Poiché il Giudizio appartiene a D-o

tesi master UCEI di Negev

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  1. Abramo
     
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    Il Re e il Gran Sinedrio



    הוא נקרא אלהים וקרא למשה אלהים שנאמר ראה נתתיך אלהים לפרעה ואמר הקדוש ברוך הוא למשה מלך עשיתיך שנאמר ויהי בישורון מלך

    Traduzione:
    “ Egli è chiamato Elohim e chiamò Moshèh Elohim, come fu detto: “vedi, ti ho costituito elohim a Par’ò e disse il Santo Benedetto Sia a Moshèh: ti ho fatto Re, come fu detto: vi sia un Re in Ieshurun.
    (Yalkut Shimoni, Parashat Beha’alotchà,724)

    האדם אם הוא מלך או שר נקרא גם כן בשם אלהים

    l’uomo, se è un Re o un Ministro, è anche chiamato con il titolo “Elohim”.
    (Ohev Israel, Likutim Chadashim, Parashat Waerà)

    Il Re aveva l’obbligo di scrivere per sé un Sefer Mishnèh Toràh e di leggervi tutti i giorni della sua vita, “perché non si insuperbisca deviando dai comandamenti a destra o a sinistra”. (Devarim 17,20)

    Da quanto si evince da Yehoshua 1:18, il Re aveva dei poteri particolari e la trasgressione dei suoi decreti comportava la pena di morte. (haMishpat ha’Ivrì,p.49) .
    Egli godeva di alti poteri nell’ambito legislativo, giudiziario ed esecutivo. In modo particolare, qualora fosse richiesto un intervento immediato, era facoltà del Re di decidere in tempi brevi, sorvolando su ogni complicazione burocratica. Aveva anche il potere di condanna a morte, perfino nei casi in cui mancasse anche uno solo degli elementi principali, senza il quale il Sinedrio non era in grado di comminare la condanna. Vi è dunque una sostanziale differenza fra il mishpat del Sinedrio ed il mishpat hamelech.

    Mentre da un lato, il Sinedrio aveva sempre l’obbligo di applicare il “mishpat tzedeq”, ossia la Giustizia secondo Norma giusta, dall’altro il Re aveva l’obbligo di gestire la società di cui era responsabile. Queste due importanti istituzioni avevano dei poteri complementari ed insieme governavano la società ebraica del Regno.

    Il Sinedrio doveva rispecchiare la Giustizia suprema, divina, come è scritto:

    “ושפטו את העם משפט צדק”

    “E giudicarono il popolo con giusto Diritto” (Devarim 16,18)

    mentre il Re aveva l’obbligo di sorveglianza su di esso, affinché l’eccessivo senso della Giustizia non eccedesse in inflessibilità o non mettesse in pericolo il Regno.
    In determinate circostanze, il Re poteva adottare delle eccezioni, rifacendosi al diritto straniero ed applicandolo secondo la contingenza o l’urgenza, risolvendo in tal modo questioni complicate, oltre a tutte quelle situazioni che non erano di stretta competenza del Sinedrio.

    השיפוט לפי הדין הוא ״נשגב במעלתו״, ו״צודק בעצמו״ אך לא תמיד הוא גם מתקן את ענייני החברה וצרכי השעה; משום כך יש שמשפטי עמים אחרים פותרים בעיה חברתית מסוימת בצורה הולמת יותר מאשר הדין שבהלכה. התאמה זו של הדין לצרכי השעה ולתיקון הסדר החברתי נעשה על ידי משפט המלך. משום כך מערכת המשפט העברי בכללותה אינה חסרה דבר, ״כי כל מה שיחסר התיקון הנזכר (= של הסדר החברתי) היה משלימו המלך״.

    Traduzione:
    “Il giudizio secondo il diritto (della halachàh) è “di alto grado morale” e “giusto in sé”, però non sempre risolve anche gli affari della società e le necessità del momento. Pertanto, il diritto di altri popoli risolve un dato problema sociale in un modo più adatto del diritto della halachàh. Questo adattamento del diritto, secondo le necessità del momento, e la risoluzione dell’ordine sociale, veniva effettuato per mezzo del “mishpat hamelech”.
    Pertanto, il sistema del diritto ebraico nel suo insieme, non manca di nulla, “poiché tutto ciò che veniva a mancare nella suddetta risoluzione (dell’ordine sociale) veniva completato dal Re”.
    (Menachem Elon, haMishpat ha’Ivrì, pag.51)

    I Giudici, rispetto al Re, avevano obblighi maggiori e più stringenti, riguardo al diritto della halachàh.
    A causa di questa sua indipendenza, al Re era riservato un particolare monito della Toràh:
    “לבלתי רום לבבו” “che non si insuperbisca” (Devarim 17, 20), affinché il suo essere cosciente di non dover rispondere agli stessi obblighi dei giudici e la sua maggiore libertà ed indipendenza nel giudicare, non lo portassero ad eccessi e abusi, fino a deviare dalla via della Toràh.
    In determinati casi, la giurisdizione era di esclusiva competenza del Re. Egli era il giudice supremo del tribunale militare ed esercitava il suo potere senza l’intervento del Sinedrio, il quale era concepito come la Corte Suprema della Nazione. Il Sinedrio aveva potere esclusivo sui cittadini israeliti, mentre i casi riguardanti tutti gli altri residenti, in particolare nel diritto penale, erano sotto la esclusiva giurisdizione del sovrano, il quale giudicava avvalendosi soprattutto dei rapporti internazionali con i paesi dei quali gli imputati erano cittadini.
    Per i cittadini stranieri, era in vigore un differente tipo di diritto, che prevedeva la nomina, da parte del Sinedrio, di un Tribunale di pari condizione e provenienza degli accusati. Questa peculiarità, unica nel suo genere, sarà analizzata a proposito del diritto relativo allo status di “gher toshav”.
    Esistono però dei casi in cui il Re conferiva al Sinedrio il potere di agire per proprio conto, in maniera indipendente. Questo tipo di delega spesso comportava delle decisioni e potevano crearsi delle situazioni di eccessiva rigidità nell’applicazione del giudizio, creando problemi e conflitti che mettevano in cattiva luce il Sinedrio agli occhi dei cittadini, i quali lo avevano sempre concepito come il Tribunale di somma giustizia divina.
    Nei periodi della diaspora e nei periodi in cui il Popolo non aveva un Re, i Giudici potevano permettersi delle liceità di modi, usualmente riservati esclusivamente al regnante. Questo, perché tale caratteristica è prevista nel diritto ebraico che, come abbiamo visto, completa il suo campo d’azione in quei casi in cui il diritto della halachàh si riveli poco efficiente a causa di elementi giuridici che si discostano troppo dalla sua effettiva competenza.
    In una Beraita, attribuita a Rav Eli’ezer Ben Ya’aqov, sono riportati due casi in cui il Bet Din aveva giudicato avvalendosi della suddetta liceità:

    תניא ר''א בן יעקב אומר שמעתי שבית דין מכין ועונשין שלא מן התורה ולא לעבור על דברי תורה אלא כדי לעשות סייג לתורה ומעשה באחד שרכב על סוס בשבת בימי יונים והביאוהו לבית דין וסקלוהו לא מפני שראוי לכך אלא שהשעה צריכה לכך שוב מעשה באדם אחד שהטיח את אשתו תחת התאנה והביאוהו לבית דין והלקוהו לא מפני שראוי לכך אלא שהשעה צריכה לכך:

    Traduzione:
    “Rabi Eli’ezer ben Ya’aqov dice: “ho sentito che il Bet Din infligge colpi e castighi che non appartengono alla Toràh e (ciò avveniva) non per trasgredire alle parole della Toràh, ma per fare una siepe intorno alla Toràh. C’è il fatto di uno che cavalcava un cavallo di Shabbath, nel periodo dei Greci. Lo portarono nel Bet Din e lo lapidarono, non perché è così da farsi, ma perché tale era la necessità del momento. Un altro caso di un uomo che ebbe rapporti sessuali con sua moglie sotto un fico e lo portarono al bet din e lo castigarono con le frustate, non perché era così da farsi ma perché era la necessità del momento”.
    (Sanhedrin 46a)

    Cavalcare di Shabbath infatti, non comporta la pena di morte ed avere rapporti con la propria moglie sotto un fico, non è proibito dalla Toràh. Ma data la situazione che si era venuta a creare a causa dell’oppressione greca, in un’epoca nella quale i comandamenti avevano perso il loro valore ed il popolo si era dato a facili trasgressioni, se non si fosse intervenuti con una certa durezza e determinazione, altri limiti sarebbero stati oltrepassati con maggiore facilità, con un’inevitabile caduta in trasgressioni molto più gravi.
    Il caso dell’uomo che cavalcava di Shabbath, doveva essere punito in modo esemplare, in maniera tale da incutere tanto timore nel popolo, da indurlo ad una seria riflessione sulle conseguenze di un comportamento troppo permissivo e tale da dissuaderlo da quel comportamento scellerato.
    Anche un rapporto sessuale fuori di casa, poteva incitare il popolo a trasgressioni più gravi ed era quindi necessario porre un limite, comminando una punizione esemplare.
    La “necessità del momento”, in cui il Re disponeva di pieni poteri, consisteva anche nella costruzione di una “siepe”, per proteggere la Toràh in casi come questi, in cui le oppressioni e le dominazioni straniere non possono e non devono giustificare in nessun modo le violazioni.

    Così commenta Rashì:

    אלא שהשעה צריכה לכך. מפני שהיו פרוצים בעבירות שהיו רואין לוחצן של ישראל שהיונים הם גוזרים עליהם גזירות והיו מצות בזויות בעיניהם

    Traduzione:
    “Perché così era la necessità del momento: perché erano soliti trasgredire con facilità, vedendo le oppressioni degli Israeliti da parte dei Greci i quali promulgavano loro editti ed i comandamenti erano da loro disprezzati”.
    (Rashì in Sanhedrin 46a)

    D’altro canto, infliggere la pena delle frustrate per una trasgressione per la quale la Toràh non la prevede o, peggio ancora, infliggere la pena di morte, sono atti gravissimi che equivalgono ad annullare la procedura esecutiva descritta nella Toràh.
    Secondo R. David ben Zimrah applicare la pena di morte per una trasgressione per la quale la Toràh non la preveda, equivale alla violazione del sesto principio del Diritto Ebraico: “לא תרצח”, ma i Saggi che stabilivano la halachàh ritenevano opportuno adattare il diritto penale, allo scopo di far fronte ai cambiamenti nelle situazioni storiche, sociali, religiose e morali del Popolo. (Menachem Elon; “Hamishpat haivrì” pag.423)

    Nel Talmud Yerushalmi, viene trattato il principio della “necessità del momento” e fino a quale misura possa essere applicato.

    תני א"ר אלעזר בן יעקב שמעתי שעונשין שלא כהלכה ועונשין שלא כתורה עד איכן ר' לעזר בי רבי יוסי אמר עד כדי זימזום רבי יוסה אומר בעדים אבל לא בהתרייה מעשה באחד שיצא לדרך רכוב על סוסו בשבת והביאוהו לב"ד וסקלוהו והלא שבות הוית אלא שהיתה השעה צריכה לכן שוב מעשה באחד שיצא לדרך ואשתו עמו ופנה לאחורי הגדר ועשה צרכיו עמה והביאוהו לב"ד והלקוהו והלא אשתו הוות אלא שנהג עצמו בבזיון:

    Traduzione:
    “R. El’azar ben Ya’aqov diceva: “Ho sentito che infliggono punizioni non secondo la halachàh, infliggono punizioni non secondo la Toràh; ma fino a quanto (ciò è permesso)?”
    R. L’azar della scuola di Rabi Yose disse: “Anche fino a che sembra una cospirazione. Rabi Yosa disse: per mezzo di testimoni sì ma non soltanto per deduzioni logiche”.
    C’è un fatto di uno che andava cavalcando il suo cavallo di Shabbath, lo condussero al Bet Din e lo lapidarono; ma non si tratta di Shevut? (Shevut: proibizione sabbatica rabbinica).
    Si, ma era invece la necessità del momento che lo richiedeva. C’è ancora un altro fatto di uno che andava con sua moglie per strada, girarono dietro il recinto ed ebbe rapporti sessuali con lei. Lo condussero al Bet Din e lo punirono con le frustrate; ma non era sua moglie? Sì, però si era comportato in modo osceno”. (Yerushalmi, Chaghiga, 2,2)

    Edited by Abramo - 29/5/2016, 08:10
     
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