trovare citati testi edizioni ecc.

    Torniamo in topic, su discorso profeti Cornill ma anche altri operano il confronto di cui chiedi e si evidenzia la peculiarità del profetismo israelitico, sul discorso poteri e rapporto fra poteri risegnalo ad esempio la sopra citata epoca di Manasse, e le biografie di Isaia o Geremia di Di Segni (Giuntina, profeti anteriori e posteriori) di cui si sono riportati stralci nel tread e nel sito.


    Tuttavia Il tema profeti è un tema molto ampio, difficile esaurire qui un argomento del genere, un forum non può sostituire lo studio delle moltissime fonti sull argomento.
    Si può vedere qui Nell enciclopedia giudaica, si risponde alle domande

    www.jewishencyclopedia.com/articles...ts-and-prophecy

    Riportiamo alcuni stralci

    Termini usati per la funzione profetica e peculiarità del profetismo di Israele

    Sebbene molti popoli antichi avessero i loro profeti, il termine ha ricevuto la sua accettazione popolare solo da parte di Israele, perché, presi come classe, i profeti ebraici non hanno avuto un parallelo nella storia umana nel loro lavoro e influenza.

    Il nome "profeta", dal significato greco traducibile in inglese con "forespeaker" (πρὸ usato nel senso locale originale), è un equivalente dell'ebraico , che significa propriamente un delegato o portavoce di un altro (vedi Es. Vii 1), da il senso semitico generale della radice, "dichiarare", "annunciare". Sinonimo di una certa misura era la parola "veggente" (), che, come I Sam. ix. 9 indica, era una designazione precedente di "profeta", almeno nel linguaggio popolare. L'uso di queste parole fornisce il punto di partenza storico per indagare sullo sviluppo del vero profetismo in Israele. Ma c'è ancora uno stadio precedente rispetto a quello di "vedere", poiché si può osservare che mentre Samuele era chiamato "il veggente", una parte importante del suo lavoro era divinatoria, ci sono diversi termini ebraici per la divinazione di un tipo o dell'altro; ma nessuno di questi è usato come sinonimo di "profetizzare". Inoltre, le parole per "veggente" sono usate piuttosto raramente, la probabile spiegazione è che la maggior parte degli scritti canonici procede da un periodo in cui si riteneva che la funzione speciale di dichiarare o annunciare profezia caratterizzata in Israele fosse migliore degli uffici elementari di divinazione o visione. Allo stesso tempo, bisogna ricordare che "vedere" è sempre una condizione essenziale della vera profezia; da qui l'uso continuo del termine "visione" per gli ultimi giorni della storia profetica, molto tempo dopo il quale il vedere aveva cessato di essere la funzione più distintiva del profeta..

    Status del Profeta

    Ma c'è stato un nuovo sviluppo di altissimo significato ai tempi di Samuele. C'erano gruppi, o, più propriamente, gilde di "profeti" (senza dubbio in gran parte promossi da lui), e questi devono essere considerati come i prototipi dei profeti professionisti trovati in tutta la storia successiva. Sembrano essere stati più attivi in ​​tempi di grande pericolo nazionale o religioso. Così, dopo l'età critica dell'oppressione filistea, sono più importanti ai tempi dell'adorazione fenicia di Baal, l'era di Elia e di Eliseo. Non sono solo veggenti e divinatori, ma ministri e compagni di importanti riformatori e liberatori nazionali. Che fossero degenerati nel tempo in semplici professionisti era inevitabile, perché è della natura stessa del vero profetismo essere spontanei e, per così dire, non istituzionali; ma il loro ottimo servizio ai loro tempi è innegabile. Probabilmente la visione ha ragione, che fa risalire la loro origine alla necessità sentita per una cooperazione organizzata in nome del culto esclusivo di hashem e il trionfo della sua causa.

    Dopo la fondazione del regno sotto Davide, nessun profeta era ufficialmente un leader politico, eppure tutti i profeti esistenti erano attivi statisti, interessati in primo luogo a garantire il benessere della gente. Naturalmente, hanno osservato il re più da vicino. Nathan e Gad per Davide e Salomone e Ahija di Silo per Geroboamo erano consiglieri o mentori reali, ai quali questi monarchi sentivano di dover ascoltare, volenti o nolenti.

    Il successivo nuovo tipo di profezia si realizzò nel suo primo e più grande rappresentante, Elijah (Elia), che si ritrova a mantenere non solo un privato, ma un atteggiamento pubblico di opposizione a un re che non gradisce hashem, pronto persino a promuovere una rivoluzione per purificare la morale e il culto. In Elia si vede anche il primo esempio del profeta della predicazione, il profeta per eccellenza, e non era semplicemente a causa della degenerazione religiosa, ma principalmente a causa del carattere genuinamente e potenzialmente etico della profezia, che una richiesta più ferma e rigorosa di rettitudine è stato fatto dai profeti come i tempi che cambiano richiedevano nuovi campioni di riforma.

    I profeti letterali

    Ma lo stadio finale e più decisivo fu raggiunto quando il parlato divenne anche la parola scritta, quando la questione della profezia prese la forma della letteratura. Non fu una semplice coincidenza, ma il risultato di un processo necessario che questo passo fu compiuto quando Israele entrò per la prima volta in relazione con un più vasto mondo politico, con l'arrivo degli assiri su Siria e Palestina. Molte cose poi contribuirono ad incoraggiare la profezia letteraria: l'esempio e' lo stimolo di collezioni poetiche e storiche già realizzate sotto ispirazione profetica; la necessità di manuali e dichiarazioni di principi per l'uso dei discepoli; il desiderio di influenzare coloro che sono al di là della portata della voce del predicatore; la necessità di una registrazione e testimonianza a lungo termine delle rivelazioni del passato; a capo di tutti, il più importante tra tali verità erano i fatti, ora in primo luogo realizzati, che il governo e gli interessi di D.io non erano solo nazionali, ma universali, che la rettitudine non era semplicemente tribale o personale o razziale, ma internazionale e mondiale.

    Né prima né dopo, le idee del dominio immediato di Dio e l'urgenza delle sue affermazioni sono state sentite così profondamente da qualsiasi corpo o classe di uomini come nei secoli che hanno testimoniato la lotta intrapresa dai profeti di Israele per la supremazia di Hashem la regola della giustizia e della giustizia che era la sua volontà.

    Le verità poi pronunciate sono contenute negli scritti dei Success Profeti. Non erano astrazioni, ma principi del governo divino e della vita giusta, umana, nazionale. Avevano le loro occasioni esterne negli episodi della storia, e quindi erano strettamente di origine provvidenziale; ed erano vere rivelazioni, viste come realtà concrete dai veggenti e dai predicatori le cui parole attestano e commemorano le loro visioni.

    Il primo dei profeti letterari del canone era Amos
    . Il suo breve lavoro... è una delle meraviglie della letteratura per completezza, varietà, compattezza, disposizione metodica, forza espressiva e eloquenza irresistibile. Nel bel mezzo di una festa al santuario centrale di Beth-el, Amos, un pastore di Tekoah in Giuda, e non un membro di nessuna gilda profetica, improvvisamente apparve con parole di denuncia... . Ha turbato l'autocompiacimento nazionale citando e denunciando i peccati della gente e dei loro governanti civili e religiosi, dichiarando che proprio perché Dio li aveva scelti per essere i suoi, li avrebbe puniti per la loro iniquità. Ha rimproverato la loro oppressione dei poveri, la loro avidità, la loro disonestà, come peccati contro Hashèm.
    Lui stesso; assicurò loro che la loro eccessiva religiosità non li avrebbe salvati nel giorno della loro meritata punizione; che, per quanto riguarda il giudizio, non stavano meglio con Lui di quanto non facessero gli Etiopi, gli Aramei oi Filistei. La cosa più essenziale nel suo messaggio era che l'oggetto di culto e gli adoratori devono essere simili nel carattere: Hashem un Di.o giusto; così devono essere retti come suo popolo. Lo sfondo storico della profezia di Amos sono le terribili guerre siriane. La sua prospettiva è ancora più ampia; è un potere mondiale più grande che è quello di infliggere ad Israele la condanna punitiva dei suoi peccati (v. 27).

    Osea, il prossimo e ultimo profeta del Regno del Nord, arrivò sulla scena circa quindici anni dopo Amos, e la parte principale della sua profezia (c.v.-xiv.) Fu scritta circa 735 a. C., Amos aveva alluso agli assiri senza nominarli. Osea è faccia a faccia con il terribile problema del destino di Israele per mano dell'Assiria. Per lui era al di là della possibilità di dubitare che Israele non solo fosse schiacciato, ma annientato (Ch. V. 11, X.15, ecc.). Era una questione dell'ordine morale DI Hashèm, il mondo non è solo una questione della relativa forza politica o militare delle due nazionalità. Per le masse in Israele un tale destino era impensabile, perché hashem era il Di. di Israele. Per Osea, così come per Amos, qualsiasi altro destino era impensabile, e anche perché hashem era il Di.o di Israele. Tutto dipendeva dalla visione del carattere di Hashem; eppure Osea sapeva che Di.o si prendeva cura del Suo popolo molto più di quanto credessero nella loro credulità superstiziosa. La sua stessa tragica storia lo ha aiutato a capire questa relazione. Aveva sposato una moglie che gli era diventata infedele, eppure non l'avrebbe lasciata andare per sempre; ha cercato di riportarla al suo dovere e alla sua vera casa. Ci fu l'immagine dell'amore inestirpabile di hashem per il suo popolo nonostante l infedeltà; e tra le grida e le lamentazioni del profeta quasi dal cuore spezzato si possono udire sempre e immediatamente tensioni di speranza e di speranza, e la divina promessa di perdono e riconciliazione. Così, mentre la profezia nel nord di Israele finiva con questa nuova e strana tragedia lirica, il mondo ha imparato dal profeta-poeta che l'amore e le cure di Di.o sono sicure e durature come la sua giustizia e giustizia.

    La carriera del prossimo grande profeta, Isaia, è collegata al regno di Giuda. Qui le condizioni storiche sono più complesse e il messaggio profetico è quindi più profondo e poliedrico. Isaia tratta molto degli stessi temi di Amos e Osea: i peccati del lusso, della moda e della frivolezza negli uomini e nelle donne; L'accaparramento di terre; sfida di Hashem(capitolo ii., iii., v.). Alla sua rivelazione aggiunge il grande annuncio e argomento di Hashèm supremo, oltre che universale, nel Suo controllo e nella sua provvidenza. Ahaz stringe con destrezza alleanza con l'Assiria, contro il consiglio profetico, per il gusto di controllare Samaria e Damasco. Hashem Dissolverà la combinazione ostile; ma Giuda stesso finirà per cadere davanti a quegli stessi Assiri (Ch. VII). Il signore etiopico d'Egitto invia un'ambasciata negli stati asiatici per incitarli contro l'Assiria. Isaia dà la risposta: Dio dal suo trono osserva tutte le nazioni allo stesso modo, e nel suo buon tempo l'Assiria incontrerà il suo destino (cx xviii.). La grande rivolta contro l'Assiria è iniziata. Gli assiri sono arrivati ​​sulla terra. Ancora una volta la questione è presa dalla provincia della politica in quella della provvidenza. L'Assiria è lo strumento di D.io nella punizione del Suo popolo, e quando ha compiuto il suo lavoro deve incontrare il suo destino (cap. X). Quindi il tono di tromba della provvidenza e del giudizio è ascoltato attraverso il messaggio profetico finché Gerusalemme non sarà salvata dalla piaga inviata dal cielo nell'ospite di Sennacherib.

    Mentre nel secolo successivo la profezia scritta non era del tutto assente, un'altra forma di attività letteraria era richiesta dai tempi e dalle occasioni. L'Assiria aveva giocato il suo ruolo ed era svanito. L'impero caldeo aveva appena preso il suo posto. Le piccole nazioni, incluso Israele, diventano prede del nuovo dominatore. Il meraviglioso veggente Abacuc ( circa 600 aC) riflette sulla situazione. Riconosce nei Caldei anche lo strumento di Dio. Ma i caldei sono anche più grandi trasgressori di Hshem. Il militarismo e la guerra aggressiva devono essere approvati e ricompensati dal Dio giusto? (Ch. i.). Salendo sulla sua torre di guardia, il profeta ottiene una chiara visione delle condizioni e una disposizione del problema. La carriera e il destino della Caldea sono sottoposti alla stessa legge della carriera e del destino di Israele, e questa legge funziona sicuramente anche se non vista (capitolo ii). Habakkuk proclama quindi l'universalità della giustizia di Dio, nonché del suo potere e della sua provvidenza.

    In Geremia (626-581) la profezia è massima e più piena. La sua vita ufficiale lunga e perfettamente trasparente piena di vicissitudini, le sue lunghe conferenze, la sua impazienza di imparare e di fare il giusto, la sua devozione più che sacerdotale o militare alla sua ardua vocazione, la sua pratica e il coraggio nonostante la diffidenza nativa, fanno della sua parola e del lavoro un soggetto incomparabile per studio, ispirazione e imitazione. Il più grande genio religioso della sua gente, fu anche il confessore e martire dell'antica alleanza, e esercita ancora un'influenza morale unica. Che cosa allora rappresentavano e proclamavano la sua vita e la sua parola? Tra le altre cose, queste: (1) la natura e il dovere del vero patriottismo: contrastare la politica del tuo paese quando è sbagliato; a rischio della libertà e della vita, porre lealtà a Dio e giustizia al di sopra della lealtà verso il re e il paese; (2) la spiritualità di Dio e della vera religione (Ix. 23 e segg., xxxi. 31); (3) la perpetuità e la continuità di Hshem Regola e provvidenza (xvi 14, 15; xxiii. 7, 8); (4) il principio dell'individuo in contrapposizione alla responsabilità tribale o ereditaria (XXIX 29, 30).

    Queste sono una selezione delle principali verità e principi annunciati dai Profeti. Si osserverà: (1) che sono le verità cardine della rivelazione dell'Antico Testamento; (2) che furono dati nell'ordine naturale di sviluppo, cioè secondo i bisogni e le capacità degli studenti; (3) che furono evocati da certe occasioni storiche definite. Dal precedente sommario si può anche apprendere come la funzione e lo scopo del profeta siano stati diversificati e ampliati. Nello stadio più rudimentale si trovano tracce delle arti primitive e pratiche di indovinazione e divinazione; eppure agli inizi dell'opera profetica in Israele si possono distinguere gli elementi essenziali della vera profezia, il "vedere" le cose velate dall'occhio comune e il "dichiarare" delle cose così viste. Se Israele presenta l'unica rivelazione continua e salvifica mai concessa agli uomini, il fattore decisivo nella rivelazione unica è il carattere del Rivelatore. Era il privilegio dei profeti, gli eletti dell'umanità, capire e conoscere Hshem (Ger 32), e rimane ancora profondamente vero che "Adonai hashem non fa nulla se non ha rivelato il Suo segreto ai suoi servi, i profeti "(Amos III, 7, Ebr.).


    Nella Il letteratura post-biblica

    Il primo a riflettere sul fenomeno della profezia e a suggerire che certi stati, sia mentali sia morali, siano prerequisiti all'accoglienza o all'esercizio del dono profetico era..

    .. Filone di Alessandria. Come in molte altre sue concezioni e costruzioni, così nella sua spiegazione della profezia, segue la guida di Platone, accettando la sua teoria sull'entusiasmo mantico ("Fædrus", p 534, edito Stephanus). Affinché la luce divina possa sorgere nell'uomo, l'uomo deve prima essere completamente impostato. Sotto la completa emigrazione dello spirito mortale o umano e l'effusione dello spirito immortale o divino i Profeti diventano strumenti passivi di un potere superiore, l'azione volontaria delle loro stesse facoltà è completamente sospesa (Philo, "Quis Rerum Divinarum Hæres Sit", § 53). Il profeta "non pronuncia nulla di suo": parla solo di ciò che gli viene suggerito da Dio, da chi, per il momento, è posseduto. La profezia include il potere di predire il futuro; ancora la funzione principale del profeta è quella di essere l'interprete di Dio, e di scoprirlo, mentre si trova nello stato di estasi, entusiasmo o frenesia ispirata in cui cade, cose che le facoltà riflessive sono incapaci di scoprire (Philo,lc §§ 52-53; "De Vita Mosis", ii. 1; "Duo de Monarchia", i. 9; "De Justitia", § 8; "Prœmiis et Pœnis", § 9; Drummond, "Philo Judæus", ii. 282; Hamburger, "RBT" ii. 1003, sv "Religionsphilosophie").

    Eppure questa ispirazione è ritenuta non essere l'effetto di un miracolo speciale e arbitrario. La comunione tra Dio e l'uomo è permanentemente possibile per l'uomo. Ogni uomo veramente buono e saggio ha il dono della profezia: solo il malvagio perde la distinzione di essere interpreti di Dio. Gli scrittori biblici erano pieni di questo divino entusiasmo, Mosè lo possedeva in misura più ampia di tutti gli altri, che non sono tanto canali originali di rivelazioni ispirate come compagni e discepoli di Mosè (Drummond, lc i, 14-16).

    Nel Talmud

    Per quanto concerne le visioni tslmudiche, Come ci si può aspettare dal metodo dei Tannaim e degli Amoraim, nessuna delle autorità talmudiche fornisce alcuna esposizione sistematica sulla natura della profezia. Tuttavia, mescolato con le applicazioni e le interpretazioni omiletiche dei testi biblici, ci sono un buon numero di osservazioni riguardanti i Profeti e la profezia in generale. Di questi i seguenti sembrano essere i più degni di nota.

    Il dono profetico è accordato solo a coloro che sono fisicamente forti, mentalmente saggi e ricchi (Shab. 92a; Ned. 38a). In realtà, tutti i profeti erano "ricchi" (Ned. 38a). I profeti si distinguono per tratti individuali. Nella loro lingua, ad esempio, mostrano l'influenza dell'ambiente. Ezechiele è come un provinciale rurale ammesso alla presenza reale, mentre Isaia assomiglia all'abitante colto della grande città (Ḥag 13b). Mosè, ovviamente, occupa una posizione eccezionale. Vide la verità come se fosse riflessa da uno specchio chiaro; tutti gli altri, come da un vetro opaco (Yeb. 49b). Questo pensiero è presente nell'osservazione che tutti gli altri profeti dovevano guardare in nove specchi, mentre Mosè ne guardava uno solo (Lev. R. i.). Con l'eccezione di Mosè e Isaia nessuno dei Profeti conosceva il contenuto delle loro profezie (Midr. Scatta fino a Ps. xc. 1). Le parole di tutti gli altri profeti sono virtualmente mere ripetizioni di quelle di Mosè (Es. R. xlii; vedi anche Bacher, "Ag. Pal. Amor", I, 164, 500); in effetti, ma un contenuto era in tutte le profezie. Tuttavia, non due profeti hanno riprodotto quel contenuto nello stesso modo (San. 89a). L'unanimità e la concordanza dell'espressione verbale tradiscono il falso profeta (ib. ). I profeti, tuttavia, sono degni di lode perché utilizzano una fraseologia intelligibile, che non si riduce nemmeno all'utilizzo di similitudini antropomorfiche e di paragoni tratti dalla natura (Midr. Shoḥer Ṭob a Ps. I, Pesiḳ 36a, J. Levy, " Ein Wort über die Mekilta von R. Simon, "pp. 2l-36, Bacher, lc iii 191, nota 4).

    Opinioni varie

    Tutte le profezie erano incluse nella rivelazione al Sinai (Es. R. xxviii .; Tan., Yitro). Tuttavia, lo "spirito santo" che discese sui singoli profeti non era lo stesso in grado in ogni caso; alcuni profeti hanno ricevuto sufficiente per un libro, altri abbastanza per due libri, e altri solo fino a due versi (Lev. R. xv., comp. Bacher, lcii. 447, nota 1). La profezia era talvolta condizionata dal carattere della generazione in cui viveva il potenziale profeta (San Giovanni 11a, Berea 57a, Suk 28a, BB 134a). Tutte le profezie scritte iniziano con parole di censura, ma concludono con frasi di consolazione (Yer Ber. 8d, Midr. Shoḥer Ṭob a Ps. Iv.8, Pesiḳ 116a, in realtà Geremia non fa eccezione alla regola). Furono pubblicate solo quelle profezie valide per i giorni futuri; ma Dio a volte promulgherà le molte profezie che, trattando solo gli affari del loro tempo, rimasero inedite (Cant. R. iv. 11; Meg. 14a; Eccl. R. i. 9). In relazione a ciò si afferma che ai tempi di Elia vivevano in Israele miriadi di profeti e altrettante profetesse (Cant. R. lc). La predizione della pace deve avverarsi se fatta da un vero profeta; non così per il male, perché Dio può decidere di rifiutare la punizione (Tan., Wayera, on xxi. 1).

    Judah ben Simeon attribuisce a Isaia la distinzione di aver ricevuto l'ispirazione immediata, mentre altri profeti hanno ricevuto la loro attraverso i loro predecessori (Pesiḳ 125 b et seg.; Lev. R. xiii.); e, riferendosi a tali ripetizioni come "Ti consoli, ti consoli", gli attribuisce una doppia porzione di potere profetico. Una raccolta midrashica molto recente (Agadat Bereshit xiv.) Designa Isaia come il più grande, e Abdia come il minimo, dei Profeti, e imputa sia alla conoscenza di tutte le lingue parlate. Le predizioni profetiche delle future benedizioni avevano lo scopo di incitare Israele alla pietà; in realtà, tuttavia, solo una parte della gloria futura fu mostrata ai Profeti (Yal., 368, Eccl. R. i. 8). Dove il padre del profeta è menzionato per nome, anche il padre era un profeta; dove non viene dato alcun luogo di nascita, il profeta era un Gerusalemmeita (Megal 15a). Una sposa casta è promessa che i profeti saranno tra i suoi figli ( ib.10b). Si calcola che quarantotto profeti e sette profetesse siano sorti in Israele. D'altra parte, si afferma che il numero di profeti era il doppio di quelli che lasciarono l'Egitto ( ib 14a). Si dice che otto profeti siano sorti da Rahab ( ib. ). Cinquanta è il numero dato dei profeti tra gli esuli che ritornano da Babilonia (Zebot 62a). Ogni tribù produceva profeti. Con la morte degli antichi profeti, l'urim e il thummim cessarono in Israele (Suk 27a: Soṭah 48a).

    Dal momento che la distruzione della profezia del Tempio è passata ai saggi, ai semidementati (pazzi) e ai bambini, ma l'uomo saggio è superiore al profeta (BB l2a). Sono stati menzionati otto profeti che hanno riempito il loro ufficio dopo la distruzione del Primo Tempio, essendo Amos tra loro. Nello stesso passaggio a Joel viene assegnata una data postexilic (Pesiḳ 128b). Gli anziani sono, come il ḥakamim (vedi BB 12a), accreditati con superiorità sui profeti (Yer. Ber 3b; Yer. Sanb. 30b).

    I profeti delle altre nazioni

    La profezia non era considerata confinata in Israele. Le "nazioni del mondo" avevano sette profeti (BB 15b, comp. Eccl. R. iii, 19). Prima della costruzione del Tabernacolo, le nazioni condividevano il dono con Israele (Lev. R. i .; Cant. R. ii. 3). La restrizione della profezia a Israele era dovuta alla preghiera di Mosè (Esodo XXIX 16, Ex. R. xxxii., Ber 7a). Alle "nazioni" i profeti vengono solo di notte (Gen. R. lii .; Lev. R. i.) E parlano solo con un indirizzo "mezzo" (Lev. R. ix.); ma in Israele parlano alla luce del giorno. La distinzione tra il modo in cui Di.o parla ai profeti di Israele e quelli delle "nazioni" è spiegata in una parabola su un re che parlò direttamente al suo amico (Israele), ma agli estranei solo da dietro un sipario (Gen. R. lii.). Di nuovo, ai "profeti delle nazioni" Dio rivela la sua volontà solo come una stazionata da lontano; a quelli di Israele come uno più vicino (Lev. R. i.). Balaam è considerato il più eminente dei profeti non ebrei (vedi Geiger "Jüd. Zeit." Vol. I.).

    Visioni di Saadia

    Sotto lo stress delle polemiche, Saadia fu costretta ad affrontare il problema della profezia in modo più sistematico rispetto ai rabbini del periodo talmudico. Poiché la contesa era stata sollevata sul fatto che la profezia in realtà non era necessaria, poiché se il messaggio era una ragione razionale senza aiuto poteva evolvere il suo contenuto, mentre se era irrazionale era incomprensibile e inutile, Saadia sosteneva che la Torah conteneva comandamenti razionali e rivelati. Quest'ultimo ha certamente richiesto l'intervento della profezia, altrimenti non potevano essere conosciuti dagli uomini. Ma il primo? Per loro la profezia era necessaria in primo luogo perché la maggior parte degli uomini è lenta nell'impiegare la propria ragione, e in secondo luogo perché attraverso la profezia la conoscenza è impartita più rapidamente ("Emunot we-De'ot", p.12, editto Berlino). Il terzo argomento è che la ragione non può evolvere più dei principi generali, lasciare l'uomo dipendente dalla profezia per i dettagli. Gli uomini possono, ad esempio, motivare il dovere di gratitudine, ma non possono sapere, attraverso la semplice ragione, come esprimere la loro gratitudine in un modo che sarebbe accettabile agli occhi di Dio. Quindi i profeti hanno fornito ciò che la ragione umana non poteva fornire quando hanno stabilito l'ordine delle preghiere e determinato le stagioni appropriate per la preghiera. Lo stesso vale per le domande di proprietà, matrimonio e simili.

    La facoltà profetica

    Ma qual è il criterio della vera profezia? I miracoli che il profeta lavora e con il quale attesta la verità del suo messaggio ( ib.iii. 4), anche se il grado di probabilità nell'annuncio del profeta è anche una prova della sua genuinità, senza la quale anche il miracolo perde il suo peso come prova. I profeti, infatti, erano uomini, non angeli. Ma questo fatto rende tanto più evidente la saggezza divina. Poiché gli uomini ordinari e non gli angeli sono scelti per essere gli strumenti della rivelazione di Dio, ciò di straordinario potere che esibiscono deve necessariamente suscitare i loro auditor e i testimoni dei miracoli realizzati per rendersi conto che Dio sta parlando attraverso di loro. Per la stessa ragione, la capacità di operare miracoli è temporanea e condizionata, il che dimostra ancora che i profeti non traggono il loro potere da loro stessi, ma sono soggetti a una volontà diversa e superiore alla loro.

    Per affrontare le difficoltà insite nell'assunzione che D.io parli e appaia, così da essere ascoltato e visto, Saadia ricorre alla teoria che una voce appositamente creata ad hoc è il mezzo di ispirazione, in quanto una "creazione di luce" è quella dell'apparenza ( ib ii, 8). Questa "creazione di luce", infatti, è per il profeta l'evidenza della realtà della sua visione, contenente la certezza che egli ha ricevuto una rivelazione divina. È quindi evidente che Saadia nega la cooperazione delle qualifiche mentali e morali del profeta nel processo di profezia.

    Baḥya e Ibn Gabirol

    Baḥya ripete, in una certa misura, gli argomenti di Saadia in prova dell'insufficienza della ragione e della necessità della profezia. La natura umana è duplice, e gli elementi materiali potrebbero non essere tenuti in debita considerazione se la profezia non venisse in soccorso. Quindi la ragione da sola non poteva essere arrivata alla verità completa. I miracoli sono la prova della profezia che Baḥya sollecita con un'enfasi ancora maggiore di quella del suo predecessore ("Ḥobot ha-Lebabot", III, 1, 4). Nondimeno, egli sostiene che la purezza dell'anima e la perfezione della conoscenza razionale costituiscono la più alta condizione raggiungibile dall'uomo, e che questi rendono "l'amato di Dio" e conferiscono una potenza strana e superiore "a vedere le cose sublimi e cogliere i segreti più profondi "( ib. X . ; Kaufmann," Die Theologie des Bachya ", pagina 228,

    Salomone ibn Gabirol considera la profezia identica al più alto grado possibile di conoscenza razionale, in cui l'anima si trova in unità con tutto lo spirito. L'uomo si eleva verso questa perfetta comunione di grado in grado, finché alla fine raggiunge ed è unito alla fonte della vita (vedi Sandler, "Das Problem der Prophetic", 29, Breslau, 1891).

    Judah ha-Levi confina la profezia in Palestina. È il e il ("Cuzari", I. 95). La profezia è il prodotto della Terra Santa ( ib II, 10), e Israele come il popolo di quella terra è l'unico popolo della profezia. Israele è il cuore della razza umana, ei suoi grandi uomini, di nuovo, sono i cuori di questo cuore ( ib II, 12). Abramo dovette migrare in Palestina per diventare idoneo alla ricezione di messaggi divini ( ib.ii. 14). Per soddisfare l'obiezione che Mosè, tra gli altri, ha ricevuto rivelazioni profetiche su suolo non palestinese, Giuda dà il nome di Palestina a un'interpretazione più ampia: "La Grande Palestina" è la casa della profezia. Ma questa profezia, ancora una volta, è un dono divino, e nessuna speculazione da parte del filosofo potrà mai sostituirla. Solo essa ispira gli uomini a fare sacrifici e ad incontrare la morte, certi di aver "visto" Di. o e che Di. o ha "parlato" a loro e ha comunicato loro la Sua verità. Questa è la differenza tra "il Di.o di Abramo e il Di.o di Aristotele" ( ibid ., 16). Il profeta è dotato da Dio di un nuovo senso interiore, il (= "occhio [interiore] nascosto"), e questo "occhio interiore" consente al profeta di vedere possenti visioni ( ib.iv. 3). La prova della verità è l'unanimità dei Profeti, che solo possono giudicare la verità profetica. L'accordo dei "veggenti" contro il "cieco" è il fattore decisivo. Judah ha-Levi chiede al profeta di non confondere la semplice immaginazione per una visione genuina, la purezza della condotta, la libertà dalla passione, un temperamento equo "di identica commistione", una vita contemplativa, un ardente desiderio verso le cose superiori e una duratura , quasi completo, assorbimento in Dio. Quando soddisfano queste condizioni nella loro interezza, viene versato lo spirito divino della profezia ( ib. V. 12). Questa "effusione" o "irradiazione" è intesa dai Profeti quando parlano di "Gloria di Dio", "Forma di Dio", "Shekinah", "nube di fuoco,iii. 2). Si chiama anche la luce "divina" o "effulgente" ( ib ii, 14). Così ispirato, il profeta è "il consigliere, l'ammonitore e il censore del popolo"; lui è la sua "testa"; come Mosè, è un legislatore ( ib ii, 28). Joseph ben Jacob ibn Ẓaddiḳ ("'Olam Ḳaṭôn") considera la profezia come un'emanazione dello spirito divino, di cui tutti, senza distinzione, possono diventare destinatari.

    I filosofi finora presentati considerano la profezia un dono dall'esterno.

    Abraham ibn Daud fu il primo tra gli studiosi ebrei ad insistere sul fatto che la profezia è l'escrescenza delle predisposizioni naturali e della conoscenza acquisita. Collega la profezia ai sogni (vedere Ber 57b). Un aristotelico, invoca l '"intelletto attivo" per connettere il naturale con il soprannaturale. Attribuisce anche a "immaginazione" una partecipazione al fenomeno della profezia. Assume due gradi di intuizione profetica, ognuno con suddivisioni: le visioni date nei sogni e quelle impartite al profeta mentre è sveglio. Nei sogni predomina l'immaginazione; quando il profeta è sveglio, l'"intelletto attivo" è dominante ("Emunah Ramah", ed. Weil, pp. 70-73). L'indovinazione distinta dalla profezia si risolve in base alla misura in cui il " la rivelazione è impartita in parole più chiare, libere da similitudine e allegoria. La riflessione interiore è potente nella profezia afferrata dalla mente vigile. La Palestina è per Abramo la terra della profezia, Israele il suo popolo predestinato. In Israele raggiungono questo potere che conducono una vita moralmente pura e si associano agli uomini di esperienza profetica. Altrimenti la profezia è alla portata di tutti, a condizione che Dio acconsenta a darlo. la rivelazione è impartita in parole più chiare, libere da similitudine e allegoria. La riflessione interiore è potente nella profezia afferrata dalla mente vigile. La Palestina è per Abramo la terra della profezia, Israele il suo popolo predestinato. In Israele raggiungono questo potere che conducono una vita moralmente pura e si associano agli uomini di esperienza profetica. Altrimenti la profezia è alla portata di tutti, a condizione che Dio acconsenta a darlo.

    La visione della profezia di Maimonide.

    Le teorie di Abraham ibn Daud sono, con modifiche caratteristiche, riaffermate da Maimonide. Egli enumera tre opinioni: (1) quella delle masse, secondo cui Dio scelse chi avrebbe voluto, anche se mai così ignorante; (2) quello dei filosofi. che valuta la profezia come incidentale di un grado di perfezione inerente alla natura umana; (3) che "che è insegnato nella Scrittura e forma uno dei principi della nostra religione". L'ultimo è d'accordo con il secondo in tutti i punti tranne uno. Poiché "noi crediamo che, anche se uno ha la capacità di profezia e si è debitamente preparato, può ancora non profetizzare realmente: la volontà di Dio" è il fattore decisivo. Questo fatto è, secondo Maimonide, un miracolo.

    I prerequisiti indispensabili sono tre: innata superiorità della facoltà immaginativa; perfezione morale; perfezione mentale, acquisita con l'allenamento. Queste qualità sono possedute in gradi diversi da uomini saggi e i gradi della facoltà profetica variano di conseguenza. Nei profeti l'influenza dell'intelletto attivo penetra nelle loro facoltà logiche e immaginative. La profezia è un'emanazione dell'Essere Divino, ed è trasmessa attraverso il mezzo dell'intelletto attivo, prima alla facoltà razionale dell'uomo e quindi alla sua facoltà immaginativa. La profezia non può essere acquisita da un uomo, per quanto seria possa essere la cultura delle sue facoltà mentali e morali. Nel corso della sua esposizione, in cui discute l'effetto dell'assenza, o indebita preponderanza, di una delle facoltà componenti,ad esempio , rabbia o dolore) in base al quale il dono profetico può essere perso. Spiega che ci sono undici gradi ascendenti in profezia o ispirazione profetica, sebbene Mosè occupi un posto da solo; la sua ispirazione è diversa in natura e in grado da quella di tutti gli altri ("Moreh", ii., xxxii.-xlviii .; "Yad," Yesode ha-Torah, vii. 6).

    Per le polemiche suscitate dalle visioni di Maimonide dovrebbero essere consultati gli articoli Alfakar , Moses ben Maimon e Moses ben Naḥman (vedi anche Naḥmanides su Gen. xviii.1).

    Isaac ben Moses Arama ("Aḳedat Yiẓḥaḳ," xxxv.) Dichiara la visione di Maimonide che il dono profetico è essenzialmente inerente alle facoltà umane e che la sua assenza quando sono presenti tutte le condizioni preliminari è un miracolo, essere completamente non ebrei. Proprio il contrario vale nel caso, poiché la profezia è sempre miracolosa.

    Joseph Albo ( "'Iḳḳarim" iii. 8), sebbene sostenendo contro Maimonide, accetta ( ib. Iii. 17) Maimonide con la spiegazione che nella profezia Moses è distinto e unico per l'assenza in esso di fantasia.

    Isaac Abravanel (su Gen. xxi. 27) mantiene la realtà delle visioni dei Profeti che Maimonide attribuisce all'intervento delle facoltà immaginative.

    Tra gli scrittori sulla profezia, Gersonides ( Levi ben Gershon ) deve essere menzionato. I sogni, per questo scrittore, non sono vani giochi di fantasia; né i poteri degli indovini sono fittizi; quest'ultimo semplicemente non e' un elemento essenziale per la profezia, e questa è saggezza. Inoltre, la profezia è sempre infallibile. È una emanazione dall'intelletto attivo universale onnipervadente, onnipervadente, mentre la conoscenza dell'indovino è causata dall'azione di una "particolare" influenza o spirito sferico sull'immaginazione del chiromante ("Milḥamot ha-Shem , "ii.).

    Ḥasdai Crescas considera la profezia come un'emanazione dello Spirito Divino, che influenza la facoltà razionale con e senza la facoltà immaginativa ("O Adonai", II, 4, 1).

    Edited by leviticus - 21/4/2019, 19:46
     
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    CITAZIONE (leviticus @ 18/4/2019, 00:13) 
    Tra gli scrittori sulla profezia, Gersonides ( Levi ben Gershon ) deve essere menzionato. I sogni, per questo scrittore, non sono vani giochi di fantasia; né i poteri degli indovini sono fittizi; quest'ultimo semplicemente non e' un elemento essenziale per la profezia, e questa è saggezza. Inoltre, la profezia è sempre infallibile. È una emanazione dall'intelletto attivo universale onnipervadente, onnipervadente, mentre la conoscenza dell'indovino è causata dall'azione di una "particolare" influenza o spirito sferico sull'immaginazione del chiromante ("Milḥamot ha-Shem , "ii.).

    Giusto. Gersonides non va trascurato.
    Che cos'e' l'intelletto attivo universale onnipervadente?
    E lo spirito sferico?

    Edited by Maurizio 1 - 21/9/2019, 14:35
     
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