Perché San Paolo ha inventato il cristianesimo?

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    אילון

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    Perché San Paolo ha inventato il cristianesimo?
    D.Donnini
    Certamente non possiamo esonerarci dal considerare in modo attento questa domanda senza rischiare, altrimenti, di avere elaborato una interpretazione ricca di indizi a suo favore ma, ahimé, mancante dell'elemento più importante.
    Infatti dobbiamo individuare il motivo fondamentale per cui sarebbe stata operata la revisione del messianismo tradizionale degli ebrei e la sua trasformazione in una teologia destinata a staccarsi dalla matrice giudaica o, addirittura, a porsi in conflitto con essa per i secoli successivi.

    Come abbiamo già detto, la figura su cui ricade il massimo della responsabilità di questo processo è quella che la tradizione cristiana riconosce nella persona di San Paolo.
    Chi era San Paolo? E perché avrebbe inventato il cristianesimo?
    E' straordinario constatare il modo in cui la letteratura cristiana lascia questo personaggio in una condizione di quasi anonimato, sfocandone al massimo il profilo biografico e l'identità anagrafica. Non sappiamo quando sia nato, chi fosse la sua famiglia, in che periodo sia venuto a Gerusalemme per compiere gli studi e, quel ch'è più clamoroso, lo scritto del Nuovo Testamento che si occupa di lui (Atti degli Apostoli) lo abbandona completamente a metà di un percorso narrativo, senza dirci niente sul suo destino.
    Le sue lettere, che oggi appartengono al corpus del canone neotestamentario, hanno l'aria di essere dei documenti ricchi di contraffazioni, se non, qualche volta, per niente autentici.
    Alcuni autori giungono persino a mettere in dubbio il fatto che questo personaggio fosse un autentico ebreo, come egli proclama negli scritti del Nuovo Testamento che gli sono attribuiti. Personalmente non mi sento di sostenere questa tesi estrema, ma posso associarmi ad alcune constatazioni che sembrano dare un profilo elastico alla ebraicità di San Paolo.
    A.N.Wilson, in "Paolo l'uomo che inventò il cristianesimo" (Rizzoli, 1997), sostiene, in modo abbastanza verosimile, che Paolo fosse un personaggio molto legato e compromesso col mondo romano, soprattutto per il fatto che la sua professione sarebbe stata quella di produrre tessuti per tendaggi usati dalle legioni militari imperiali. E' certo che i suoi famosi viaggi non sono stati effettuati al fine primario di compiere un'opera missionaria ma che, piuttosto, egli ha approfittato della circostanza professionale dei suoi continui spostamenti commerciali per svolgere anche un proselitismo politico-religioso (non ci si meravigli di questa associazione fra politica e religione: nel mondo semitico degli ebrei la politica e la religione sono legate indissolubilmente da una concezione di vita prettamente teocratica).
    Ciò che caratterizza l'identità culturale di Paolo è una ebraicità molto aperta, una estrema abitudine, per ragioni di ambiente di nascita e di esperienze di vita, al contatto con le culture gentili, ovverosia pagane. E non c'è alcuna possibilità di comprendere storicamente questo individuo e la sua opera se non si parte proprio dall'idea che le sue formulazioni teologiche, sfociate nella nascita di una nuova religione, abbiano origine nel contrasto stridente fra...

    ...da una parte, la ebraicità ottusa, fanatica, fondamentalista e xenofoba (la concezione hassidica, sviluppatasi dal patriottismo politico religioso dei maccabei del II secolo a.C.), che nel I sec. d.C. trovò la sua principale espressione nel messianismo esseno-zelota, e la sua collocazione geografica nell'ambiente palestinese,

    ...dall'altra parte, la ebraicità aperta, maturata attraverso il contatto e la convivenza con i popoli e le culture gentili, disponibile alla reinterpretazione delle scritture in senso molto elastico (una concezione di cui furono tipici rappresentanti uomini come Filone Alessandrino, Giuseppe Flavio, e il primo Shaul, successivamente nominato Paolo), per niente interessata allo sviluppo di una conflittualità estrema fra Israele e Roma, con una collocazione geografica rivolta soprattutto agli ambienti della diaspora.

    Sono le tensioni fra questi due modi di essere ebrei, e le drammatiche vicende politiche e militari della nazione ebraica sotto il dominio imperiale, sempre in altalena fra le azioni dei patrioti Yahwisti e le repressioni romane, che fornirono i presupposti del processo attraverso il quale si sviluppò per gradi...

    1 - ...prima, una coscienza contraria al messianismo radicale degli esseno-zeloti,

    2 - ...poi una corrente politica altrettanto radicale, ma in senso anti-messianista, espressione delle classi dominanti di Israele (sadducei e farisei di destra),

    3 - ...quindi una tendenza a rileggere le profezie messianiche con significati contrari a quelli esseno-zelotici, e aperta ai contributi teologici delle spiritualità gentili,

    4 - ...infine una corrente militante, di cui il San Paolo del dopo Damasco fu il fondatore e il promotore indefesso, che, pur di contrastare il messianismo hassidico e i suoi estremi pericoli per la sicurezza della nazione ebraica, era disposta a crearne un altro, aperto alle teologie escatologiche straniere (vedi il Soter greco, il Saoshyant persiano, il Krishna e il Buddha indiani...), sopportando il rischio (o forse andandogli volutamente incontro) che ciò innescasse una sorta di mitosi teologica il cui prodotto, alla fine, fosse la nascita di una nuova religione e la sua scissione dal giudaismo.

    In un primo tempo San Paolo sarebbe stato senz'altro un esponente della corrente di cui al punto 2. E' facile che egli, in quanto benestante, colto, professionista con molte occasioni di viaggio e con molti contatti in ambienti sia ebraici che greco-romani, sia stato coinvolto nella politica di repressione delle "brigate messianiste" e che abbia collaborato come informatore o anche in modo più consistente.
    Non si dimentichi che i cristiani, al centro della attenzione repressiva, in questa fase del processo di evoluzione del cristianesimo, non erano ancora ciò che intendiamo oggi con quel termine, bensì erano i giudei messianisti, ovverosia i membri delle sette che aspiravano alla rinascita del regno di Yahwè e all'interno delle quali si individuavano le figure degli aspiranti messia, capi religiosi con la spada in mano.
    Siamo noi che commettiamo il gravissimo errore di interpretare il movimento dei seguaci diretti di Cristo come se questi avessero già incorporato la filosofia espressa nel Nuovo Testamento, che rende spoliticizzato, degiudaizzato e pacifista il messaggio evangelico, prima ancora che Paolo lo avesse formulato.


    San Paolo
    In realtà, gli stessi Atti degli Apostoli, sebbene siano stati redatti col preciso scopo di far apparire la concezione neomessianica di Paolo come se fosse appartenuta a Gesù Cristo, proponendo in modo del tutto artificiale la continuità e la conformità là dove invece sussistono discontinuità e contrapposizione, finiscono per mostrare loro malgrado, con innegabile chiarezza, l'esistenza di un grave conflitto fra una corrente giudaizzante (identificata nelle persone come Simone e Giacomo, i fratelli di Gesù) e una corrente riformista con aperture ellenistiche (identificata nelle persone come Paolo e i suoi seguaci).
    In un secondo tempo San Paolo avrebbe maturato un atteggiamento diverso, probabilmente rendendosi conto che la strada della semplice repressione politica, consistente nell'arresto e nella eliminazione fisica degli esponenti messianisti, non avrebbe funzionato molto, tanto più che le ideologie radicali del tipo esseno-zelotico non si fermavano davanti al martirio (abbiamo visto il comportamento dei cittadini di Gamla e degli assediati di Masada) ma, al contrario, ne traevano nuovo orgoglio e nuova energia combattiva. In pratica Paolo comprese che l'ideologia messianista tradizionale avrebbe potuto trovare un antagonista valido solo in un'altra ideologia, e che l'argine per ostacolare l'espansione del messianismo radicale nei diversi strati della popolazione ebraica, e per allontanare i suoi gravi pericoli, avrebbe potuto essere offerto solo da un altro messianismo, non così bellicoso, non così ispirato al nazionalismo yahwista, non così frontalmente ostile ai romani, ma comunque rispondente ad istanze che avessero una risonanza reale nella gente e in larghi strati di popolo.
    Insomma, invece di seguire la via degli arresti e delle esecuzioni, Paolo preferì offrire un'alternativa all'idea della salvezza nazional-religiosa (questa fu la sostanza reale della sua conversione) e si adoperò per creare un messianismo più convincente di quello che, pur solleticando l'orgoglio etnico, che è il tratto distintivo di ogni ebreo, metteva tutti quanti di fronte al timore (poi confermato dalle vicende della guerra degli anni 66-70) che i romani ricorressero alla soluzione definitiva e che Israele precipitasse nella più sventurata delle catastrofi. E' questa, e soltanto questa, la corretta chiave interpretativa attraverso la quale noi possiamo capire ciò che gli Atti degli Apostoli ci presentano, molto falsamente e opportunisticamente, come una semplice divisione di competenze fra Paolo e gli Apostoli giudaizzanti: evangelizzatore dei gentili l'uno, evangelizzatori degli ebrei gli altri.

    Altro che divisione di competenze! La verità è che questi ultimi erano legati alla concezione messianica di derivazione maccabea, ovvero al patriottismo nazional-religioso degli esseno-zeloti, ostile per natura al mondo gentile; mentre Paolo aveva già sparso i semi di una filosofia di apertura al pensiero extragiudaico, al punto da rappresentare il suo Gesù Cristo con caratteristiche che appartenevano assai più agli dei incarnati e risuscitanti delle teologie gentili che non alla figura messianica delle profezie giudaiche.
    Ora, noi abbiamo molti motivi per credere che Paolo, nella sua città di origine, Tarso, in Cilicia, abbia avuto contatti molto ravvicinati con le culture religiose ellenistiche ed orientali, anzi, proprio con i culti detti misteriosofici, in cui si celebravano complicati riti iniziatici. Di questi possiamo avere una bellissima descrizione divulgativa, accessibile anche ai non addetti ai lavori, nell'opera di J.G.Frazer, "Il Ramo d'Oro" (Newton Compton, 1992), dalla cui lettura possiamo arrivare a capire che certi elementi teologici della figura di Gesù Cristo devono essere stati mutuati dai culti extragiudaici come quelli di Attis, Adonis, Osiride, Dioniso, Mitra... mi riferisco alla nascita verginale, alla resurrezione dopo tre giorni di discesa agli inferi, all'innesto del concetto teofagico (cibarsi della carne e del sangue del Dio) sui contenuti del rito eucaristico esseno (la fractio panis di cui abbiamo visto nel manuale di disciplina di Qumran).

    Ora, la quasi totalità dei cristiani nega che il Cristo giustiziato da Ponzio Pilato, con l'accusa di avere militato per diventare "re dei Giudei", avesse l'intenzione di diventare realmente "re dei Giudei" e abbia mai avuto a che fare col messianismo nazional-religioso degli esseni e degli zeloti. E supportano questa loro irremovibile convinzione sulla base della tradizionale immagine evangelica di un Gesù che predica amore, pace, perdono, non violenza, che contraddice alcune caratteristiche del pensiero ebraico messianista (Gesù siede a tavola coi gentili, deroga alla regola del sabato...), e considerano la vicenda del processo, della condanna e della esecuzione romana mediante crocifissione (il tipico destino dei latrones e dei sicarii, ovverosia degli zeloti) come un clamoroso equivoco giudiziario, da cui Pilato, vittima dei raggiri dei sacerdoti del tempio, esce praticamente scagionato, e con lui tutti i romani. Un equivoco generato dalle false accuse che i giudei avrebbero prodotto nel presentare Gesù a Ponzio Pilato, al fine di indurre proditoriamente i romani a giustiziarlo.
    Ma il meccanismo non è questo! Il punto falso non risiede in quelle accuse di militanza esseno-zelota, bensì nell'immagine del Cristo apolitico, demessianizzato, addirittura quasi degiudaizzato, che propone nell'imminenza della Pasqua ebraica, ad una assemblea di giudei, cerimoniali di sapore nettamente gentile (l'eucarestia teofagica come rito sacrificale del dio incarnato), una immagine costruita a posteriori dalla scuola di San Paolo. E naturalmente non è legittimo dimostrare che il Cristo era un pacifista, che non era il Messia, che era estraneo ai movimenti esseno-zelotici, utilizzando a questo scopo i documenti che furono costruiti apposta per sostenere l'ideologia antimessianista e per alterare la figura di Cristo.
    Insomma, quando noi leggiamo i Vangeli (i Vangeli del canone ecclesiastico, naturalmente, non la letteratura primitiva del giudeo-cristianesimo che, del resto, è stata opportunamente tolta di mezzo), noi non abbiamo davanti agli occhi l'immagine storica di Gesù Cristo, bensì l'immagine costruita artificialmente dalla revisione paolina come base della catechesi neocristiana. I Vangeli sono il manifesto antimessianista (e quindi anti-Cristo-della-storia) che ci mostra, non le idee di Gesù, ma le idee di Paolo e dei suoi seguaci, ovverosia di colui che è stato fra i nemici più accaniti di Cristo e che non si è affatto convertito ma che, in un secondo tempo, ha convertito l'ideale di Cristo, appartenente al pensiero giudaico più radicale, in una filosofia extragiudaica. Una conversione che è stata ripetuta in modo assai simile, tre secoli dopo, dallo stesso imperatore Costantino, che non si è mai convertito al cristianesimo di Gesù nel modo in cui sostiene una certa interpretazione storica, ma che ha trovato convenienti motivi per convertire ulteriormente la teologia cristiana e renderla sempre più compatibile con le religioni già in voga nell'impero romano (fu lui a volere energicamente il concilio di Nicea e a dare inizio ad un'epoca plurisecolare di caccia all'eresia).
    In pratica, dopo queste molteplici e successive operazioni di ricostruzione teologica realizzate nell'arco di tre secoli, le cose che leggiamo oggi nei Vangeli servono a indicarci ciò che Gesù non era molto più di quanto non possano servire ad indicarci ciò che Gesù era. Anche se questa è un'idea inaccettabile da parte di coloro che sono innamorati dell'immagine neo-cristiana del Gesù figlio di Dio e che non possono tollerare che tale immagine sia ridotta dall'analisi storica ad un prodotto di pura creatività teologica.
    Non possiamo dimenticare le parole scritte dai Padri della Chiesa Ireneo, Eusebio, Teodoreto:

    "...(gli Ebioniti) seguono unicamente il Vangelo che è secondo Matteo e rifiutano l'apostolo Paolo, chiamandolo apostata della legge...". (Ireneo, Adv. Haer., I, 26).

    "...Gli Ebioniti, pertanto, seguendo unicamente il Vangelo che è secondo Matteo, si affidano solo ad esso e non hanno una conoscenza esatta del Signore...". (Ireneo, Adv. Haer., III, 11).

    "...costoro pensavano che fossero da rifiutare tutte le lettere dell'apostolo (Paolo), chiamandolo apostata della legge, e servendosi del solo Vangelo detto secondo gli ebrei, tenevano in poco conto tutti gli altri...". (Eusebio di Cesarea, Hist. Eccl., III, 27).

    "...(I Nazareni) accettano unicamente il Vangelo secondo gli Ebrei e chiamano apostata l'apostolo (Paolo)...". (Teodoreto, Haer. Fabul. Comp. II, 1).

    "...Essi sono Giudei che onorano Cristo come uomo giusto e usano il Vangelo chiamato secondo Pietro...". (Teodoreto, Haer. Fabul. Comp. II, 2).

    Ma questi ebioniti, nazorei (o nazareni) ed ebrei, altri non erano che gli esseno-zeloti o i discendenti degli esseno-zeloti che si erano messi a tavola col Messia e avevano spartito il vino e il pane con lui, poco prima del suo arresto sul monte degli ulivi, e coi quali Paolo si era sempre trovato in conflitto al punto da essere considerato "uomo di menzogna" sia nei suddetti vangeli giudeo-cristiani, sia nei documenti qumraniani come il Commentario di Abacuc [vedi R.Eisenman "James the brother of Jesus"]. Ed è contro di loro che si è scatenata, per secoli, una severa censura storica ed ideologica, finalizzata agli interessi del riformismo neo-cristiano e della istituzione che di esso si era fatta rappresentante.
     
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    Ciao Ayalon , capisco il desiderio di dar voce a tutto cio' che puo' parlare male del cristianesimo, ma questi ti sembrano seri studiosi? Tu condividi le loro analisi? Al tempo di Gesu vi erano solo due tipologie di uomo ebreo? il fanatico-ottuso-fondamentalista e l'ebreo aperto-maturo grazie alla convivenza con altri popoli?



    CITAZIONE (Ayalon @ 13/9/2016, 14:14) 
    E non c'è alcuna possibilità di comprendere storicamente questo individuo e la sua opera se non si parte proprio dall'idea che le sue formulazioni teologiche, sfociate nella nascita di una nuova religione, abbiano origine nel contrasto stridente fra...

    ...da una parte, la ebraicità ottusa, fanatica, fondamentalista e xenofoba (la concezione hassidica, sviluppatasi dal patriottismo politico religioso dei maccabei del II secolo a.C.), che nel I sec. d.C. trovò la sua principale espressione nel messianismo esseno-zelota, e la sua collocazione geografica nell'ambiente palestinese,

    ...dall'altra parte, la ebraicità aperta, maturata attraverso il contatto e la convivenza con i popoli e le culture gentili, disponibile alla reinterpretazione delle scritture in senso molto elastico (una concezione di cui furono tipici rappresentanti uomini come Filone Alessandrino, Giuseppe Flavio, e il primo Shaul, successivamente nominato Paolo), per niente interessata allo sviluppo di una conflittualità estrema fra Israele e Roma, con una collocazione geografica rivolta soprattutto agli ambienti della diaspora.
     
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    CITAZIONE (Maurizio 1 @ 19/9/2016, 17:55) 
    Ciao Ayalon , capisco il desiderio di dar voce a tutto cio' che puo' parlare male del cristianesimo, ma questi ti sembrano seri studiosi? Tu condividi le loro analisi? Al tempo di Gesu vi erano solo due tipologie di uomo ebreo? il fanatico-ottuso-fondamentalista e l'ebreo aperto-maturo grazie alla convivenza con altri popoli?

    Questa osservazione di Donnini non la condivido affatto,
    ma per il resto lo trovo uno studioso interessante.
     
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    Gli approcci ai testi ufficiali cristiani avvengono con diverse metodologie. Questo documento mi sembra sintetizzi dettagliatamente i metodi di approccio e di studio utilizzati dagli studiosi: www.sufueddu.org/fueddus/col...
    E' assolutamente impressionante come questi documenti siano rivoltati e microscopicamente analizzati.
    Ma qual'è il risultato?
    L'ho già presentato in precedenti interventi: può essere sintetizzato dal sommario riportato dal Bertalotto nel suo Il Gesù storico,
    A) Come riformatore sociale:
    Il maestro sapienziale: R. Funk e il Jesus Seminar
    Il filosofo cinico e l’asceta: J. D. Crossan e M. Borg
    Gesù storico e movimento gesuano: B. Mack e M. Pesce
    B) Come predicatore carismatico:
    Lo Hasid: G. Vermes
    Il mago: M. Smith
    Il maestro della Legge: D. Flusser
    C) Come rivoluzionario antiromano:
    Il messia popolare: R. Horsley
    Il re davidico: J. Tabor
    Il presunto messia: P. Fredriksen
    D) Come apocalittico giudaico:
    Il maestro apocalittico: E. Sanders
    Il profeta millenarista: B. Ehrman e D. Allison
    Il giudeo marginale: J. Meier
    E) Come messia enochico:
    Il Figlio dell’uomo: P. Sacchi
    La riscoperta del giudaismo enochico: l’Enoch Seminar

    oppure dall'articolo su Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Ricer...: Prima, Seconda e Terza Quest.

    Dal leggere e dall'analizzare questi documenti mi appare eclatante che la parola "allegoria" non sia mai stata usata.
    Eppure l'allegoria è sempre stato il linguaggio di tutte le religioni: solo nel cristianesimo non è applicabile?
     
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    Credo non ci sia niente di male a rispondere a un copia-incolla con un altro copia incolla.
    Con questo almeno possiamo vedere tutte e due le facce della medaglia.
    Possiamo confrontare lo studio sul cristianesimo fatto da un ateo e quello fatto da un credente.

    Tra Gesù e Paolo - Chi ha fondato il cristianesimo?
    di Eric Noffke
    (apparso su "Protestantesimo" 67/2012)


    Il lettore che oggi voglia informarsi sulle origini del cristianesimo si trova davanti a due tesi radicalmente opposte. Da una parte sta quella tradizionale, per cui Gesù avrebbe edificato la chiesa sulle colonne dei dodici apostoli, il cui principe sarebbe Pietro, e i cui successori, i vescovi, garantiscono la continuità della vera dottrina da allora e per sempre. Dall'altra, invece, a questa idea si contrappone quella per cui Gesù sarebbe stato un predicatore ebreo, il quale mai pensò di fondare una nuova religione. I1 cristianesimo, infatti, sarebbe piuttosto il parto della teo-logia di Paolo, il primo a proclamare l'uguaglianza a Dio del Nazareno. Entrambe le tesi sono faziose e scorrette dal punto di vista storico, pur celando una parte di verità. E vero che Gesù era ebreo e se, in effetti, non sembra aver avuto alcuna intenzione di fondare una nuova religione, diede comunque impulso a un importante movimento profetico che rielaborò a tal punto le sue premesse giudaiche da dar vita a qualcosa di profondamente originale. La stessa cosa vale per Paolo, il quale offri "soltanto" una riflessione su quanto avevano sperimentato i primi discepoli, quando incontrarono il Risorto, e su quali conseguenze questa risurrezione avesse sul piano teologico. Falso e, invece, negare una continuità storica tra i due e, ancora di più, affermare che il secondo ha ! tradito il primo.
    Per affrontare il discorso partirei da un breve e recente scritto di Flores d'Arcais su Gesù non tanto per la sua profondità scientifica (e un semplice libro divulgativo, i cui contenuti, lo vedremo subito, sono decisamente discutibili), ma proprio perché provocatoriamente sostiene la tesi per cui Paolo, di fatto, avrebbe iniziato una predicazione profondamente nuova dando origine al cristianesimo, una religione non solo distinta dal giudaismo, ma anche estranea allo stesso Gesù

    1. Paolo fondatore del cristianesimo, ovvero:
    Gesù non avrebbe condiviso l'evangelo cristiano
    Vorrei cominciare la presentazione di questo volumetto partendo da un'intervista rilasciata dall'autore alla rivista "Left" ›1. Qui la giornalista Ilaria Bonaccorsi, dopo aver sommariamente collocato il breve saggio di Flores d'Arcais nel contesto dell'esegesi cattolica, arriva subito al punto che molto stuzzica la fantasia dei nostri contemporanei: il contrasto tra il Gesù storico e quello del Dogma niceno-costantinopolitano. «Perché, secondo lei, al cristianesimo di Stato non era più sufficiente un semplice profeta? Perché doveva essere della stessa sostanza di Dio padre?», chiede la giornalista. Risposta: «Perché il profeta ebraico che predica la fine del mondo ovviamente non è compatibile con nessuna religione ufficiale […] con un potere che mira a durare». Il discorso è chiaro: il cristianesimo è una religione nata "a tavolino", del tutto aliena alla predicazione di Gesù. In realtà, la comunità vera, quella che ha seguito il suo insegnamento, sarebbe stata quella di Gerusalemme, guidata da Giacomo, suo fratello, fondatore del giudeocristianesimo. Mentre la giornalista, nella sua presentazione del libro che accompagna l'intervista, rincara la dose negando ogni legame tra la chiesa e Gesù, sulla base del fatto che questi era ebreo, nel volumetto di Flores d'Arcais questa tesi viene un po' sfumata, ma la convinzione di fondo rimane sempre la stessa. Qui, infatti, il noto intellettuale si pone da subito in contrapposizione con i libri di Ratzinger sull'argomento ›2, sostenendo fin dall'inizio non solo che Gesù «non era cristiano. Era un ebreo osservante» (p. 11), senza alcuna intenzione di fondare una nuova religione, ma che non si è mai neanche sognato di farsi chiamare Messia. «All'idea di essere considerato addirittura "vero Dio da vero Dio" […] sarebbe stato preso da indicibile orrore» (pp. 11ss.). Egli, invece, era un profeta dell'avvento del Regno «qui e ora». Essendo questo il tenore della sua predicazione, è evidente il trauma che dovettero affrontare i suoi discepoli una volta che la croce ebbe manifestato il fallimento del loro maestro. Per superarlo, molti di essi, presi dal fervore mistico tipico di chi attende l'imminente intervento di Dio, avrebbero avuto visioni del Cristo risorto.
    Diverse pagine sono quindi dedicate a sottolineare l'aspetto mistico della risurrezione di Cristo. «Che non si tratti di apparizioni in senso proprio, ma di una enigmatica sensazione (anche per chi la vive) di una altrettanto indecifrabile "presenza" di Gesù, sono gli stessi testimoni di questi "incontri" a esplicitarlo, poiché escludono un riconoscimento fisico: vedono in effetti un viandante, un giardiniere, un pescatore, e il riconoscimento di Gesù si realizza solo attraverso un sorta di illuminazione retrospettiva» (p. 37). La stessa pluralità di testimonianze rivela lo stato di entusiasmo estatico vissuto dai discepoli in quel momento, un primo segno del fatto che il cristianesimo fin dall'inizio fu un fenomeno al plurale. Un pluralismo padre anche di conflitti, come avvenne ad Antiochia tra Paolo e Pietro, un contrasto che spinse il primo ad abbandonare il giudaismo per aprire la nuova religione ai pagani, approfondendo la spaccatura con il giudeo cristianesimo di Gerusalemme e, di conseguenza, con il giudaismo stesso.
    Passando, dunque, dall'elaborazione di tre lutti (la crocifissione, il mancato ritorno di Gesù, la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70), il cristianesimo si sarebbe sviluppato in maniera talmente caotica da presentarsi, nella seconda metà del II secolo, come «un vero e proprio caleidoscopio, e forse fuoco d'artificio, di fedi diverse» (p. 74). «A quel punto, però, Cristo divinizzato ha già preso il posto di Gesù, malgrado ciò che della sua attività originaria viene veicolato dai vangeli dimostri chiaramente che non si è mai proclamato Messia» (p. 79). Il volumetto si conclude con una rapida disamina dei titoli di Gesù nel Nuovo Testamento e con l'affermazione secondo cui la tradizione ebionita si sarebbe preservata fino alla nascita dell'islam, influenzando l'immagine che quest'ultimo si fece del Nazareno. Anche da questa rapida esposizione è evidente il fatto che il libro è scritto per difendere e divulgare una tesi già formulata in partenza, e non con lo spirito di chi vuol far parlare gli antichi testi ai lettori contemporanei. In primo luogo, lo rivela l'atteggiamento di superficiale arroganza nei confronti di decenni di ricerca sul Gesù storico: anni di studio e di dibattiti vengono semplicemente ignorati (immagino perché bollati di «confessionalismo»), senza concedere credito all'onestà intellettuale di nessuno, se non a coloro che in qualche modo (magari anche forzato) possono avallare la tesi dell'autore. In secondo luogo, le fonti antiche vengono costrette all'interno dello schema prefissato, senza individuare precisi criteri esegetici. La loro forzatura si vede chiaramente, per esempio, nel caso del racconto della confessione di Pietro, che ha un ruolo fondamentale nella tesi di Flores d'Arcais, secondo il quale Gesù reagirebbe violentemente alla confessione messianica del discepolo: il rimprovero «via da me, Satana!» (Mc. 8,33), ne costituirebbe, appunto, un netto rifiuto. Peccato, però, che in questo modo, senza alcuna spiegazione in merito, vengono semplicemente cancellati dal testo originale i tre versetti che separano la confessione dall'esclamazione di Gesù, i quali spiegano come la tentazione da cui egli rifugge è, invece, quella di celare la sua prossima morte, almeno in pubblico. Evidentemente, Flores d'Arcais considera questi versetti un successivo inserimento redazionale; il lettore, però, avrebbe dovuto ricevere una spiegazione in merito. Al contrario! L'impressione è quella che si voglia giocare con la sua buona fede, solo per portare a casa un argomento a proprio favore.
    È anche preoccupante constatare come in questa maniera tendenziosa lavorino praticamente tutti quegli autori, per lo più giornalisti, che cercano di negare una relazione tra Gesù di Nazareth e il Cristo predicato dalla chiesa. L'intento anticlericale o anticristiano è evidente e inficia i risultati del loro lavoro. Con questo, naturalmente, non si vuole sminuire la complessità della relazione tra Gesù e la chiesa delle origini. Il punto però sta proprio qui: se vogliamo cogliere la questione, dobbiamo affrontarla senza ricercare facili risposte, magari prefabbricate.

    2. Quattro approcci accademici al tema
    Rivolgiamoci, adesso, a quattro esegeti di taglio internazionale, per vedere come in ambito accademico viene affrontata la questione della relazione tra Gesù e Paolo; troveremo qui impostazioni anche molto diverse, in grado di illuminare, pur nella sua complessità, questa relazione, dandoci la possibilità di comprendere alcune modalità della nascita del cristianesimo.

    2.1 James D.G. Dunn

    James D.G. Dunn, in un suo recente saggio dal titolo Cambiare prospettiva su Gesù ›3, riassume e chiarisce alcune delle tesi di fondo del suo precedente studio Gli albori del cristianesimo ›4, in particolare in merito alla questione della trasmissione della memoria del profeta galileo, e quindi del passaggio dalla predicazione di Gesù a quella su Gesù, per usare un motto famoso sin dai tempi di Bultmann. La tesi fondamentale di Dunn, tra le varie presentate nel volumetto, è anche la più interessante per la nostra ricerca: «Il fatto storico del cristianesimo non si può spiegare senza il fatto storico di Gesù di Nazareth e dell'impressione che produsse. […] In particolare fece discepoli […] La sua missione cambiò le loro vite. Divennero discepoli, abbandonarono le loro occupazioni, lasciarono le loro famiglie, si votarono a lui, per seguirlo. […] Voglio sottolineare qui che questa risposta fu già un'adesione di fede» (p. 25) L'esegeta inglese insiste molto sul fatto che la fede in Gesù c'era già prima della Pasqua, un evento che, certo, cambiò molte cose; ma, questa è la novità di Dunn, senza dare vita a qualcosa di radicalmente nuovo. La tradizione su Gesù nacque subito, fin dal tempo della sua missione, e fu segnata indelebilmente da questa fede in lui. Dunn insiste fortemente proprio su quel legame negato con decisione da Flores d'Arcais, e lo fa fondandosi sulla constatazione che la tradizione in se stessa, nel fatto stesso di esistere, costituisce la prova che qualcuno credette da subito in Gesù e nella sua missione.
    Una possibile obiezione a questa tesi è che non possiamo definire con certezza se si trattava già di una fede messianica oppure no. La risposta di Dunn è chiara: «Non è necessario spiegare ora in che cosa consistesse questa fede o a che cosa corrispondesse. Il punto è che per definire la loro risposta a Gesù non si possono non usare parole come "fede", "fiducia", "adesione"» (pp. 25 ss.). Personalmente aggiungerei un ulteriore elemento di riflessione: non è così semplice e univoco dire che i discepoli credevano nella messianicità di Gesù. Se noi guardiamo le fonti del tempo, infatti, ci rendiamo conto del fatto che l'attesa degli ebrei era rivolta a un personaggio capace di realizzare la liberazione da parte di Dio del popolo d'Israele. Quali caratteristiche questi dovesse avere era più una questione riservata ai teologi che alla gente comune: di fronte ai miracoli, di fronte alla predicazione profetica e al carisma del personaggio di Gesù, era chiaro che la gente lo seguiva, perché pensava che in lui Dio stava manifestando la sua potenza.
    Come dice Dunn, diversi discepoli possono aver avuto diverse reazioni e aspettative; essi, però, erano uniti dalla certezza che qualcosa di straordinario stava avvenendo in quell'uomo. La stessa cosa, d'altra parte, può aver anche suscitato nel tempo profonde delusioni, magari come avvenne con Giuda o con la folla nel Tempio, invocante la morte di Gesù. Il Nazareno stesso, a sua volta, può aver rifuggito dall'assumere pretese regali o messianiche più specifiche; ma non ha certo pensato di agire per sua propria autorità e potere. Si noti che Giovanni battista stesso non volle dare una definizione precisa di chi sarebbe giunto dopo di lui, rispettando, credo, proprio la vaghezza delle attese popolari ›5. Sebbene, dunque, vi siano ancora degli aspetti da precisare in questa fede prepasquale, mi pare chiaro che la tesi di Dunn costituisca una premessa fondamentale alla questione del rapporto con Paolo, ponendolo in una luce particolare.

    2.2 Giuseppe Barbaglio

    Barbaglio ha dedicato un volume proprio al rapporto tra Gesù e Paolo, forse al momento il migliore disponibile in italiano ›6. Questi inizia il suo saggio con una storia della ricerca sull'argomento, evidenziando come nel corso dei decenni siano state proposte praticamente tutte le opzioni possibili: da una prima fase (1831-1929: Gesù o Paolo), in cui l'insegnamento di Gesù (un po' come oggi) veniva messo i contrapposizione a quello dell'apostolo, si è passati gradualmente ad affermare (1920-1960: Gesù e Paolo) che quest'ultimo si pone in stretta continuità con il Nazareno, per arrivare agli ultimi anni in cui si è cercato di capire meglio gli elementi di continuità e di discontinuità delle due predicazioni. A questo punto Barbaglio sottolinea un aspetto della questione estremamente interessante. Dire di voler confrontare Gesù e Paolo, infatti, non è sufficiente: quale ricostruzione di Gesù contrapponiamo a quale ricostruzione di Paolo? La ricerca su entrambi i personaggi ci ha insegnato a prendere sul serio le difficoltà e il livello di incertezza incontrati nello studio della loro vita e opera, obbligandoci a considerare il numero delle variabili di cui tenere conto. Partendo da qui, lo studioso sceglie di lavorare sull'ipotesi di un Paolo cresciuto nella chiesa di estrazione giudaico ellenistica, e di un Gesù profeta del Regno, taumaturgo e predicatore carismatico, procedendo, dunque, con un'analisi comparata dei due personaggi, evidenziando analogie e differenze nei rispettivi annunci (ne risulta un lavoro ampio e molto interessante, a cui qui possiamo solo accennare). Il quadro proposto è quello di due persone vicine nel tempo, ma molto diverse per estrazione, cultura e ambiente in cui operano; due storie di convertiti, accomunati in particolare dall'idea che il presente è un tempo di grazia in cui Satana è già sconfitto (a differenza degli altri apocalittici, per i quali la salvezza rimane un evento futuro).
    Rimane in Barbaglio la convinzione che Gesù non si sia attribuito una funzione messianica. Sarebbero autentici solo quei passi in cui l'attributo «Figlio dell'uomo» indica, in realtà, semplicemente la situazione precaria di Gesù in quanto essere umano; solo con la comunità post-pasquale esso diverrà titolo messianico ›7. Più che un Messia, il Nazareno si vide come un profeta, posto al vertice della storia. Tra Paolo e Gesù, senza negare le differenze, rimane comunque una continuità di pensiero su alcuni temi fondamentali: l'amore come fulcro del rapporto con Dio; l'immagine di un Dio accogliente, il quale include nel suo Regno anche il peccatore; l'idea escatologica, con la variante, rispetto al giudaismo contemporaneo, del presente inteso come tempo di grazia.

    2.3 Gerd Theissen

    Se Barbaglio si concentra sui contenuti della predicazione di Gesù e di Paolo, l'opera di Theissen ›8 intende mostrare come, a cominciare dal Nazareno fino ad arrivare agli apostoli e ai loro discepoli, la nuova fede in Gesù sia andata gradualmente costruendosi come una religione completamente nuova rispetto al giudaismo. Per religione Theissen intende «un sistema di segni culturali che promette incremento di vita grazie alla corrispondenza ad una realtà trascendente» (p. 15). Questi segni si verranno definendo in maniera del tutto nuova nel corso dei primi cento anni della storia del cristianesimo, fino a renderlo una religione autonoma, con propri miti, riti ed ethos. Saranno proprio gli assiomi stessi del giudaismo (per Theissen questi sono il nomismo del patto ›9 e il monoteismo ›10), a venire interpretati in maniera del tutto nuova nel cristianesimo. Il suo mito fondante, infatti, fu definito partendo dalla figura storica di Gesù, il quale a sua volta aveva radicalizzato vari aspetti della fede ebraica, soprattutto l'attesa del Regno di Dio, predicato come una realtà in lui presente e operante; le premesse della mitizzazione di Gesù sono, dunque, in qualche modo già presenti nella sua opera. Fu proprio l'atto di collocare il risorto al centro del proprio universo religioso di segni a porre la prima pietra della separazione dal giudaismo; la divinizzazione di Gesù fu l'esito naturale della crisi prodotta dalla sua morte, allo stesso modo in cui nel giudaismo più antico l'affermazione dell'unicità di Dio era nata dall'esperienza della distruzione di Gerusalemme e dell'esilio a Babilonia.
    Questo mito originario modella l'ethos radicale cristiano, fondato sull'amore e sulla umiliazione di se stessi, un ethos che, mentre da un lato radicalizza le esigenze etiche di Dio, dall'altra allo stesso tempo ne sottolinea la misericordia. Pure il nuovo sistema di riti viene riformulato a partire dal mito fondante: «il nuovo linguaggio di segni rituale del cristianesimo delle origini nacque da atti profetici simbolici con cui Giovanni il Battista e Gesù organizzarono (in opposizione latente con i riti tradizionali) il loro messaggio escatologico» (p. 167). Questi atti furono radicalizzati e in essi venne reso attuale, alla luce della risurrezione di Cristo, quello che era un riferimento al giudizio escatologico. Proprio per aver dato vita al racconto storico-mitico di Gesù, fondamento della nuova religione, gli evangelisti, in particolare Giovanni, con la sua chiara affermazione della piena divinità di Gesù, giocarono un ruolo fondamentale nel processo di separazione delle due fedi. Il cristianesimo delle origini, dunque, creò un nuovo sistema di segni internazionale, quasi "esplosivo" nella sua capacità di diffondersi, che maturò misurando le proprie forze attraverso tre crisi fondamentali: quella giudaica, che segnò la definitiva autonomia della nuova religione; quella gnostica, che stimolò la volontà di mantenere il mito legato alla storia, e infine quella profetica (dovuta principalmente al montanismo), che segnò il rifiuto di un'etica radicale e settaria. La prima crisi nasce dalla volontà di alcuni di mantenere, anche per ragioni politiche, il legame con il giudaismo: si trattò di scegliere tra la Torah e Cristo come centro della fede ›11. Se, dunque, il cristianesimo si era emancipato dal giudaismo, si pose il problema se dovesse diventare una religione ellenistica. Di qui la seconda crisi, quella gnostica. Il cristianesimo preferì ancora una volta l'autonomia, sottolineando la fede nel creatore. Nella terza crisi, quella profetica, fu posto il problema del radicalismo etico, e si scelse di resistere alla via del settarismo. Questi tre momenti decisivi vengono riassunti, per Theissen, nella sfida lanciata da Marcione, alla quale la chiesa rispose formulando il suo canone delle sacre Scritture ed emancipandosi, così, definitivamente dal giudaismo.
    Si noti, ancora, il fatto che per lo storico tedesco le crisi non furono risolte allo stesso modo in ogni luogo: alcuni gruppi di cristiani si persero per strada. La maggior parte, però, delle correnti che formavano il cristianesimo delle origini trovò la sua sintesi teologica e identitaria nel canone, il quale permise anche di definire quali dottrine fossero "eretiche", pur nell'accoglienza del pluralismo originario. La cattedrale semiotica, ora definitivamente costruita, sarà la base della successiva evoluzione del cristianesimo. È interessante la conclusione del saggio, per cui «la genesi del cristianesimo delle origini è la storia del fallimento di un tentativo di universalizzazione dell'ebraismo. La forza creativa del cristianesimo delle origini si mostrò nella sua capacità di mutare questo fallimento nella creazione di una religione indipendente» (p. 215). In tutto questo, Paolo è solo uno di coloro i quali contribuirono alla definizione di questa nuova cattedrale semiotica. Non certo, però, nello spirito di creare una nuova religione, ma con la determinazione di comprendere e spiegare ai loro contemporanei, sulla base della loro fede giudaica e alla luce della loro Bibbia, l'azione di Dio in Gesù Cristo.

    2.4 N.T. Wright

    Come quarto esempio di approccio al rapporto tra Gesù e Paolo vorrei portare l'opera di N.T. Wright, il quale ha pubblicato numerosi studi di carattere divulgativo su entrambi i personaggi che stiamo studiando ›12. Con un tono forse un po' presuntuoso, Wright mette subito le cose in chiaro: «La questione della relazione tra Gesù e Paolo è stata generalmente posta nei termini sbagliati. […] una volta inserito nel giusto contesto, il problema percepito scompare e riemerge come potente indicatore della vera natura del cristianesimo delle origini» ›13. In che termini dobbiamo porre la questione, allora? Non si tratta di confrontare due pensatori, come nel caso, ad esempio, di Socrate e di Platone, come sovente si fa (si veda il caso di Barbaglio, appena esaminato), per trovare una continuità o discontinuità di pensiero, come se entrambi pensassero di fare la stessa cosa, cioè elaborare una teologia.
    La relazione tra Gesù e Paolo è, piuttosto, simile a quella che c'è tra «un compositore e un direttore d'orchestra, o tra un ricercatore medico e un medico, o tra un architetto e un imprenditore edile» ›14. Uno scrive la partitura, l'altro la suona. Se un direttore ammira il compositore, non ne cambia la musica, ma la esegue fedelmente. Paolo si comprende nei termini di un esecutore della partitura scritta dal Nazareno. Se, infatti, collochiamo entrambi i personaggi nel contesto del giudaismo del suo tempo e delle sue aspettative, si capisce chiaramente come essi si sentano parte all'interno del progetto di Dio per il mantenimento delle sue promesse. «Gesù credeva di portare la lunga storia di YHWH e di Israele al sua grande climax, al suo epilogo, che era il punto focale della lunga storia del creatore e del mondo. […] Anche Paolo pensava di avere un ruolo particolare […] quello di eseguire il compito successivo in un programma implicitamente apocalittico, cioè chiamare le nazioni, con insistenza, a sottomettersi con lealtà a colui che era stato innalzato Signore del mondo»›15.
    Wright passa poi a considerare alcuni elementi teologici in cui è stata ravvisata una discontinuità tra Gesù e Paolo. Per quel che riguarda la quasi assenza del concetto di regno di Dio nella predicazione dell'apostolo, l'esegeta inglese la spiega con la differenza di contesto in cui i due operavano. Il messaggio di Paolo era ancora pienamente ebraico, ma diretto ai cittadini delle poleis ellenistiche, i quali non avrebbero accettato il linguaggio parabolico di Gesù. Si può fare un discorso simile in relazione alla questione dell'assenza del concetto di giustificazione nella predicazione del Nazareno: a Paolo questo concetto serve, in vista dell'accoglienza dei pagani, a distinguere tra chi è parte della chiesa e chi non lo è. Lo stesso discorso vale per la tematica della circoncisione/incirconcisione, inesistente in Gesù, proprio perché l'ingresso dei gentili nel popolo di Dio non fa parte della sua predicazione. Anche sulla questione etica, Wright nota che la ragione per cui Paolo non usa le parole di Gesù, per insegnare alle sue chiese la vita cristiana, sta nel fatto che l'apostolo non voleva trasmettere l'insegnamento di un maestro, bensì insegnare ai nuovi cristiani quali fossero le ragioni per cui ci si comporta in un certo modo ›16.
    Per riassumere il discorso di Wright usiamo le sue stesse parole: «Essi non volevano fare la stessa cosa, non perché fossero in disaccordo, ma perché erano uniti dalla stessa visione fondamentale, che generò in loro vocazioni molto diverse» ›17. Un dato di fatto che, però, a mio parere non nega il valore di un confronto tra le due teologie, ma lo arricchisce dandogli una maggiore profondità.

    3. Due possibili sviluppi della riflessione
    Mi pare che le tesi di questi studiosi, con cui ho voluto esemplificare un dibattito in realtà molto ampio, ci portino a individuare due distinte linee di riflessione: da una parte abbiamo il confronto tra le due predicazioni, dall'altra la questione dell'autocoscienza di Gesù e della sua comprensione da parte dei suoi ascoltatori, dalle quali deriva la legittimità della predicazione cristologica di Paolo. Questo secondo filone di ricerca mi pare aver ricevuto oggi un nuovo impulso nell'opera di Dunn, il quale, come abbiamo visto, ci ricorda come il discorso della fede in Gesù inizi già al tempo della sua predicazione. È partendo da qui che vorrei sviluppare alcuni pensieri.
    3.1 Gesù, Paolo e il mondo di Enoc
    La prima pista di approfondimento, finora poco battuta ma, credo, molto promettente, sta nel fatto che sia Gesù sia Paolo sono entrambi debitori nei confronti della teologia essenica ›18, anche se non è facile comprendere le modalità di questo rapporto. Con questo, non voglio offrire una sponda a quelle tesi che, ad esempio, vedono Gesù formarsi negli anni giovanili presso il "monastero" di Qumran. Né di Gesù né del suo maestro Giovanni il battezzatore, né tantomeno dell'apostolo Paolo si può provare un collegamento diretto con gli asceti del Mar Morto; al contrario, a cominciare proprio dal concetto di purità, molte e profonde sono le differenze. Eppure, tutti e tre questi personaggi condividono l'atmosfera spirituale che ritroviamo in opere come Enoc etiopico oppure i Testamenti dei Dodici Patriarchi, espressione della teologia dell'essenismo non qumranico ›19. Vediamone sommariamente i principali aspetti comuni.
    Il primo sta nella convinzione per cui il mondo fosse corrotto e bisognoso di un intervento salvifico da parte di Dio. Giovanni battista lo esprime nella forma di un imminente giudizio, Gesù e Paolo nei termini di una grazia divina già presente; la premessa, però, è la stessa: il mondo dev'essere redento da un intervento finale di Dio, perché nel mondo attuale la giustizia di Dio non è pienamente realizzabile e molti, troppi, sono quelli che scelgono la via del male, che sembra avere un potere invincibile ›20. Neppure la legge di Mosè è sufficiente per affrontare e vincere il peccato. Il secondo elemento in comune con il libro di Enoc etiopico lo troviamo nel riferimento alla figura del "Figlio dell'Uomo", presente non solo nella predicazione di Gesù, ma anche, implicitamente, in Fil. 2. Da quando la datazione del Libro delle Parabole (che coincide con i capitoli da 37 a 71 di Enoc etiopico) è stata collocata intorno al 40 a.C. è apparso chiaro che Gesù utilizzava un titolo messianico molto particolare e legato solo all'essenismo, almeno per quel che le fonti ci permettono di ricostruire. In queste visioni la figura del Figlio dell'Uomo compare diverse volte come un essere celeste creato da Dio prima di ogni cosa e messo da parte in attesa degli eventi finali:
    E colà vidi uno che aveva «Capo dei Giorni», la cui testa era bianca come lana e, con Lui, un altro la cui faccia (aveva) sembianza umana ed era Piena di grazia, come uno di fra gli angeli santi. E chiesi ad uno degli angeli che andava meco e che mi mostrava tutte le cose ascose, a proposito di quel Figlio dell'Uomo: «Chi è, da dove viene e perché va col «Capo dei Giorni»? E mi rispose e mi disse: «Costui è il Figlio dell'Uomo, per il quale fu fatta la giustizia e col quale è stata fatta la giustizia; Egli paleserà tutti i luoghi di deposito dei misteri — poiché il Signore degli spiriti lo ha prescelto e la cui sorte ha vinto tutti, al cospetto del Signore degli spiriti, in giustizia, in eterno. E questo Figlio dell'Uomo, che tu hai visto, toglierà i re e i potenti dalle loro sedi ed i forti dai loro troni, scioglierà i freni dei forti e spezzerà i denti dei peccatori. Ed Egli rovescerà i re dai loro troni e dai loro regni poiché non lo esaltano, non lo lodano e non (Gli) si umiliano. Da dove stato dato loro il regno? Ed Egli piegherà la faccia dei potenti, li riempirà la vergogna e la tenebra sarà la loro sede e i vermi il loro letto e non avranno speranza di sollevarsi dal loro letto perché non esaltano il nome del Signore degli spiriti (1H 46).
    E, in quel tempo, vidi la fonte della giustizia, incalcolabile, con intorno molte fonti di sapienza e tutti, assetati, bevevano da esse, si riempivano di Sapienza e la loro sede era coi giusti, coi santi e con gli eletti. E, in quell'ora, questo Figlio dell'Uomo fu nominato presso il Signore degli spiriti e il Suo nome (era) al cospetto del «Capo dei Giorni», prima che fosse creato il sole e gli astri, prima che fossero fatte le stelle del cielo; [e] il suo nome fu chiamato innanzi al Signore degli spiriti. Egli sarà il bastone dei santi e dei giusti affinché si appoggino ad esso e non cadano, e sarà luce dei popoli e speranza per coloro che soffrono nel loro animo. Tutti quelli che vivono sulla terra cadranno e si prostreranno innanzi a Lui e salmodieranno per Lui al nome del Signore degli spiriti. E, perciò, Egli fu scelto e nascosto, innanzi a Lui, da prima che fosse creato il mondo, e per l'eternità, innanzi a Lui. E la sapienza dei Signore degli spiriti lo rivelò ai santi ed ai giusti perché aveva protetto la parte dei giusti, e costoro avevano odiato e disprezzato questo mondo di iniquità e ne avevano odiato tutte le azioni ed i comportamenti, nel nome del Signore degli spiriti, e si salvavano nel nome di Lui ed (Egli) era stato il vindice della loro vita. (1H 48) ›21.
    Soprattutto la seconda citazione ci mostra da dove, probabilmente, Paolo colse l'idea alla base dell'inno cristologico di Fil. 2,5-11, che ne costituisce un adattamento alla vicenda di Gesù, morto e risorto: «Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma spogliò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre» (Fil. 2,5-11).
    Come terzo elemento potremmo indicare il contesto sociologico del «perseguitato» e del «povero»: se è vero che questi temi sono biblici, è anche vero che nella tradizione enochica essi segnano in maniera particolare l'autocoscienza di chi l'ha prodotta e trasmessa. Pensiamo alle beatitudini di Gesù, nella loro forma lucana, le quali trovano il più evidente parallelo letterario in questo passo dell'Epistola di Enoc (1H 91-108): «XCV […] Non temete, o giusti, i peccatori, poiché Iddio poi li porrà nelle vostre mani affinché voi facciate, contro di loro, il giudizio come avrete voluto. Guai a voi che fate anatemi tali che (poi) non li scioglierete e la guarigione (sarà) lontana da voi a causa dei vostri peccati. Guai a voi che rendete il male al vostro compagno, poiché sarete ripagati secondo le vostre azioni. Guai a voi, testimoni di falsità e (guai) a quelli che soppesano la malvagità, poiché subito sarete distrutti. Guai a voi, o peccatori, perché voi perseguiterete i giusti (e) perché sarete consegnati e perseguitati, (voi) quelli della ingiustizia, e il loro giogo sarà saldo su di voi!»; «XCVI. Sperate, o giusti, perché subito i peccatori saranno distrutti davanti a Voi e voi avrete potere su di loro, come vorrete. E nel giorno della afflizione dei peccatori, si solleveranno e si alzeranno, come aquile, i vostri figli e più alto (di quello) dell'avvoltoio sarà il vostro nido e voi salirete ed entrerete nelle caverne della terra e nelle fenditure della roccia, per sempre, come scoiattolo davanti ai malvagi e (i vostri figli) gemeranno per voi e piangeranno come demoni agresti. E, quanto a voi, non temete, voi che siete ammalati, poiché vi sarà per voi il medicamento e la luce luminosa vi illuminerà ed ascolterete dal cielo la parola di quiete. Guai a voi, peccatori, perché la vostra ricchezza vi fa sembrare giusti ma il vostro cuore vi redarguirà (secondo) come siete peccatori e questa parola sarà, contro di voi, testimonianza a ricordo delle cattiverie. Guai a voi che mangiate il grasso del frumento e bevete la forza dell'origine della fonte e calpestate gli umili con la vostra forza. Guai a voi che bevete l'acqua in ogni tempo poiché subito dopo sarete ripagati e sarete condotti alla fine e diventerete aridi poiché avete abbandonato la fonte della vita. Guai a voi che fate ingiustizia, frode e maledizione: ciò sarà, contro di voi, ricordo di cattiveria. Guai a voi, o forti, che con la forza opprimete il giusto, perché verrà il giorno della vostra distruzione. In quei giorni, nel giorno della vostra condanna, per i giusti verranno molti giorni buoni».
    È possibile che i discorsi sulla persecuzioni non si fondino solo su esperienze della chiesa primitiva, ma che abbiano un loro retroterra, una loro ispirazione nell'autocoscienza della comunità perseguitata, come si era sviluppata nel contesto essenico. Nella stessa direzione va la condanna dei ricchi e dei potenti arroganti e violenti, che ritroviamo nella predicazione di Gesù, anche se con toni in genere stemperati rispetto a quelli che abbiamo letto nelle citazioni appena riportate ›22. Pure Paolo rivela lo stesso genere di autocoscienza, ad esempio quando esclama: «Infatti, fratelli, guardate la vostra vocazione; non ci sono tra di voi molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti nobili; ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i sapienti; Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti; Dio ha scelto le cose ignobili del mondo e le cose disprezzate, anzi le cose che non sono, per ridurre al niente le cose che sono, perché nessuno si vanti di fronte a Dio (1Cor. 1,26-29)». Per quel che riguarda l'apostolo di Tarso, infine, dobbiamo rilevare come due idee fondamentali della sua teologia trovano un parallelo possibile in due testi rinvenuti a Qumran: la giustificazione per grazia e l'idea di appartenenza alla comunità, intesa come corpo di Cristo, dove il credente vive già ora una sorta di mistica comunione con Dio. Il primo concetto è espresso chiaramente nella Regola della Comunità, il secondo si ritrova praticamente uguale nell'autocomprensione comunitaria della setta del Mar Morto (in particolare si vedano i Canti per l'olocausto del sabato) ›23. Questi, naturalmente, sono solo spunti da approfondire; nel loro insieme, però, ci danno l'idea di come Gesù e Paolo abbiano condiviso la stessa visione teologica del mondo, anche se per il secondo, sulla scia di quanto abbiamo visto affermare da N.T. Wright, si trattò anche di leggere la figura Gesù, la sua morte e la sua risurrezione all'interno di questo quadro e di trovare qui il loro significato, quasi a completamento delle promesse contenute nell'Antico Testamento (che da solo non sarebbe sufficiente a comprendere la cristologia paolina) ›24.

    3.2 Gesù, Paolo e il progetto politico di Dio

    Un altro elemento di continuità non solo nella predicazione, ma anche nell'autocoscienza di Gesù e Paolo, sta nella loro visione politica. La nuova ricerca degli ultimi quindici anni ha riportato l'attenzione degli studiosi su questa dimensione dell'evangelo cristiano e pure qui troviamo una interessante continuità tra loro. Lo vediamo chiaramente nella coscienza di predicare la presa di possesso da parte di Dio del suo popolo e del mondo: credo sia un dato ormai acquisito che la predicazione del Regno avesse una sua dimensione politica, perché Gesù viene a guarire una creazione oppressa dalle forze del male, con un nome e cognome ben precisi: i romani, gli erodi e il sommo sacerdozio, i quali hanno dissanguato il popolo, lasciandolo nella miseria. Il «guai ai ricchi» delle beatitudini lucane è una ben precisa denuncia, e la predicazione dell'amore e della condivisione si contrappone all'accaparramento egoista dei potenti del tempo: il Regno che viene delegittima inevitabilmente i falsi re della terra. Anche Paolo non si fa scrupolo di dire ai corinzi che i poteri empi di questo mondo, che hanno crocifisso Gesù, saranno annientati (1Cor. 2,6-8).
    Ciò nonostante, la predicazione cristiana delle origini è molto chiara sul fatto che a portare il Regno sarà Dio stesso e non l'impegno dei discepoli del Nazareno. L'opzione zelota è chiaramente rifiutata sia da Gesù (il famoso episodio del «rendete a Cesare quel che è di Cesare», Mc. 12,13-17 e parr.) sia da Paolo (Rom. 13,1-7); senza che questo renda meno antagonista la loro opposizione al potere politico, visto come tentazione demoniaca (non dimentichiamoci le tentazioni di Gesù! Lc. 4,1-13). Altrove ho difeso la tesi per cui questa apparente contraddizione tra rifiuto dell'autorità e quietismo fu possibile alla prima generazione, finché l'avvento del Regno era percepito come imminente. Quando ci si rese conto che il tempo della chiesa sarebbe stato ben più lungo del previsto, l'atteggiamento verso le autorità di questo mondo dovette, inevitabilmente, mutare ›25. Per dirla in altri termini, il progetto politico di Dio, rivelato in Gesù, si manifesta come vero al momento della risurrezione, come fosse un sigillo divino alle parole "rivoluzionarie" del Nazareno. Il Paolo precristiano perseguita i cristiani per la valenza politica del loro messaggio e non soltanto perché avevano iniziato ad aprire la maglie della Legge per farvi passare i pagani; sarà convertito al loro progetto (anche politico) nel momento in cui riceverà la sua vocazione da Dio.
    Vediamo tornare la questione politica proprio nell'autocoscienza sia di Gesù sia di Paolo: come ben sottolinea Wright, entrambi hanno ben chiaro di avere un ruolo importante nella testimonianza della signoria di Dio su Israele e sul mondo. La differenza è che il primo l'annuncia nelle proprie opere potenti e nel proprio messaggio, mentre il secondo la vede escatologicamente realizzata nella risurrezione del crocifisso. In questo discorso mi pare stringente la conclusione di Dunn: qualunque fosse l'autocomprensione di Gesù, egli era convinto di avere un ruolo di punta nel progetto di restaurazione della signoria di Dio. Era quasi inevitabile che i primi cristiani, di fronte all'esperienza della risurrezione, identificassero Gesù con il Messia atteso, e principalmente con il Figlio dell'Uomo, di cui Gesù aveva parlato e della cui figura il libro di Enoc etiopico rendeva testimonianza.


    Conclusioni
    A questo punto non resta che tirare le fila di quanto affermato sopra. Per tornare alla domanda iniziale, è chiaro che né Gesù né alcuno dei suoi numerosi apostoli può essere visto come il fondatore del cristianesimo. Questo nasce da un lungo processo di riflessione teologica sul significato da dare al fatto della croce e alla risurrezione, una riflessione fatta con gli strumenti offerti dalla teologia giudaica dell'epoca, i quali permisero loro di interpretare la novità dell'azione di Dio in Cristo. Abbiamo visto che tra Gesù e Paolo, in particolare, ci sono numerosi elementi di continuità non solo nella teologia e nella predicazione, tanto da poter affermare tranquillamente che Paolo fu un discepolo di Gesù, anche se con una spiccata originalità. Credo che la chiave di lettura proposta da Wright ci aiuti bene anche a comprendere il passaggio dal Gesù storico al Cristo della prima predicazione cristiana. Gesù fu maestro, ma fu anche riconosciuto come il Messia atteso, nonostante che la sua predicazione e la sua morte in croce dovessero essere spiegate sovente contro la tradizione messianica mediogiudaica. Paolo, dunque, lungi dal tradire il Gesù profeta del Regno, fu di lui un discepolo fedele e un predicatore instancabile di quanto Dio aveva operato per suo tramite.
     
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    CITAZIONE (Ayalon @ 13/9/2016, 13:14) 
    Perché San Paolo ha inventato il cristianesimo?
    D.Donnini
    Certamente non possiamo esonerarci dal considerare in modo attento questa domanda senza rischiare, altrimenti, di avere elaborato una interpretazione ricca di indizi a suo favore ma, ahimé, mancante dell'elemento più importante.
    Infatti dobbiamo individuare il motivo fondamentale per cui sarebbe stata operata la revisione del messianismo tradizionale degli ebrei e la sua trasformazione in una teologia destinata a staccarsi dalla matrice giudaica o, addirittura, a porsi in conflitto con essa per i secoli successivi.

    Come abbiamo già detto, la figura su cui ricade il massimo della responsabilità di questo processo è quella che la tradizione cristiana riconosce nella persona di San Paolo.
    Chi era San Paolo? E perché avrebbe inventato il cristianesimo?
    E' straordinario constatare il modo in cui la letteratura cristiana lascia questo personaggio in una condizione di quasi anonimato, sfocandone al massimo il profilo biografico e l'identità anagrafica. Non sappiamo quando sia nato, chi fosse la sua famiglia, in che periodo sia venuto a Gerusalemme per compiere gli studi e, quel ch'è più clamoroso, lo scritto del Nuovo Testamento che si occupa di lui (Atti degli Apostoli) lo abbandona completamente a metà di un percorso narrativo, senza dirci niente sul suo destino.
    Le sue lettere, che oggi appartengono al corpus del canone neotestamentario, hanno l'aria di essere dei documenti ricchi di contraffazioni, se non, qualche volta, per niente autentici.
    Alcuni autori giungono persino a mettere in dubbio il fatto che questo personaggio fosse un autentico ebreo, come egli proclama negli scritti del Nuovo Testamento che gli sono attribuiti. Personalmente non mi sento di sostenere questa tesi estrema, ma posso associarmi ad alcune constatazioni che sembrano dare un profilo elastico alla ebraicità di San Paolo.
    A.N.Wilson, in "Paolo l'uomo che inventò il cristianesimo" (Rizzoli, 1997), sostiene, in modo abbastanza verosimile, che Paolo fosse un personaggio molto legato e compromesso col mondo romano, soprattutto per il fatto che la sua professione sarebbe stata quella di produrre tessuti per tendaggi usati dalle legioni militari imperiali. E' certo che i suoi famosi viaggi non sono stati effettuati al fine primario di compiere un'opera missionaria ma che, piuttosto, egli ha approfittato della circostanza professionale dei suoi continui spostamenti commerciali per svolgere anche un proselitismo politico-religioso (non ci si meravigli di questa associazione fra politica e religione: nel mondo semitico degli ebrei la politica e la religione sono legate indissolubilmente da una concezione di vita prettamente teocratica).
    Ciò che caratterizza l'identità culturale di Paolo è una ebraicità molto aperta, una estrema abitudine, per ragioni di ambiente di nascita e di esperienze di vita, al contatto con le culture gentili, ovverosia pagane. E non c'è alcuna possibilità di comprendere storicamente questo individuo e la sua opera se non si parte proprio dall'idea che le sue formulazioni teologiche, sfociate nella nascita di una nuova religione, abbiano origine nel contrasto stridente fra...

    ...da una parte, la ebraicità ottusa, fanatica, fondamentalista e xenofoba (la concezione hassidica, sviluppatasi dal patriottismo politico religioso dei maccabei del II secolo a.C.), che nel I sec. d.C. trovò la sua principale espressione nel messianismo esseno-zelota, e la sua collocazione geografica nell'ambiente palestinese,

    ...dall'altra parte, la ebraicità aperta, maturata attraverso il contatto e la convivenza con i popoli e le culture gentili, disponibile alla reinterpretazione delle scritture in senso molto elastico (una concezione di cui furono tipici rappresentanti uomini come Filone Alessandrino, Giuseppe Flavio, e il primo Shaul, successivamente nominato Paolo), per niente interessata allo sviluppo di una conflittualità estrema fra Israele e Roma, con una collocazione geografica rivolta soprattutto agli ambienti della diaspora.

    Sono le tensioni fra questi due modi di essere ebrei, e le drammatiche vicende politiche e militari della nazione ebraica sotto il dominio imperiale, sempre in altalena fra le azioni dei patrioti Yahwisti e le repressioni romane, che fornirono i presupposti del processo attraverso il quale si sviluppò per gradi...

    1 - ...prima, una coscienza contraria al messianismo radicale degli esseno-zeloti,

    2 - ...poi una corrente politica altrettanto radicale, ma in senso anti-messianista, espressione delle classi dominanti di Israele (sadducei e farisei di destra),

    3 - ...quindi una tendenza a rileggere le profezie messianiche con significati contrari a quelli esseno-zelotici, e aperta ai contributi teologici delle spiritualità gentili,

    4 - ...infine una corrente militante, di cui il San Paolo del dopo Damasco fu il fondatore e il promotore indefesso, che, pur di contrastare il messianismo hassidico e i suoi estremi pericoli per la sicurezza della nazione ebraica, era disposta a crearne un altro, aperto alle teologie escatologiche straniere (vedi il Soter greco, il Saoshyant persiano, il Krishna e il Buddha indiani...), sopportando il rischio (o forse andandogli volutamente incontro) che ciò innescasse una sorta di mitosi teologica il cui prodotto, alla fine, fosse la nascita di una nuova religione e la sua scissione dal giudaismo.

    In un primo tempo San Paolo sarebbe stato senz'altro un esponente della corrente di cui al punto 2. E' facile che egli, in quanto benestante, colto, professionista con molte occasioni di viaggio e con molti contatti in ambienti sia ebraici che greco-romani, sia stato coinvolto nella politica di repressione delle "brigate messianiste" e che abbia collaborato come informatore o anche in modo più consistente.
    Non si dimentichi che i cristiani, al centro della attenzione repressiva, in questa fase del processo di evoluzione del cristianesimo, non erano ancora ciò che intendiamo oggi con quel termine, bensì erano i giudei messianisti, ovverosia i membri delle sette che aspiravano alla rinascita del regno di Yahwè e all'interno delle quali si individuavano le figure degli aspiranti messia, capi religiosi con la spada in mano.
    Siamo noi che commettiamo il gravissimo errore di interpretare il movimento dei seguaci diretti di Cristo come se questi avessero già incorporato la filosofia espressa nel Nuovo Testamento, che rende spoliticizzato, degiudaizzato e pacifista il messaggio evangelico, prima ancora che Paolo lo avesse formulato.


    San Paolo
    In realtà, gli stessi Atti degli Apostoli, sebbene siano stati redatti col preciso scopo di far apparire la concezione neomessianica di Paolo come se fosse appartenuta a Gesù Cristo, proponendo in modo del tutto artificiale la continuità e la conformità là dove invece sussistono discontinuità e contrapposizione, finiscono per mostrare loro malgrado, con innegabile chiarezza, l'esistenza di un grave conflitto fra una corrente giudaizzante (identificata nelle persone come Simone e Giacomo, i fratelli di Gesù) e una corrente riformista con aperture ellenistiche (identificata nelle persone come Paolo e i suoi seguaci).
    In un secondo tempo San Paolo avrebbe maturato un atteggiamento diverso, probabilmente rendendosi conto che la strada della semplice repressione politica, consistente nell'arresto e nella eliminazione fisica degli esponenti messianisti, non avrebbe funzionato molto, tanto più che le ideologie radicali del tipo esseno-zelotico non si fermavano davanti al martirio (abbiamo visto il comportamento dei cittadini di Gamla e degli assediati di Masada) ma, al contrario, ne traevano nuovo orgoglio e nuova energia combattiva. In pratica Paolo comprese che l'ideologia messianista tradizionale avrebbe potuto trovare un antagonista valido solo in un'altra ideologia, e che l'argine per ostacolare l'espansione del messianismo radicale nei diversi strati della popolazione ebraica, e per allontanare i suoi gravi pericoli, avrebbe potuto essere offerto solo da un altro messianismo, non così bellicoso, non così ispirato al nazionalismo yahwista, non così frontalmente ostile ai romani, ma comunque rispondente ad istanze che avessero una risonanza reale nella gente e in larghi strati di popolo.
    Insomma, invece di seguire la via degli arresti e delle esecuzioni, Paolo preferì offrire un'alternativa all'idea della salvezza nazional-religiosa (questa fu la sostanza reale della sua conversione) e si adoperò per creare un messianismo più convincente di quello che, pur solleticando l'orgoglio etnico, che è il tratto distintivo di ogni ebreo, metteva tutti quanti di fronte al timore (poi confermato dalle vicende della guerra degli anni 66-70) che i romani ricorressero alla soluzione definitiva e che Israele precipitasse nella più sventurata delle catastrofi. E' questa, e soltanto questa, la corretta chiave interpretativa attraverso la quale noi possiamo capire ciò che gli Atti degli Apostoli ci presentano, molto falsamente e opportunisticamente, come una semplice divisione di competenze fra Paolo e gli Apostoli giudaizzanti: evangelizzatore dei gentili l'uno, evangelizzatori degli ebrei gli altri.

    Altro che divisione di competenze! La verità è che questi ultimi erano legati alla concezione messianica di derivazione maccabea, ovvero al patriottismo nazional-religioso degli esseno-zeloti, ostile per natura al mondo gentile; mentre Paolo aveva già sparso i semi di una filosofia di apertura al pensiero extragiudaico, al punto da rappresentare il suo Gesù Cristo con caratteristiche che appartenevano assai più agli dei incarnati e risuscitanti delle teologie gentili che non alla figura messianica delle profezie giudaiche.
    Ora, noi abbiamo molti motivi per credere che Paolo, nella sua città di origine, Tarso, in Cilicia, abbia avuto contatti molto ravvicinati con le culture religiose ellenistiche ed orientali, anzi, proprio con i culti detti misteriosofici, in cui si celebravano complicati riti iniziatici. Di questi possiamo avere una bellissima descrizione divulgativa, accessibile anche ai non addetti ai lavori, nell'opera di J.G.Frazer, "Il Ramo d'Oro" (Newton Compton, 1992), dalla cui lettura possiamo arrivare a capire che certi elementi teologici della figura di Gesù Cristo devono essere stati mutuati dai culti extragiudaici come quelli di Attis, Adonis, Osiride, Dioniso, Mitra... mi riferisco alla nascita verginale, alla resurrezione dopo tre giorni di discesa agli inferi, all'innesto del concetto teofagico (cibarsi della carne e del sangue del Dio) sui contenuti del rito eucaristico esseno (la fractio panis di cui abbiamo visto nel manuale di disciplina di Qumran).

    Ora, la quasi totalità dei cristiani nega che il Cristo giustiziato da Ponzio Pilato, con l'accusa di avere militato per diventare "re dei Giudei", avesse l'intenzione di diventare realmente "re dei Giudei" e abbia mai avuto a che fare col messianismo nazional-religioso degli esseni e degli zeloti. E supportano questa loro irremovibile convinzione sulla base della tradizionale immagine evangelica di un Gesù che predica amore, pace, perdono, non violenza, che contraddice alcune caratteristiche del pensiero ebraico messianista (Gesù siede a tavola coi gentili, deroga alla regola del sabato...), e considerano la vicenda del processo, della condanna e della esecuzione romana mediante crocifissione (il tipico destino dei latrones e dei sicarii, ovverosia degli zeloti) come un clamoroso equivoco giudiziario, da cui Pilato, vittima dei raggiri dei sacerdoti del tempio, esce praticamente scagionato, e con lui tutti i romani. Un equivoco generato dalle false accuse che i giudei avrebbero prodotto nel presentare Gesù a Ponzio Pilato, al fine di indurre proditoriamente i romani a giustiziarlo.
    Ma il meccanismo non è questo! Il punto falso non risiede in quelle accuse di militanza esseno-zelota, bensì nell'immagine del Cristo apolitico, demessianizzato, addirittura quasi degiudaizzato, che propone nell'imminenza della Pasqua ebraica, ad una assemblea di giudei, cerimoniali di sapore nettamente gentile (l'eucarestia teofagica come rito sacrificale del dio incarnato), una immagine costruita a posteriori dalla scuola di San Paolo. E naturalmente non è legittimo dimostrare che il Cristo era un pacifista, che non era il Messia, che era estraneo ai movimenti esseno-zelotici, utilizzando a questo scopo i documenti che furono costruiti apposta per sostenere l'ideologia antimessianista e per alterare la figura di Cristo.
    Insomma, quando noi leggiamo i Vangeli (i Vangeli del canone ecclesiastico, naturalmente, non la letteratura primitiva del giudeo-cristianesimo che, del resto, è stata opportunamente tolta di mezzo), noi non abbiamo davanti agli occhi l'immagine storica di Gesù Cristo, bensì l'immagine costruita artificialmente dalla revisione paolina come base della catechesi neocristiana. I Vangeli sono il manifesto antimessianista (e quindi anti-Cristo-della-storia) che ci mostra, non le idee di Gesù, ma le idee di Paolo e dei suoi seguaci, ovverosia di colui che è stato fra i nemici più accaniti di Cristo e che non si è affatto convertito ma che, in un secondo tempo, ha convertito l'ideale di Cristo, appartenente al pensiero giudaico più radicale, in una filosofia extragiudaica. Una conversione che è stata ripetuta in modo assai simile, tre secoli dopo, dallo stesso imperatore Costantino, che non si è mai convertito al cristianesimo di Gesù nel modo in cui sostiene una certa interpretazione storica, ma che ha trovato convenienti motivi per convertire ulteriormente la teologia cristiana e renderla sempre più compatibile con le religioni già in voga nell'impero romano (fu lui a volere energicamente il concilio di Nicea e a dare inizio ad un'epoca plurisecolare di caccia all'eresia).
    In pratica, dopo queste molteplici e successive operazioni di ricostruzione teologica realizzate nell'arco di tre secoli, le cose che leggiamo oggi nei Vangeli servono a indicarci ciò che Gesù non era molto più di quanto non possano servire ad indicarci ciò che Gesù era. Anche se questa è un'idea inaccettabile da parte di coloro che sono innamorati dell'immagine neo-cristiana del Gesù figlio di Dio e che non possono tollerare che tale immagine sia ridotta dall'analisi storica ad un prodotto di pura creatività teologica.
    Non possiamo dimenticare le parole scritte dai Padri della Chiesa Ireneo, Eusebio, Teodoreto:

    "...(gli Ebioniti) seguono unicamente il Vangelo che è secondo Matteo e rifiutano l'apostolo Paolo, chiamandolo apostata della legge...". (Ireneo, Adv. Haer., I, 26).

    "...Gli Ebioniti, pertanto, seguendo unicamente il Vangelo che è secondo Matteo, si affidano solo ad esso e non hanno una conoscenza esatta del Signore...". (Ireneo, Adv. Haer., III, 11).

    "...costoro pensavano che fossero da rifiutare tutte le lettere dell'apostolo (Paolo), chiamandolo apostata della legge, e servendosi del solo Vangelo detto secondo gli ebrei, tenevano in poco conto tutti gli altri...". (Eusebio di Cesarea, Hist. Eccl., III, 27).

    "...(I Nazareni) accettano unicamente il Vangelo secondo gli Ebrei e chiamano apostata l'apostolo (Paolo)...". (Teodoreto, Haer. Fabul. Comp. II, 1).

    "...Essi sono Giudei che onorano Cristo come uomo giusto e usano il Vangelo chiamato secondo Pietro...". (Teodoreto, Haer. Fabul. Comp. II, 2).

    Ma questi ebioniti, nazorei (o nazareni) ed ebrei, altri non erano che gli esseno-zeloti o i discendenti degli esseno-zeloti che si erano messi a tavola col Messia e avevano spartito il vino e il pane con lui, poco prima del suo arresto sul monte degli ulivi, e coi quali Paolo si era sempre trovato in conflitto al punto da essere considerato "uomo di menzogna" sia nei suddetti vangeli giudeo-cristiani, sia nei documenti qumraniani come il Commentario di Abacuc [vedi R.Eisenman "James the brother of Jesus"]. Ed è contro di loro che si è scatenata, per secoli, una severa censura storica ed ideologica, finalizzata agli interessi del riformismo neo-cristiano e della istituzione che di esso si era fatta rappresentante.

    Mi piace molto questa analisi della "conversione" di Paolo di Tarso che tu Ayalon hai fatto: si dà il caso che il prossimo esame che devo affrontare alla Facoltà Valdese sono le lettere di Paolo: quelle che la critica storica ha ritenuto autentiche: Romani, Galati, 1° e 2° Corinzi, Filippesi,
    1° Tessalonicesi, Filemone. Tutte le altre lettere , secondo il metodo storico critico non sono di Paolo, ma o della Scuola Paolina, o di altri autori. E poi a me interessa la figura "inventata" del Gesù che hai prospettato tu, Ayalon. Sarà davvero un bello studio....! e grazie.
    Sandro_48
     
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    Guarda che l'autore e' David Donnini non Ayalon
     
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    Il mio pensiero su Shaul - Paolo




    La Teurgia e la Teocrazia della Croce .


    cit Frances da CP


    CITAZIONE
    Per Paolo la schiavitù secondo la carne (κατα σαρκα) è la subordinazione all'autorità temporale, che giudica cosa positiva per il mantenimento dell'ordine. C'è un altro aspetto, negativo, della schiavitù secondo la carne e Paolo lo identifica con la subordinazione alla legge mosaica.

    Il cristiano può redimersi dalla schiavitù della legge, ma non dalla subordinazione all'autorità temporale. Dunque Paolo ritiene praticabile soltanto la libertà secondo lo spirito. Il mezzo per raggiungerla è la fede in Cristo.

    Questi concetti paolini sono delineati nel terzo e nel quarto capitolo della Lettera ai Galati.

    Mentre è in Romani V

    12 Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato.


    La Santificazione e la Proclamazione della sofferenza ,

    del dolore del Cristo inchiodato per colpa del peccato dell' uomo

    e la TEORIA della Imitazio Christi come mezzo per la Redenzione .



    Questo è il più infame è criminale pensiero di tutta la Storia Umana .

    E il concetto di Peccato è quanto di più vuoto , insulso , e demenziale sia stato

    inventato per tenere prigioniero l' uomo in una colpa inesistente ,

    in un atto di sottomissione all' autorità dei Teocrati , come in Romani XIII

    1 Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c'è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio.

    2 Quindi chi si oppone all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna.


    Da questa neoplasia del pensiero sono nati i Vangeli ,

    e questa visione di sofferenza, e di amore per la sofferenza ha appestato

    l' intera umanità


    F. Nietzsche in L'anticristo:


    “Il vangelo morì sulla croce. Ciò che a cominciare da quel momento è chiamato “Vangelo” era già l'antitesi di quel che lui aveva vissuto; una “cattiva novella”, un “Dysangelium”... Alla “buona novella” seguì immediatamente la peggiore tra tutte, quella di Paolo. In Paolo si incarna il tipo antitetico alla “buona novella”, il genio dell'odio, nella spietata logica dell'odio. Che cosa non ha sacrificato all'odio questo disangelista?

    INNANZI TUTTO IL REDENTORE , LO INCHIODO' ALLA SUA CROCE .


    Esemplare R. Carrier su Paolo

    L'umiltà è una tattica comune di coloro che vogliono guadagnare influenza.

    E Paolo usa un tono auto-umiliante per tutte le sue lettere esattamente in quel modo (egli evidenzia ripetutamente fino a quanto egli aspira alle cose e come sia debole e come sia inferiore agli altri apostoli yadayada).

    Lui addirittura dice: "io sono il minimo degli apostoli", 1 Cor. 15: 9. Questo è lo stratagemma di un predicatore. Proprio come i predicatori che affermano che una volta erano aitanti atei e peccatori prima di vedere la luce. ''Oh, me tapino. Vedi come io non mi aggrappo al potere o non agisco affatto in modo arrogante? Sono affidabile, vedi?

    Così dammi qualche potere, per favore!"

    Ecco come funzionava.

    Oggi noi chiamiamo questa tattica passiva-aggressiva.

    Allora si trattava di una strategia retorica.
     
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    Riflettevo su tutte queste considerazioni e mi chiedevo non tanto il perché o il Per come Dell invenzione del cristianesimo, ma piuttosto quale fosse il meccanismo etico e semantico che spinse i credenti di allora a morire per la causa del cristianesimo.
    Parliamo per lo più o di ebrei che magari vivevano ai margini della società e che quindi potessero essere imbrigliare dai ragionamenti di Paolo o addirittura da pagani dal dubbio spessore etico.
     
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    cristiano valdese a cui interessano anche le interpretazioni Ebraiche della Bibbia Ebraica.,Mishnah

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    CITAZIONE (tramadol @ 1/3/2017, 12:55) 
    Riflettevo su tutte queste considerazioni e mi chiedevo non tanto il perché o il Per come Dell invenzione del cristianesimo, ma piuttosto quale fosse il meccanismo etico e semantico che spinse i credenti di allora a morire per la causa del cristianesimo.
    Parliamo per lo più o di ebrei che magari vivevano ai margini della società e che quindi potessero essere imbrigliare dai ragionamenti di Paolo o addirittura da pagani dal dubbio spessore etico.

    La risposta , in chiave Protestante, può essere alla seguente domanda: (domanda un po' difficile su cui sono caduto 2 volte di seguito agli esami):"come impostereste il confronto tra le due diverse interpretazioni di Genesi 15,6, in Paolo ed in Giacomo 2,23 ?"
    oppure rispondere qui:
    "Galati 3,6-14: scegliere 3 riferimenti all' Antico Testamento e per ognuno indicare A QUALE SCOPO Paolo lo cita o vi si riferisce.
    Sandro_48
     
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  11. Monia Speziale
     
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    Perché San Paolo ha inventato il Cristianesimo?

    Perché San Paolo era figlio di Gesù.

    (Scoperta di De Angelis descritta nel suo libro Gesù il Romano)
     
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    cristiano valdese a cui interessano anche le interpretazioni Ebraiche della Bibbia Ebraica.,Mishnah

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    Ma San Paolo era cittadino romano; se fosse figlio di Gesù, anche Gesù era cittadino Romano; come cittadino Romano Paolo si impose presso il Governatore romano e non permise di essere fustigato dai soldati imperiali; ma se Gesù fosse stato cittadino romano, si sarebbe appellato a Cesare per non essere crocefisso, pena capitale da cui tutti i cittadini romani erano esclusi in favore della decapitazione, con un colpo secco.
    Sandro_48
     
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    Cosa dice de Angelis? San Paolo figlio di Gesù ? :-0
    Ho cercato ora Dice anche che aveva un figlio nipote di Gesù,un fratello anche esso figlio di Gesù,una sorella salome anche lei figlia di Gesù ecc....bah

    Inviato tramite ForumFree Mobile

     
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  14. Monia Speziale
     
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    Sì, il nuovo antisionismo (antisemitismo (antiebraismo in generale) vuole colpire con effetti speciali ...

    evidentemente il Gesù figlio di Dio nato da una vergine ormai non regge più (e come potrebbe? Non ci credevo io quando avevo sei anni e fortunatamente ho continuato a seguire il mio istinto) e quindi si sta cercando di correre ai ripari reimpostando la figura del Cristo e la sua storia, ma che di fondo resta sempre ancorata al suo obiettivo di base, la famosa "colpa" degli Ebrei.

    David Donnini comunque è fra tutti il ricercatore più serio, anche una bella persona tra l'altro, essendo nato antecedentemente al monopolio della Uno Editore che purtroppo ha travolto pure lui.


    http://apocalisselaica.net/il-segreto-del-...i-nella-bibbia/


    tutti d'accordo ;-) questa gente porta solo avanti l'antisemitismo dei vangeli.
     
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    Non l avevo mai vista in questo modo, cioè non sarebbe un attacco al cristianesimo ma rimodulandolo sarebbe un continuare una linea antisemita ininterrotta. A beh può essere anche questo.

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143 replies since 13/9/2016, 13:14   6034 views
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