Satana: oppositore di Dio o lato oscuro della Forza?

Analisi dei passi biblici che non sostengono il monoteismo assoluto

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  1. whitemirror
     
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    Continuo la mia ricerca nel Tanach di passi che sembrano affermare l'esistenza di altri esseri spirituali oltre a Dio. Assai nota è la vicenda di Giobbe, dove compare la figura di satana. A proposito di ciò, riporto qui, tratto da una discussione su satana e Giobbe, un commento di Negev:
    #entry472695461

    CITAZIONE (Negev @ 27/9/2011, 12:51) 
    E' davvero incredibile la pretesa esegetica di intendere le cose senza in nessn modo tenere conto del significato dalla parola originale in ebraico e della tradizione che accompagna questa.
    satan non è MAI un essere spirituale ma, a seconda dei casi assume il significato di avversario, pubblico accusatore o semplicemente ha il ruolo ideologico della coscienza umana, o meglio, della tendenza materiale istintiva NECESSARIA ad ogni essere umano.
    La pretesa è di tradurre o identificare il satan con SATANA, none proprio che ha un significato ben preciso in senso cristiano.
    Questa è una interpretazione totalmente estranea all'ebraismo che non conosce altri esseri spirituali al di fuori di D-O.
    Nel caso di Giobbe, l'interpretazione letterale è che si tratti di esseri umani che accusano un giusto davantoi all'Onnipotente.

    Il satana che compare nel libro di Giobbe viene qualificato nel post qui citato come un essere umano che, insieme ad altri, interloquisce con Dio.
    Ma dalla descrizione degli eventi così come sono raccontati nel libro di Giobbe, non si può ignorare che questo "essere umano" si rivela incredibilmente dotato di poteri superlativi.
    Di sicuro non poteva trattarsi di un individuo coevo di Giobbe, il quale, sebbene fosse il più ricco e potente degli orientali, il solo mezzo di trasporto che possedeva era il cammello.
    Il satana del racconto, invece, gira in lungo ed in largo per tutta la terra, vede e conosce i fatti e l'indole dei singoli esseri umani senza che questi vedano e conoscano lui, tanto che Dio gli chiede cosa ne pensa del suo servo Giobbe, nemmeno Giobbe fosse stato uno di tre o quattro abitanti di tutto il pianeta, e che l'intero pianeta fosse nulla più che una piccola contrada.

    Si deve inoltre considerare che nel Tanach è sempre l'Onnipotente che si rivela agli uomini, ma in questo caso sono satana ed altri come lui che vanno a trovare Dio.
    Satana riesce, in pochissimo tempo – si potrebbe dire nel giro di qualche minuto – a provocare ogni genere di disastri e tragedie che si abbattono a catena sul povero Giobbe, e riuscendo incredibilmente a restare invisibile ai suoi occhi. Ma Giobbe non perde la sua fede, e la cosa, per il momento, sembra finire lì.
    Passa del tempo e un giorno succede che satana e gli altri si presentano a Dio, come se ciò fosse una consuetudine. Al che Dio coglie l'occasione per chiedere a satana se ha notato che il suo servo Giobbe è rimasto integro nella propria fede; in seguito alla risposta che gli dà satana, Dio gli concede di colpire Giobbe anche sulla sua persona, ma con il limite di non togliergli la vita.
    È quindi confermato che Satana ha dei poteri perfino in grado di colpire da lontano la salute di Giobbe e di rimanere a questi invisibile.

    Nel post succitato, Negev sostiene che: "Nel caso di Giobbe, l'interpretazione letterale è che si tratti di esseri umani che accusano un giusto davanti all'Onnipotente."
    Ma se questo satana va identificato come un essere umano, bisogna perlomeno considerare che non risulta esistano esseri umani con i suoi poteri, tranne che nelle favole.
    Occorre inoltre osservare che egli, insieme ad altri suoi simili, va a trovare di consuetudine Dio (con quale mezzo?) e chiacchiera con lui di ciò che fa; che gira molto velocemente per tutto il mondo, e dopo ogni suo girovagare torna a far visita a Dio e ancora chiacchierano insieme; e che, infine, ha poteri strabilianti che agiscono invisibilmente e a distanza.
    Il post di Negev afferma poi la natura allegorica del racconto:

    CITAZIONE (Negev @ 27/9/2011, 12:51) 
    Ma ciò è vero solo di fronte ad una lettura superficiale del testo in quanto, come potrebbe mai D-O essere influenzato o addirittura ingnnato da chiacchiere umane?
    Nella Ghemarà e anche secondo Rambam (Maimonide), si tratta solo di un racconto allegorico, ascopo educativo, essendo il Libro di Giobbe un Libro sapienziale.
    Molti Maestri sostengono che Giobbe non sia mai esistito e si tratti solo di un racconto didattico, mentre altri affermano che esistette un Giusto di nome Iov, ma che i fatti raccontati non avvennero mai e furono scritti solo per lo scopo di cui sopra.

    Certamente la storia di Giobbe potrebbe non voler narrare eventi reali se assumiamo che il suo scopo fosse semplicemente didattico.
    Ma, in tale accezione, avendo la finalità di illustrare qualche fondamentale insegnamento di Dio, si deve rilevare che questo racconto, se da un lato pone Giobbe come modello da emulare, allo stesso tempo contraddice il primo dei comandamenti del Decalogo che è quello dell'unicità di Dio nel mondo spirituale.
    La storia di Giobbe, infatti, anche qualora il redattore biblico la presentasse come opera di fantasia, si regge sull'esistenza di esseri dotati di poteri ultraterreni dei quali si dovrebbe sostenere, al contrario, l'inesistenza anche nei racconti puramente aneddotici.
    Dopotutto questa storia, anche prendendola come una allegoria, poteva essere articolata differentemente in maniera da non offrire sostegno ad idee malsane, soprattutto se è stata ispirata dall'Onnipotente. La sua costruzione, al contrario, suggerisce o insinua l'esistenza di entità soprannaturali, alle quali tutti i popoli pagani credevano, mentre per gli ebrei era categorico il principio che fosse doveroso prendere le distanze da tali credenze.

    Lo scrittore biblico avrebbe in questo caso commesso una gaffe colossale inserendo nella sua storia immaginaria esseri soprannaturali, soprattutto se consideriamo il fatto che gli ebrei erano continuamente tentati dalle credenze idolatriche dei pagani. Una tentazione talmente irresistibile, fin da quando furono usciti dall'Egitto, che ad essa non riuscì a sottrarsi, nonostante la sua proverbiale saggezza, perfino il re Salomone, quando si mise ad adorare gli dei pagani.
    Ci mancavano solamente gli aneddoti didattici che riconoscessero l'esistenza, oltre a Dio, di altri esseri ultraterreni. icon_rofl

    CITAZIONE (Negev @ 27/9/2011, 12:51) 
    Ma come si fa a scrivere fiuni di saccenti interpretazioni senza tenere conto della tradizione di quel Popolo che diede origine a questi scritti?

    Forse, proprio tenendo conto dei processi evolutivi a cui la cultura e le tradizioni ebraiche non sono mai state immuni, si potrebbe dedurre che il monoteismo assoluto – sviluppatosi durante l'esilio babilonese da culti politeistici antecedenti – si sia ulteriormente evoluto in epoca giudaica con l'introduzione graduale di altre figure spirituali. Ciò deve aver determinato quella spaccatura dottrinale che generò all'interno del mondo giudaico diverse correnti antagoniste, da quelle più conservatrici fino a quelle maggiormente aperte agli influssi iranici ed ellenisti.

    Saluti.
     
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  2. whitemirror
     
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    Nei due diversi passi biblici che rivelano il motivo che spinse re Davide a fare un censimento illegale del popolo, il soggetto iniziale cambia in modo sostanziale:
    in Samuele il soggetto è Dio, mentre in Cronache è Satana:

    2Samuele 24:1, Nuova Riveduta.
    1 Il SIGNORE si accese di nuovo d'ira contro Israele, e incitò Davide contro il popolo, dicendo: «Va' e fa' il censimento d'Israele e di Giuda».

    1Cronache 21:1, Nuova Riveduta.
    1 Satana si mosse contro Israele, e incitò Davide a fare il censimento d'Israele.

    Dio e Satana sarebbero sinonimi? Per quanto ne so, nell'ebraismo la parola Ha-Satan non è usata esattamente per indicare Dio; essa può rappresentare una qualifica, una funzione, oppure la cattiva inclinazione interiore che c'è negli uomini, ma non è sinonimo di Dio.
    Perché allora c'è questa discordanza nel Tanach?
    Secondo la maggior parte degli studiosi i libri di Samuele furono scritti fra il VI ed il V secolo a.C., quindi durante la cattività babilonese, mentre i libri di Cronache sarebbero di epoca più tarda, fra il 320 e il 250 a.C.
    Il teologo Stefano Virgulin, nella sua presentazione dei libri di Cronache nella Bibbia ed. Paoline del 1986, scrive:

    "Il Cronista fece una cernita, elaborò, modificò, ed adattò al suo intento teologico le varie fonti, in modo però da comporre non un lavoro di compilazione, ma un'opera nuova ed originale. Talvolta egli riporta con scrupolosa fedeltà il racconto dei suoi predecessori, però non esita ad omettere tutto ciò che non concorda con il proprio disegno; così esclude tutto ciò che può offuscare la gloria di Davide e di Salomone, sorvola su tutta la storia del regno del Nord. Quando si tratta dei leviti, ardisce introdurre delle sconvolgenti correzioni e modifiche nelle fonti, idealizza le figure di Davide e di Salomone, applica in tutti i casi ed in forma molto rigida il principio del contrappasso, crea i discorsi religiosi e polemici dei re, inventa oracoli di profeti, maggiora i numeri, non rifugge dagli anacronismi, sottolinea i diretti interventi di Dio in favore dei giudei. [....] L'idealizzazione del passato, la proiezione nell'antichità dei riti ed istituzioni tipici del tempo postesilico, il piegare i fatti alla dimostrazione di una tesi teologica pongono il problema del valore storico della Cronache."

    Se è effettivamente così palpabile la volontà del Cronista di rimaneggiare i testi a lui precedenti per adattarli alla propria teologia, non c'è da stupirsi se sia stato oggetto della sua attenzione il passo che compare nel libro di Samuele. Qui è Dio stesso che induce Davide a commettere una violazione della sua stessa Legge, ciò allo scopo di avere poi un pretesto per castigarlo; ma essendo Davide il re, tale castigo sarebbe consistito in terribili flagelli che Dio avrebbe poi mandato su tutto il popolo, uomini, donne, bambini, disabili, ecc. in quanto peccatori.
    L'Onnipotente, raffigurato come assolutamente unico nei libri scritti durante l'epoca della cattività babilonese, è un Dio responsabile tanto del bene quanto di tutti i mali. Nel passo di Samuele Dio appare addirittura contorto: vuole punire il popolo in massa, ma per poterlo fare induce il re a sbagliare, e tuttavia la colpa del re viene alla fine scontata dal popolo!
    Dio aveva proprio bisogno di creare, subdolamente, un casus belli, per infliggere il suo castigo?

    Nei secoli successivi all'introduzione del monoteismo assoluto, i giudei cominciarono gradualmente ad adottare elementi teologici presi in prestito dalla cultura ellenista e da quella iranica. Concezioni dello zoroastrismo furono adottate per spiegare l'evidente sperequazione nella distribuzione dei mali, e così nelle differenti correnti religiose in cui il giudaismo si stava dividendo apparivano ora le figure degli angeli e dei demoni. Di tali modifiche vi sono tracce nel Tanach, come infatti è nel primo libro di Cronache sopra citato.
    Il redattore di Cronache, vissuto in epoca ellenistica, sembra influenzato dalle nuove correnti religiose e dal bisogno di colmare le gravi lacune generate dall'accentramento assoluto nel Dio unico della concezione di bene e male.
    I fedeli non riuscivano ad adorare la medesima entità che li flagellava indiscriminatamente e con evidente ingiustizia, difficilmente consolandosi al pensiero che in fondo stavano pagando per qualche colpa oscura che essi, oppure i propri antenati (o i propri governanti) dovevano aver commesso.

    Saluti
     
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    Su satana per cristiani, enochici (o enochiani), ebrei, musulmani, è già stato detto di tutto, per tutti i punti di vista.
    Anche in Samuele mi sembra che, parlando di דוד dal punto di vista dei suoi nemici, lo si indichi come satan.

    Comunque mi pare che quanto hai detto sia già stato trattato.

    Shalom
     
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  4. whitemirror
     
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    CITAZIONE (LvBv1983 @ 14/12/2015, 20:50) 
    Su satana per cristiani, enochici (o enochiani), ebrei, musulmani, è già stato detto di tutto, per tutti i punti di vista.
    Anche in Samuele mi sembra che, parlando di דוד dal punto di vista dei suoi nemici, lo si indichi come satan.

    Veramente la discussione che ho aperto, se si tiene conto del sottotitolo che ho messo, non riguarda satana ma la dottrina del monoteismo assoluto che è sostenuta dogmaticamente da diversi utenti ebraici di questo forum, i quali escludono l'esistenza di altri esseri spirituali oltre a Dio, nonostante alcuni passi del Tanach smentiscano questa posizione.
    Ho citato Negev, il quale definisce il satana del libro di Giobbe un essere umano che parla con Dio:
    gli sfugge, però, che il satana come è descritto nel libro di Giobbe potrebbe rappresentare, tutt'al più, uno di quegli esseri umani che si trovano solamente nei cartoni animati.

    CITAZIONE (LvBv1983 @ 14/12/2015, 20:50) 
    Comunque mi pare che quanto hai detto sia già stato trattato.

    In modo serio, o solo come ha fatto Negev?

    Saluti
     
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    ma la dottrina del monoteismo assoluto che è sostenuta dogmaticamente da diversi utenti ebraici di questo forum, i quali escludono l'esistenza di altri esseri spirituali oltre a Dio

    L'interpretazione ebraica che si rifà alla tradizione, punta a D-o come unico essere spirituale.
    Se vuoi altre interpretazioni generatesi all'interno del mondo ebraico c'è l'imbarazzo della scelta: è per questo che, parlando di satana (anche possibilmente inteso come essere spirituale) ho citato alcune fra le altre correnti.

    Negev direi fu ben serio a riguardo.
    Oggi, aggiungo questo, in molte opere capita di leggere cose come: "l'oscurità gli entró nel cuore", "l'invidia gli disse" ecc

    Personificare o no è solo unofo di intendere certe eapressioni.
    Stessa cosa per Giobbe, fra tutte le tematiche ostiche affrontate in quel libro, satana mi pare la più semplice da analizzare e commentare.
     
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    CITAZIONE (LvBv1983 @ 14/12/2015, 23:16) 
    L'interpretazione ebraica che si rifà alla tradizione, punta a D-o come unico essere spirituale.
    Se vuoi altre interpretazioni generatesi all'interno del mondo ebraico c'è l'imbarazzo della scelta: è per questo che, parlando di satana (anche possibilmente inteso come essere spirituale) ho citato alcune fra le altre correnti.

    Negev direi fu ben serio a riguardo.
    Oggi, aggiungo questo, in molte opere capita di leggere cose come: "l'oscurità gli entró nel cuore", "l'invidia gli disse" ecc

    Personificare o no è solo unofo di intendere certe eapressioni.
    Stessa cosa per Giobbe, fra tutte le tematiche ostiche affrontate in quel libro, satana mi pare la più semplice da analizzare e commentare.

    Secondo me, invece, la tematica satana non è la più semplice, ma la più importante da analizzare. Se è stato satana a provocare tutti i disastri a giobbe abbiamo una certa risposta alla vicenda, ma se satana non esiste come essere spirituale senziente, da dove sono arrivati tutti quei problemi a giobbe?

    Shalom

    Edited by Bloccoporta - 15/12/2015, 00:56
     
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    אילון

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    CITAZIONE (Bloccoporta @ 14/12/2015, 23:39) 
    Secondo me, invece, la tematica satana non è la più semplice, ma la più importante da analizzare. Se è stato satana a provocare tutti i disastri a giobbe abbiamo una certa risposta alla vicenda, ma se satana non esiste come essere spirituale senziente, da dove sono arrivati tutti quei problemi a giobbe?

    Shalom

    Gavriel Levi

    Giobbe, chi non era costui?

    La storia di Giobbe è conosciuta. Giobbe è un uomo intero, diritto che evita il male. Persino D-o lo porta come modello umano agli Angeli. Il Satàn provoca D-o: " Se è così giusto, avrà la sua convenienza, perché Tu lo ripaghi benissimo; mettilo alla prova e vedremo se rimane integro verso Te ". D-o consegna Giobbe nelle mani del Satàn, che prima lo riduce in povertà, poi gli fa perdere figli e figlie ed infine lo colpisce gravemente nel corpo. Giobbe urla la sua protesta. I suoi amici tentano di consolarlo e di darsi, tutti assieme, una spiegazione: " Se ti capitano tutte queste disgrazie, vuol dire che hai fatto qualcosa di male ". Giobbe rifiuta di ammettere una colpa inesistente e tempesta D-o, contestando l'ingiustizia del suo dolore. Arriva a maledire il giorno della sua nascita e poiché ritiene che il male non ha nessuna ragione di esistere, conclude che la vita e la creazione sono senza senso. D-o è costretto a rispondere: " Dove eri tu, mentre Io creavo l'universo? Chi sei tu per comprendere la completezza delle mie azioni? ". Giobbe non si pronuncia sul contenuto della risposta, ma si accontenta del fatto che D-o gli abbia risposto in prima persona. D-o risarcisce Giobbe di tutti i danni che ha dovuto subire. Da notare: il Satàn non partecipa alla discussione di Giobbe con gli amici, e neppure a quella con D-o.

    La trama di questa storia, che è parte fondamentale del Tanàkh, è provocatoria: è proprio vero che praticare la giustizia porta il bene e che praticare l'ingiustizia porta il male? E se fosse vero il contrario? D-o è capace di spiegare, superando le ipocrisie moralistiche degli uomini di troppa fede, il significato del dolore universale e delle catastrofi umane?

    Secondo i maestri del midràsh: " Moshè ha scritto la toràh, la vicenda di Bil'àm (il profeta che voleva maledire gli ebrei) ed il libro di Giobbe " (TB.BB 15a). Contro la maggioranza dei maestri che ritengono Giobbe un personaggio storico reale, R. Shemuèl bar Nachmàni afferma che " Giobbe non è mai esistito e tutta la sua storia è un'allegoria " (TB. BB 15a).

    Rabbi Iehudàh haNassì ritiene che: " Se il libro di Giobbe è stato scritto soltanto per spiegare i fatti della generazione del Diluvio, sarebbe sufficiente " ( Ber. R 26:18)

    Con quale gioco di specchi il Talmud guarda il testo biblico? Le tre ipotesi midrashiche riferite sollevano, se considerate insieme, interrogativi speculari:

    a) Moshè non aveva abbastanza da fare con la scrittura (sotto dettatura) della toràh? Per quale motivo si sarebbe messo a scrivere, mantenendosi anonimo, una tragedia su fatti che forse erano accaduti ma che lui non aveva visto o che forse non erano neppure avvenuti? Per quale motivo avrebbe scelto di scrivere proprio la storia di Giobbe? Aveva avuto una profezia o sosteneva, con una sua seconda identità, una protesta contro D-o? Perché la storia di Bil'àm, che è scritta dentro la toràh, viene presentata come una storia a sé, in qualche modo fuori della toràh? Quale rapporto esiste tra la storia di Bil'àm e quella di Giobbe? Di nuovo: perché Moshè viene presentato come uno scrittore free-lance ?

    b) Il Talmud, per rafforzare l'ipotesi di R.Shemuèl bar Nachmàni che Giobbe è un personaggio immaginario, fornisce un esempio parallelo. Quando Davìd ha mandato a morire Uriàh e ha sposato Batshèva', il profeta Natàn per potergli contestare la colpa, ha raccontato a David la storia di un pastore ricco che aveva rubato l'unica pecora di un pastore povero. Con rabbia, David ha condannato il pastore ricco ed il profeta Natan ha svelato a David che, fuori metafora, stava parlando di lui (Shem. 2°,12:1-8). Il Talmud sostiene che rispetto alla vicenda di David, non ha importanza se la storia dei due pastori è immaginaria o meno. Quale significato ha questa ipotesi talmudica su un parallelismo tra Moshè con il libro di Giobbe da una parte e Natàn con la storia dei due pastori dall'altra? In particolare, dove sta l'equivalente di David nella storia di Giobbe?

    c) Rabbi Iehudàh haNassì è il compilatore della Mishnàh, il nucleo del Talmud. In un certo senso Rabbi Iehudàh sta alla Toràh orale come Moshè sta alla Toràh scritta. Percéè proprio Rabbi Iehudàh sostiene che la storia di Giobbe è una interpretazione esistenziale del Diluvio, il prototipo della catastrofe universale? Perché, anche secondo Rabbì Iehudàh, proprio Moshè, il redattore della toràh scritta, avrebbe sentito il bisogno esistenziale di dare la sua interpretazione sui fatti del Diluvio? La correlazione fra Giobbe ed il Diluvio vuol dire che D-o, con il Diluvio, ha consegnato il mondo nelle mani del Satàn? Oppure, più semplicemente, Rabbì Iehudàh mette sulla bocca di Giobbe la propria richiesta categorica di ottenere una spiegazione morale sull'esistenza del male? Ed in quale modo Rabbi Iehudàh collega Moshè con il Diluvio oltre che con Giobbe?

    Forse non è possibile fornire una risposta punto per punto a questi interrogativi, ma certamente è necessario considerare la violenza morale di questo processo interpretativo.

    I Maestri inquadrano il contesto politico in cui Moshè viene al mondo. " Tre personaggi hanno partecipato alla decisione del Faraone di far buttare i bambini ebrei nel Nilo: Bil'am, Giobbe e Itrò "(TB Sotàh 11a). Bil'am, che diede l'idea, morì dopo 120 anni combattendo contro gli ebrei; Giobbe, che tacque, dopo 120 anni trovò le sue disgrazie; Itrò, che fuggì perché non voleva farsi complice, dopo 40 anni diventò suocero di Moshè e dopo 80 anni raggiunse il popolo d'Israele sotto il Sinai, suggerendo a Moshè come praticare un sistema giudiziario giusto.

    Il concetto è chiaro: Bil'am, Giobbe e Itrò sono tre figure della responsabilità-solidarietà umana: quando la persecuzione è già decisa si può collaborare con i persecutori, oppure tacere, oppure rifiutarsi e fuggire.

    Giobbe è il mezzo giusto che tace. Qualunque sia stato il suo cuore, Giobbe ha lasciato capire al Faraone di essere dalla sua parte ed è quindi incluso nella decisione della persecuzione.

    Ma il discorso non è finito; Moshè è il bambino che la figlia del Faraone tira fuori dalle acque, spezzando la persecuzione. Nella storia di Moshè la toràh sviluppa un rovesciamento rispetto alla storia del Diluvio: a) la persecuzione è decisa da un tribunale umano; b) la persecuzione viene fermata da un gesto di solidarietà semplice e non eroica; c) Moshè dovrebbe morire imprigionato nella sua piccola culla-arca, se fuori della culla-arca qualcuno non fermasse il Diluvio.

    Moshè diventerà un liberatore soltanto perché qualcuno lo ha salvato. La storia di Moshè ribalta la storia di Noach. D-o non salva Moshè e Moshè non si salva da solo. La sopravvivenza di Moshè dimostra che persino un singolo individuo si può costituire come Altro contro la decisione di un popolo di annichilire un altro popolo.

    E se Nòach avesse costruito, anche contro D-o, un'Arca per tutta l'umanità? E se Nòach non avesse costruito nessuna Arca e fosse fuggito? Perché Nòach ha taciuto prima e durante il Diluvio?

    Torniamo al primo Midrash da cui siamo partiti: Moshè ha scritto la parashà di Bil'am ed il libro di Giobbe per raccontare la sua storia e per interpretare, con la sua esperienza, la storia del Diluvio:

    1) Bil'am è il persecutore segreto che consiglia il Faraone come portare il popolo ebraico al suicidio di massa e che, una generazione dopo, cercherà di maledire gli ebrei , fingendo di rispettare il volere di D-o.

    2) Itrò è l'uomo che contrasta la persecuzione senza fare nessun gesto eroico; in un certo senso Itrò obbliga D-o a darsi da fare per salvare gli ebrei. Itrò tornerà ad avere un rapporto collettivo con gli ebrei soltanto dopo che D-o li ha salvati tutti, rompendo le acque del Mar Rosso.

    3) Giobbe è l'uomo del silenzio che deve imparare ad urlare, quando riesce a comprendere in prima persona l'assurdità del dolore umano. Per il Midràsh il grido di Giobbe dopo lo svelamento della sua personale preistoria non è più un grido individuale; Giobbe ha scoperto che il suo dolore è il dolore di ogni essere umano e che il suo silenzio alla corte di Faraone è, in sostanza, la vera causa del dolore umano.

    4) Moshe deve scrivere il libro di Giobbe. Il bambino che è stato salvato per un piccolo gesto di solidarietà umana è il prototipo vivente di come gli uomini possano salvare gli uomini. L'uomo che è stato perseguitato dentro la culla-arca, e che è stato tirato fuori dalle acque, deve dire in qualche modo a D-o che l'Arca di Nòach è stata un campo di sterminio dentro e fuori il Diluvio.

    Nel Talmud è detto che Rabbì Iehudàh haNassì è stato piagato nel corpo perché non aveva capito ed aveva banalizzato la sofferenza di una mucca portata al macello. Rabbì Iehudàh ha capito, sulla sua pelle, che il libro di Giobbe collega il dolore dell'umanità con il dolore dei singoli individui, attraverso la presa di coscienza e l'assunzione di una doppia responsabilità.

    E' una coincidenza che non può essere casuale. Rabbì Iehudàh mette per iscritto la Mishnàh, contro il principio di mantenere la toràh orale nella sua forma orale, dopo il secondo massacro compiuto dai romani contro gli ebrei. La motivazione con cui Rabbì Iehudàh mette per iscritto la Mishnàh è la stessa che lui attribuisce all'autore del libro di Giobbe: protestare contro il Diluvio, annullandolo. Mentre scrive la toràh orale, Rabbì Iehudàh HaNassì continua a far parlare la toràh scritta.

    Settembre 1998 - Shalom
     
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  8. whitemirror
     
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    CITAZIONE (Aialon @ 15/12/2015, 01:46) 
    Gavriel Levi
    [......]
    Il concetto è chiaro: Bil'am, Giobbe e Itrò sono tre figure della responsabilità-solidarietà umana: quando la persecuzione è già decisa si può collaborare con i persecutori, oppure tacere, oppure rifiutarsi e fuggire.
    [......]
    Giobbe è il mezzo giusto che tace. Qualunque sia stato il suo cuore, Giobbe ha lasciato capire al Faraone di essere dalla sua parte ed è quindi incluso nella decisione della persecuzione.
    [......]
    E se Nòach avesse costruito, anche contro D-o, un'Arca per tutta l'umanità? E se Nòach non avesse costruito nessuna Arca e fosse fuggito? Perché Nòach ha taciuto prima e durante il Diluvio?
    [......]
    Rabbì Iehudàh ha capito, sulla sua pelle, che il libro di Giobbe collega il dolore dell'umanità con il dolore dei singoli individui, attraverso la presa di coscienza e l'assunzione di una doppia responsabilità.
    [......]
    E' una coincidenza che non può essere casuale. Rabbì Iehudàh mette per iscritto la Mishnàh, contro il principio di mantenere la toràh orale nella sua forma orale, dopo il secondo massacro compiuto dai romani contro gli ebrei. La motivazione con cui Rabbì Iehudàh mette per iscritto la Mishnàh è la stessa che lui attribuisce all'autore del libro di Giobbe: protestare contro il Diluvio, annullandolo. Mentre scrive la toràh orale, Rabbì Iehudàh HaNassì continua a far parlare la toràh scritta.

    Settembre 1998 - Shalom

    Questa interpretazione della storia di Giobbe intesa come una riflessione esistenziale di Mosè (suo presunto autore) è davvero singolare. Vi appare un Mosè inedito che collega il proprio vissuto (fu salvato dalle acque del Nilo proprio dalla figlia del tiranno che ne aveva decretato la morte) ai differenti atteggiamenti che gli uomini comunemente hanno di fronte al male:
    mettersi dalla parte dei persecutori, rassegnarsi e tacere, oppure fuggire.
    Ma ce ne sarebbe ancora un altro:
    opporsi al male, pur sapendo che viene da Dio, ubbidendo solo alla propria coscienza e in apparenza disubbidendo a Dio, ma (se è in ultima analisi è questo il concetto che vuole esprimere Gavriel Levi), in effetti seguendo le vie della giustizia divina che restano comunque volte verso il bene.
    E' ciò che avrebbe fatto Rabbì Iehudàh quando mise per iscritto la Torah orale contro il principio che essa dovesse rimanere per sempre orale; tuttavia, con questa sua trasgressione, la salvò dall'oblio conseguente alla diaspora degli ebrei.

    Il male che viene da Dio avrebbe pertanto una funzione per così dire evolutiva della coscienza dell'uomo: servirebbe a fargli comprendere che deve porsi verso di esso in maniera responsabile, attiva, altruista, al punto che egli deve agire per annullarlo.
    La passiva e fiscale obbedienza ai decreti divini rappresenterebbe invece la via più comoda, ma in fondo sarebbe anche quella che impedisce all'uomo di crescere interiormente.

    Se la mia lettura è corretta, devo dire che l'autore di questa tesi, Gavriel Levi, è stato influenzato da correnti di pensiero radicalmente estranee al Tanach. Egli attribuisce a Mosè (o a chi per lui) una sensibilità moderna che è frutto di secoli di pensiero e di rivoluzioni.

    Il passo di Giobbe, se proviamo a restare nell'ambito effettivo del Tanach, a me sembra in armonia con il test del sacrificio di Isacco, dove Abramo è posto come un esempio di fede senza se e senza ma; fu solo una prova di obbedienza, non di coscienza o di consapevolezza. Eppure Abramo avrebbe potuto opporsi a quel comando non per motivi egoistici – ossia per conservare in vita il suo unico figlio – ma con lo spirito di Rabbì Iehudàh, con l'intendimento, cioè, che Dio non può comandare cose che non sono degne di lui.

    All'opposto, l'uomo ideale indicato da Mosè (nella sua figura più di giurista e statista piuttosto che di filosofo esistenzialista) non deve ragionare, ma deve solo obbedire e avere fede cieca che, comunque vadano le cose, tutto quello che viene da Dio è sempre giusto.
    La storia di Giobbe sembra scritta per rafforzare questa concezione: l'uomo saggio è colui che accetta incondizionatamente il proprio destino, poiché è Dio che dà ed è sempre Dio che toglie, ma ciò non avviene per puro arbitrio della volontà divina. Pertanto, nonostante le evidenti sperequazioni nella distribuzione del bene e del male, si deve aver fede che Dio sa quello che fa.
    Chiunque sia l'autore della Torah, che fosse Mosè oppure, circa mille anni dopo, i sacerdoti in esilio a Babilonia, l'intento era di spiegare e di giustificare le anomalie determinate dalla dottrina del monoteismo assoluto. Nonché – aggiungerei – di incasellare ciascun ebreo nel sistema gerarchico del potere teocratico.
    Non è un caso che il decimo comandamento non stigmatizza qualche specifico reato, ma vieta semplicemente di desiderare le ricchezze altrui in base al postulato che: se uno possiede dei beni è perché Dio glieli ha dati, e se non ne ha è perché Dio non glieli ha dati. Pertanto le contestazioni di natura sociale, specialmente quelle volte al ribaltamento del sistema, sarebbero state una ribellione contro Dio stesso.

    Ma né il decimo comandamento né la storia di Giobbe bastarono perché i giudei potessero rispettare e, soprattutto, amare senza riserve una divinità che elargisce così caoticamente il bene ed il male. Occorrevano altre spiegazioni, e queste vennero dalle dottrine religiose di altri popoli, e credo che tracce di tale sincretismo si rivelino in diversi passi del Tanach stesso.

    Il monoteismo assoluto è comunque rimasto fino ad oggi; qualcuno può dirmi se esso è fondato su argomentazioni (diverse dall'esistenzialismo e dall'intimismo di Gavriel Levi) oppure se è solo un dogma?
    Se si tratta di un dogma, chiaramente la discussione finisce qui.

    Saluti.
     
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    dove Abramo è posto come un esempio di fede senza se e senza ma; fu solo una prova di obbedienza, non di coscienza o di consapevolezza. Eppure Abramo avrebbe potuto opporsi a quel comando non per motivi egoistici – ossia per conservare in vita il suo unico figlio – ma con lo spirito di Rabbì Iehudàh, con l'intendimento, cioè, che Dio non può comandare cose che non sono degne di lui.

    Infatti Abramo si ferma -ed è fermato- da D-o. Appunto.
     
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  10. whitemirror
     
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    CITAZIONE (LvBv1983 @ 15/12/2015, 20:34) 
    CITAZIONE (whitemirror @ 15/12/2015, 18:43) 
    dove Abramo è posto come un esempio di fede senza se e senza ma; fu solo una prova di obbedienza, non di coscienza o di consapevolezza. Eppure Abramo avrebbe potuto opporsi a quel comando non per motivi egoistici – ossia per conservare in vita il suo unico figlio – ma con lo spirito di Rabbì Iehudàh, con l'intendimento, cioè, che Dio non può comandare cose che non sono degne di lui.

    Infatti Abramo si ferma -ed è fermato- da D-o. Appunto.

    Questa tua precisazione non mi sembra esatta.
    Abramo non si ferma: altrimenti non avrebbe superato il test. Proprio perché non si è fermato, obbligando Dio a trattenere la sua mano, egli ha superato la prova di obbedienza cieca che si voleva da lui. Fosse per Abramo, il ragazzo sarebbe morto come vittima di un sacrificio umano a Dio.
    Sarebbe stato curioso se quello stesso satana che parla con Dio nel libro di Giobbe avesse messo in discussione anche le qualità di Abramo, ma non nell'aspetto relativo all'obbedienza incondizionata. Su questo terreno satana avrebbe perso la scommessa.

    Ora immaginiamo che l'ordine di sgozzare Isacco fosse venuto, anziché da Dio, da una sua forma illusoria (generata da questo satana, o da demoni, o maghi, o burloni umani, o da quello che si vuole): Abramo avrebbe capito l'inganno e si sarebbe rifiutato di obbedire?
    Nei vangeli si dice che l'albero buono lo si riconosce dai frutti che dà, e così è per l'albero cattivo, una metafora che indica quanto sia importante l'uso della perspicacia per conoscere ciò che sta dietro alle apparenze.

    Abramo non ebbe nulla da ridire quando ricevette il comando di sacrificare a Dio suo figlio, come se quell'ordine potesse normalmente provenire da Dio. In virtù della sua obbedienza, senza se e senza ma, Abramo meritò così di essere accreditato come padre della fede e del popolo eletto.
    Al contrario di lui, Mosè fece un mucchio di storie quando si sentì precettato per andare dal faraone, tanto che Dio cominciò ad irritarsi per la sua renitenza. Tuttavia Mosè possiamo umanamente comprenderlo: aveva paura di cacciarsi nella tana del lupo, e comunque egli non appare nella Bibbia come padre della fede.
    Infatti fu perfino punito, essendogli stato proibito di mettere piede nella terra promessa, e ciò a causa di un suo piccolo cedimento di fede.
    Fede e obbedienza, sarebbero quindi le qualità primarie richieste da Dio; e agli israeliti che invadevano la terra promessa e ne sterminavano i legittimi abitanti, dal canuto al lattante, non era lecito porsi dei dubbi perché essi dovevano solamente credere, obbedire, combattere.

    Saluti
     
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  11. fabio aste
     
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    Riguardo ad Abramo e il sacrificio del figlio, sentenzio:

    Richiesta cattiva, sadica e insensata (qui il rappresentante umano di D-o, sarà pur stato uomo severo di giustizia, un "guerriero", ma era da mandare a f....o! senza se e senza ma)

    Risposta di Abramo: altrettanto insensata, ruffianeria a scapito del figlio: una schifezza.
     
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    Proprio perché non si è fermato, obbligando Dio a trattenere la sua mano

    Il punto è come D-o lo abbia fermato.
    Abramo supera la prova della fede assoluta verso D-o, disposto a tutto pur di obbedire al comando, ma di mezzo c'è anche il discorso per cui Abramo stesso,,avendo comprato il terreno su cui risiede, si sente in colpa e immeritevole dell'immensa generazione che D-o gli ha promesso (su Forum Biblico c'erano un thread splendido sul tema. Ti consiglio di cercarlo, perché è davvero fonte di ispirazione etica e umana) e al tempo stesso ha superato l'altra più sottile e autentica prova di fede: Abramo conosce il suo Creatore, sa ascoltarlo e sa che il sacrificio umano è per Lui abominevole.

    In ogni caso come pensi che D-o abbia fermato Abramo? Con un vocione dal cielo? Mandando qualche tipo di puttino a tenergli il braccio?
    Io penso parlando nella sua coscienza, in quel posto dove Creatore e creatura a volte sanno incontrarsi.

    Molto di quello che c'è nel Tanakh è omiletico, svolto ad una comprensione etica dei fatti, fatto per sollevare domande più che per dare risposte.
    E' un libro di storia, ma è anche una guida al rapporto con l'altro.
    Poi si può "fare finta", vederci dentro gli alieni o solo sterili raconti di un popolo dato per ottuso dal pensiero moderno solo perché antico, magari senza ellenismo da mezzo e quindi, per l'occhio "occidentale" senza cultura.
    Quindi il Kavod diventa un UFO, Ezechiele uno sperimentatore di funghi allucinogeni o un soggetto di abduction, YHWH un alieno o un umano con manie di grandezza.

    Ed è anche giusto così, in un modo o in un altro, comunque, il Tanakh fa ancora parlare l'uomo con se stesso e, per chi ci crede, con D-o.
     
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  13. whitemirror
     
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    CITAZIONE (LvBv1983 @ 16/12/2015, 17:26) 
    In ogni caso come pensi che D-o abbia fermato Abramo? Con un vocione dal cielo? Mandando qualche tipo di puttino a tenergli il braccio?
    Io penso parlando nella sua coscienza, in quel posto dove Creatore e creatura a volte sanno incontrarsi.

    Se tutto è avvenuto nella coscienza di Abramo, se non c'era un vocione che gli parlava dal cielo, allora anche il comando di sgozzare suo figlio doveva essere partito dalla sua coscienza. Ma che importanza ha quale via Dio abbia scelto per impartire entrambi gli ordini ad Abramo (vocione dal cielo, vocina nella coscienza, telegramma, e-mail, ecc.)?
    Sta di fatto che si trattò di una prova, come rivela Dio stesso.

    CITAZIONE (LvBv1983 @ 16/12/2015, 17:26) 
    Abramo supera la prova della fede assoluta verso D-o, disposto a tutto pur di obbedire al comando, ma di mezzo c'è anche il discorso per cui Abramo stesso,,avendo comprato il terreno su cui risiede, si sente in colpa e immeritevole dell'immensa generazione che D-o gli ha promesso (su Forum Biblico c'erano un thread splendido sul tema. Ti consiglio di cercarlo, perché è davvero fonte di ispirazione etica e umana) e al tempo stesso ha superato l'altra più sottile e autentica prova di fede: Abramo conosce il suo Creatore, sa ascoltarlo e sa che il sacrificio umano è per Lui abominevole.

    Il presunto senso di colpa di Abramo per aver acquistato il terreno da Abimelec, dimentico della promessa divina che quella terra gli era stata data in dono, lo avrebbe, quindi, indotto a non considerarsi degno di tale promessa. Questa tesi l'ho già riscontrata in altre discussioni. Stando a questo assunto, Abramo avrebbe deciso di restituire il dono avuto da Dio, cioè Isacco e con questi la stirpe che ne sarebbe derivata, assassinando il ragazzo.
    Come uno psicopatico, egli si crea l'alibi mentale dicendo a se stesso che Dio gli ha ordinato un sacrificio umano, e così organizza il delitto meticolosamente (la legna, gli asini e i servi per il trasporto), poi conduce il figlio fin sul monte informandolo falsamente che deve sacrificare un capro, infine lo lega e lo mette sull'altare per sgozzarlo.
    Ma all'improvviso avviene in lui un sussulto di coscienza, e ferma la propria mano. Dio, soltanto ora, parla al suo cuore per dirgli di non commettere quel crimine, ed il cuore di Abramo lo ascolta. Ma, a questo punto, ciò che Dio gli dice non ha più senso:
    "16 «Siccome tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, l'unico tuo, 17 io ti colmerò di benedizioni." (Genesi 22:16-17, Nuova Riveduta).
    Piuttosto avrebbe dovuto dirgli: "Siccome hai ascoltato la mia voce nella tua coscienza quando ti ho detto di non commettere quel delitto mostruoso in mio onore, io ti colmerò di benedizioni."
    Ma in questo modo Abramo meriterebbe tutt'al più il titolo di "padre del ravvedimento" non già quello di "padre della fede e dell'obbedienza".

    Questa tesi offende ulteriormente la figura di Abramo dato che lo fa apparire, oltre che psicopatico, anche ottuso. Dio gli aveva solo mostrato la terra promessa, non ordinato di conquistarla, cosa indispensabile da fare dal momento che essa apparteneva già a diverse popolazioni molto numerose. E con quali truppe, poi? Quali eserciti avrebbe comandato il Dio degli eserciti? Abramo aveva a disposizione solo quei 318 schiavi, (da lui circoncisi ma che non erano suoi discendenti) con i quali aveva condotto la sua piccola guerra per liberare Lot.

    Anche Dio non ci fa una bella figura: trattandosi di una rapina a mano armata in grande stile aveva almeno bisogno di una giustificazione per poter promettere quella terra abitata da milioni di esseri umani alla stirpe di Abramo: ossia che l'iniquità degli amorrei non era ancora giunta al colmo. E così, nell'attesa che la loro malvagità crescesse quanto bastava perché facesse loro meritare il genocidio, la discendenza di Abramo avrebbe avuto la propria gestazione in quel pezzo di terra comprato dai filistei, e poi in Egitto, dove era prevista la sua schiavitù per la durata di quattrocento anni.
    Questi piani di Dio erano stati rivelati ad Abramo, il quale sapeva che lui, Sara ed Isacco – l'embrione del popolo eletto – dovevano per il momento vivere in pace con i cananei.

    CITAZIONE (LvBv1983 @ 16/12/2015, 17:26) 
    Poi si può "fare finta", vederci dentro gli alieni o solo sterili raconti di un popolo dato per ottuso dal pensiero moderno solo perché antico, magari senza ellenismo da mezzo e quindi, per l'occhio "occidentale" senza cultura.
    Quindi il Kavod diventa un UFO, Ezechiele uno sperimentatore di funghi allucinogeni o un soggetto di abduction, YHWH un alieno o un umano con manie di grandezza.

    C'è pure chi ci vuole vedere a tutti i costi un Abramo che, a causa di una colpa inesistente, è sprofondato in uno shakespeariano dubbio amletico; lo si dipinge come un uomo dilaniato da quei sensi di colpa che io ho cercato disperatamente – però invano – in Genesi 21, dove è descritto il patto con Abimelec.
    Davvero dalla Bibbia ognuno ci può cavare di tutto: gli alieni, un Mosè filosofo esistenzialista e perfino il principe di Danimarca ante litteram! :P

    Saluti
     
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    Argomenti e pure bene, niente da dire, ma non capisco come, davvero, tu non ammetta e nemmeno contempli un livello omiletico e didascalico nel Tanakh.
    È un'assurdità spaccare il versetto, senza tradizione orale e per giunta senza conoscere l'ebraico.
    Se nella tradizione orale - cerca forse su Forum Biblico - è contemplata anche la possibilità che sia stato un profeta (se ricordo bene poi punito per "aver inventato") a suggerire il sacrificio si Isacco ad Abramo, una base nel testo - come frasi retoriche, significato dei lemmi etc - magari c'è pure.
    Non posso che fidarmi io stesso, certo, non ho i mezzi per controllare di persona.
    Ma nemmeno potrei sulla base di una nuova riveduta o CEI, mettermi a distruggere non so quanta tradizione e pretendere di dare lezioni a chi legge la lingua originale.
    Secondo te perché sto studiando ebraico? Perché mi appassiona, certo, e mi appassiona la speranza di poter capire sempre piú da me stesso.

    Quando dici che dalla Bibbia si puó ricavare di tutto, è vero, c'è solo una differenza però fra gli MB ufologici e il resto.
    Sta benedetta parte orale del Tanak.
     
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    Anche la parte in cui dici che Dio "aspettava fossero corrotti abbastanza", relativamente agli Amorrei. Sovrapponi parti storiche a parti inerenti le Leggi e, su tutto, trascuri il valore didascalico, mi ripeto.

    Leggi le Mille e una Notte, Fedro, Erodoto, Dante, Virgilio, Omero, il Ramayana...
    Insomma, che li consideri tutti o nessuno ispirati da Dio non importa.
    Qui anche solo in sede linguistica pretendi una conoscenza del testo che non hai ed escludi ogni valore analogico della parola.
    Insomma: da ricominciare da capo.

    Mi viene in mente quando il colonnello della marina, in Sfera di Michael Crichton, chiede il cognome all'ipotetica creatura aliena all'interno della palla dorata...
     
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55 replies since 13/12/2015, 17:34   2117 views
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