MORALE E SOCIETA’ NEL DIRITTO EBRAICO

testo di esposizione per la giornata della cultura ebraica

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    אריאל פינטור

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    MORALE E SOCIETA’ NEL DIRITTO EBRAICO

    "Il diritto è l'insieme delle condizioni, sotto le quali, l'arbitrio di ciascuno può coesistere con l'arbitrio degli altri, secondo un principio generale di libertà"

    "Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me".

    Queste due affermazioni di Immanuel Kant sono la base filosofica della moderna concezione del diritto e della morale.

    Esse sottolineano, rispettivamente, due aspetti basilari: il diritto del singolo che mai deve urtare contro il diritto dell'altro, essendo regolato da norme e condizioni e il fatto che in ogni essere umano esiste già di per sé una coscienza innata della Morale e del Giusto.

    La morale e il diritto ebraico hanno il loro fondamento nella Torah. Tutta la Storia ebraica si è svolta secondo precise direttive che, dalla loro elargizione sul monte Sinai, sono tutt'oggi valide. Questa validità deve essere intesa, dal mondo occidentale, sulla base di un criterio non chiaro ai più: la Torah è, per il credente, un libro di religione, ma è innanzitutto il Libro della Storia e della Legislazione del popolo ebraico. Solo comprendendo questo concetto, è possibile capire come ciò che è percepito, comunemente, come precetto religioso è in realtà una legge di Nazione e come, nel corso dei millenni, questa legislazione, trasmessa fedelmente di generazione in generazione, abbia formato una Morale di Popolo ed un senso della società del tutto peculiari e, molto spesso, "rivoluzionari" rispetto ad altri popoli, giunti solo in epoche relativamente recenti a determinate conclusioni e determinate conquiste.
    È vero che questa legislazione è prerogativa esclusiva del popolo d'Israele e che gli stessi dieci comandamenti sono stati dati esclusivamente ad Israele sul Sinai, ma è anche vero che la Torah, divenuta nei secoli successivi abbastanza accessibile agli altri popoli, è stata fonte di ispirazione e di riflessione per tutta l'umanità, pur con i limiti dovuti alle traduzioni dall'ebraico, con i relativi errori, in buona o cattiva fede.
    Il testo biblico, in numerosi passaggi, sottolinea alcuni principi, d eccezionale "modernità" e di attualità stupefacente, in un testo antico di 3000 anni, in un’epoca dove la vita apparteneva ai vincenti e dove la schiavitù era la regola, in un mondo fondato sulla forza e sulla gloria del vincitore, senza nessun posto per la pietà e per il debole:
    - La necessità di istituire tribunali
    - L'esigenza di una giustizia, non solo "giusta", ma rapida ed efficiente,
    - il rispetto dello straniero che risiede in mezzo al popolo d'Israele
    - La difesa delle categorie deboli: anziano, vedova, orfano
    - Il concetto di Tzedaká, non solo come mera benevolenza e concessione caritatevole, ma come obbligo di "Giustizia" (Tzedek) ed equità sociale.

    Questi concetti hanno da sempre informato la mentalità e sono alla base della società ebraica, non soltanto dell'ebreo religioso ed osservante, ma anche del laico.

    La Torah quindi, non perde il suo immenso valore, sia che la si voglia considerare da un punto di vista religioso, sia che la si voglia affrontare con occhio completamente laico.
    Proprio perché Testo di Storia e di Leggi, resta la base del diritto anche nella moderna società ebraica ed israeliana.


    La necessità di istituire tribunali
    La società, ha sempre necessitato di regole, di norme che regolassero le relazioni tra individui e, per quanto possano esistere differenze, in relazione a usi, abitudini, mentalità, tradizioni, condizioni ed eventi storici, esistono dei principi universali, delle esigenze e dei modi di sentire sia la morale che il diritto, comuni a tutti i popoli e a tutte le epoche.
    Nella Torah, l’obbligo di istituire tribunali è stato il primo precetto imposto ad Israele nel momento in cui diveniva Popolo, all’uscita dall’Egitto, nella località chiamata “Maràh”

    Anche il suocero di Mosè, Itrò, che la Torah definisce “Cohen Midian” (cioè Sacerdote di Midian, quindi Legislatore dei Gentili), sente l’obbligo di consigliare a Mosè la nomina di “uomini capaci che temano Dio: degli uomini fidati, che detestino il lucro iniquo; e stabiliti sul popolo come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di diecine”.

    (Esodo 18-14)
    18 Tu ti esaurirai certamente: tu e
    questo popolo ch'è teco; poiché
    quest'affare è troppo grave per te; tu
    non puoi bastarvi da te solo.
    20 Insegna loro gli ordini e le leggi, e
    21 ma scegli fra tutto il popolo degli
    uomini capaci che temano Dio: degli
    uomini fidati, che detestino il lucro
    iniquo; e stabiliscili sul popolo come
    capi di migliaia, capi di centinaia, capi
    di cinquantine e capi di diecine;
    22 e rendano essi ragione al popolo in
    ogni tempo; e riferiscano a te ogni
    affare di grande importanza

    Con questa affermazione si comprende già la necessità di una giustizia capillare, con un numero di Giudici adeguato al numero dei cittadini. A parte l’ovvia ( ma nemmeno tanto ovvia) necessità che si tratti di individui non sensibili al lucro, quindi immuni dalla possibilità di corruzione, appare già chiara l’esigenza che le questioni ordinarie debbano essere già filtrate ed amministrate da una struttura gerarchica progressiva per diverse competenze e difficoltà di giudizio e che alle alte sfere del potere giudiziario, debbano giungere solo i casi che realmente richiedano maggiore esperienza ed attenzione, per delicatezza, complessità o gravità.

    Successivamente nei Libri dell’Esodo e del Deuteronomio vengono precisate le caratteristiche di una giustizia equa

    Esodo 23-1,8
    “Non spargere alcuna voce calunniosa
    e non tener di mano all'empio
    nell'attestare il falso.

    Non andar dietro alla folla per fare il
    male; e non deporre in giudizio
    schierandoti dalla parte dei più per
    pervertire la giustizia.

    Parimenti non favorire il povero nel
    suo processo.

    Non violare il diritto del povero del
    tuo popolo nel suo processo

    Rifuggi da ogni parola bugiarda; e non
    far morire l'innocente e il giusto; perché
    io non assolverò il malvagio

    Non accettar presenti; perché il
    presente acceca quelli che ci vedono
    chiaro, e perverte le parole dei giusti

    Concetti ribaditi energicamente anche in:
    Deuteronomio 16-18.20

    18 Stabilisciti de' giudici e dei magistrati
    in tutte le città che l'Eterno, il tuo Dio,
    ti dà, tribù per tribù; ed essi
    giudicheranno il popolo con giusti
    giudizi.
    19 Non pervertirai il diritto, non avrai
    riguardi personali, e non accetterai
    donativi, perché il donativo acceca gli
    occhi de' savi e corrompe le parole de'
    giusti.

    non devierai da
    quello che t'avranno insegnato, né a
    destra né a sinistra.

    Soprattutto il Re che è il primo tra i cittadini, doveva condurre una vita sobria, essere irreprensibile e giusto.
    Aveva inoltre l’obbligo di scrivere personalmente un Libro della Torah e di averlo sempre accanto a sé, nelle sue funzioni.

    Deuteronomio 17
    16 Però, non abbia egli gran numero di
    cavalli, E neppure abbia gran numero di
    mogli, affinché il suo cuore non si svii;
    e neppure abbia gran quantità
    d'argento e d'oro.
    18 E quando s'insedierà sul suo trono
    reale, scriverà per suo uso in un libro,
    una copia di questa legge secondo
    l'esemplare dei sacerdoti levitici.
    19 E terrà il libro presso di sé, e vi
    leggerà dentro tutti i giorni della sua
    vita
    20 affinché il cuor suo non si elevi al
    disopra de' suoi fratelli, ed egli non
    devii da questi comandamenti né a
    destra né a sinistra


    Il senso della Giustizia e la necessità di amministrarla correttamente ed equamente si riflettono ampiamente in una concezione sociale che vedeva al primo posto la difesa delle categorie deboli, le più vulnerabili: lo straniero, la vedova e l’orfano.


    Il rispetto dello straniero
    Non potrebbe essere altrimenti: Israele stesso è stato straniero. Già prima dell’affermazione chiara “Rispetta lo straniero, perché siete stati stranieri nel paese d’Egitto”, il concetto di ospitalità e di accoglienza dello straniero sono sottolineati. il Patriarca Abramo accolse con tutti gli onori i tre ospiti che gli predissero la futura paternità, gli stessi personaggi che si diressero a Sodoma , il cui abominio, punito con la distruzione, fu anche il venire meno al rispetto degli ospiti stranieri, (accolti invece da Lot).
    Abramo fu straniero, dapprima in Canaan e poi in Egitto, temendo per la sua vita. I suoi discendenti furono stranieri e schiavi.

    Lo stesso popolo che uscì dalla schiavitù non era altro che una massa di stranieri che assursero a dignità di Popolo solo dopo che fu elargita loro una Legislazione di Nazione.
    E’ scritto che quando Tzippora partorì un figlio a Mosè “ella partorì un figlio ed egli lo chiamò Ghersom (da gher = straniero “sham” in quel luogo lì) perché diceva sono un emigrato in terra straniera” (Es 2,22; cfr. Es 18,3).
    La stessa nonna di Re David, il più grande dei Re d’Israele, Ruth la Moabita, era una straniera.

    Israele, nel corso dei millenni, ha dovuto ripetutamente e dolorosamente conoscere la condizione dell’essere straniero: la prima deportazione a Babilonia (586 a.e.v) e la seconda del 70 p.e.v. che dura tutt’oggi

    Lo straniero quindi, nel diritto ebraico va accolto, rispettato e onorato.
    Lo straniero che risiedeva presso gli Ebrei poteva essere un generico residente transitorio, per varie ragioni di commercio o altro e, come tale, non soggetto agli obblighi della legislazione del tribunale ebraico, essendo soggetto alle Leggi di Noah e al “din Melech,” cioè al giudizio del Re (gher toshav). Poteva, diversamente, essere uno straniero che sceglieva di integrarsi nel popolo d’Israel e, come tale, cadeva sotto la legislazione israelita e a tutti i precetti, come ogni ebreo (gher Tzedeq). (Gher da “lagur”: risiedere, abitare)

    lo straniero residente, che non appartiene al popolo per nascita ma risiede a lungo, presso di lui ha una protezione “giuridica” che ha un fondamento scritturale. Il Libro dell’Esodo, lo sancisce con chiarezza:

    “ Non maltratterai lo straniero né l’opprimerai, perché voi siete stati stranieri nel paese d’Egitto” (Esodo 22,20)

    Questo avvertimento, di non maltrattare lo straniero, è ripetuto ben 39 volte nella Toraàh, come 39 sono gli obblighi dell’osservanza dello Shabbat.

    e il libro del Deuteronomio lo sottolinea ancora.

    “Amate dunque lo straniero, poiché
    anche voi foste stranieri nel paese
    d'Egitto”. (Deuteronomio 10-19)”

    “…che fa giustizia all'orfano e alla
    vedova, che ama lo straniero e gli dà
    pane e vestito” (Deuteronomio 10-18)

    Collegata al rispetto dello straniero, è la salvaguardia delle due categorie più deboli per definizione: l’orfano e la vedova, cioè di quelle persone che possono avere una reale difficoltà alla sopravvivenza, laddove non ci sia più un capofamiglia valido, in grado di procurare il sostentamento., proprio analogamente allo straniero che, integrandosi nel Popolo d’Israel, viene a perdere la protezione paterna che possedeva quando faceva parte di un altro popolo

    (Esodo 20-21,.22)
    “Non affliggerete alcuna vedova, né
    alcun orfano.
    Se in qualche modo li affliggi, ed essi
    gridano a me, io udrò senza dubbio il
    loro grido”

    E tra i meriti di Giobbe si legge:
    “Io liberavo l’afflitto che invocava aiuto, e l’orfano di padre e chiunque non avesse soccorritore”. (Giobbe 29:12).


    Un cenno a parte merita il concetto del riposo settimanale.
    È vero che l’osservanza del Sabato è un precetto esclusivo del Popolo d’Israele ma, dopo lo specifico comandamento dato sul Sinai, dove già l’obbligo del riposo è esteso al servo e all’animale da lavoro

    (Esodo 20-8,9)
    “Lavora sei giorni e fa' in essi ogni
    opera tua;
    ma il settimo è giorno di riposo, sacro
    all'Eterno, ch'è l'Iddio tuo; non fare in
    esso lavoro alcuno, né tu, né il tuo
    figliuolo, né la tua figliuola, né il tuo
    servo, né la tua serva, né il tuo
    bestiame, né il forestiero ch'è dentro
    alle tue porte

    Successivamente, La Torah ritorna sull’argomento, insistendo sulla necessità del riposo settimanale, citando specificamente gli animali da lavoro, i lavoratori e lo straniero, affinché possano “riprendere fiato”.

    Esodo 23-11,12
    Per sei giorni farai il tuo lavoro; ma il
    settimo giorno ti riposerai, affinché il
    tuo bue e il tuo asino possano
    riposarsi, e il figliuolo della tua serva e
    il forestiero possano riprender fiato.

    Un concetto rivoluzionario, in un’epoca nella quale la vita di un servo o di uno schiavo non valeva nulla e, meno ancora, la vita dell’animale da lavoro.
    Questa concezione sociale era scritta nella Legge ebraica 3000 anni prima che l’occidente conoscesse le prime rivendicazioni dei diritti dei lavoratori, non a caso grazie ad un ebreo di Nome Karl Marx



    Il sostentamento di poveri, che possano usufruire dei frutti della terra, liberamente, è sancito ripetutamente, sia per tutto il corso del settimo anno (riposo della terra: “shemitat haaretz”), sia normalmente, con la raccolta dei prodotti ai margini del campo.

    Esodo 23-10,11
    “Per sei anni seminerai la tua terra e
    ne raccoglierai i frutti;
    ma il settimo anno la lascerai
    riposare e rimanere incolta; i poveri del
    tuo popolo ne godranno

    Levitico 19:9-10
    “Quando mieterete la raccolta della vostra terra, non mieterai fino all'ultimo angolo il tuo campo, e non raccoglierai ciò che resta da spigolare della tua raccolta; nella tua vigna non coglierai i grappoli rimasti, né raccoglierai gli acini caduti; li lascerai per il povero e per lo straniero”

    Deuteronomio24-20,21
    “Quando scuoterai i tuoi ulivi, non tornerai per ripassare i rami. Le olive rimaste saranno per lo straniero, per l'orfano e per la vedova.
    Quando vendemmierai la tua vigna, non ripasserai a coglierne i grappoli rimasti; saranno per lo straniero, per l'orfano e per la vedova”.


    Allo stesso modo, è fatto obbligo il versamento della decima, affinché possano essere sostenuti sia gli addetti al servizio del Tempio, i Leviti, sia le categorie socialmente deboli:

    Deuteronomio 26-12,13
    “Quando avrai finito di prelevare tutte le decime delle tue entrate, il terzo anno, l'anno delle decime, e le avrai date al Levita, allo straniero, all'orfano e alla vedova perché ne mangino entro le tue città e siano saziati”

    Tzedakà
    Letteralmente significa Giustizia ma viene comunemente ma impropriamente usata per significare Carità.. (Tzedeq è “giustizia” e “Tzaddiq” è “Il Giusto”) Il suo significato è quindi, Giustizia Sociale.
    La radice del termine “Tzedeq”, non indica quindi una benevola, pietosa e paternalistica elargizione, ma un preciso dovere di giustizia ed equità sociale che diventa un vero e proprio diritto per il beneficiario, che non deve in nessun modo sentirsi umiliato dalla propria condizione di necessità.

    Secondo l'Halakhah (La Legge ebraica) è obbligatorio elargire il 10% del guadagno al netto delle spese necessarie.
    Secondo un' ulteriore opinione, la Tzedaqah è quella parte offerta ai bisognosi come spettante loro di diritto. Infatti, la parte offerta viene considerata come appartenente al ricevente, a priori, tanto che il donatore può essere considerato solo come il tramite della parte che Dio ha destinato loro, questo pur riconoscendo al benefattore, grande merito e causa di redenzione.

    Tzedaqah si riferisce all'obbligo religioso e sociale di fare ciò che è bene e giusto, che per l'ebraismo sono parti importanti della vita spirituale.
    Maimonide asserisce che, mentre la seconda forma più alta di Tzedaqah è di fare donazioni anonime a favore di destinatari sconosciuti, la forma veramente più alta è quella di fare donazioni, prestiti (obbligatoriamente senza nessun interesse) o società che rendano i destinatari indipendenti dal bisogno, piuttosto che chiedere beneficenza. A differenza della filantropia o carità generica, che sono completamente volontarie, la Tzedaqah è un obbligo religioso e sociale che deve essere effettuato indipendentemente dalla propria situazione finanziaria, anche se si è poveri, a seconda delle proprie possibilità, anche minime. Mentre la Tzedaqà è obbligatoria per tutti, per la decima il povero è esentato.

    Maimonide elenca i suoi Otto Livelli del Dare, come li descrive nella Mishneh Torah, Hilkhot matanot aniyim ("Leggi sul Dare ai Poveri"), Cap. 10:7-14:
    1. Dare un prestito ad una persona bisognosa; formare una società con una persona bisognosa; dare una sovvenzione ad una persona bisognosa; trovare un lavoro ad una persona bisognosa; a condizione che prestito, sovvenzione, associazione o lavoro permettano a quella persona di non vivere più dipendendo economicamente unicamente dagli altri.
    2. Dare Tzedaqah anonimamente, tramite una persona (o fondo pubblico) che sia affidabile, saggia e che possa compiere atti di Tzedaqah con il denaro affidatole in modo impeccabile.
    3. Dare Tzedaqah anonimamente ad un destinatario conosciuto.
    4. Dare Tzedaqah anonimamente ad un destinatario sconosciuto.
    5. Dare Tzedaqah prima che venga richiesta
    6. Dare adeguatamente quando viene richiesta.
    7. Dare volontariamente ma inadeguatamente.
    8. Dare "con tristezza" . Con questa espressione, Maimonide si riferisce al dare con un senso di tristezza/commiserazione dovuta alla condizione del povero e del bisognoso.
    E’ opportuno, nel compimento di questo obbligo di Giustizia, non guardare il volto di chi riceve, nel momento esatto in cui si offre la propria Tzedaqah, per evitare di creare imbarazzo ed umiliazione.
    La Tzedaqah è quindi considerata una tra le Mitzvot (precetti) più importanti, in quanto segno di sostegno degli individui per il proprio prossimo, non esclusivamente in senso materiale: la tradizione ebraica la considera necessaria ed obbligatoria per gli Ebrei ma ne sottolinea l' enorme importanza anche per quella destinata ad i non-ebrei, essendo motivo di merito e segno di bontà d’animo.
    Tutti possono infatti notare, come, in caso di catastrofi naturali, tra i primi aiuti di solidarietà, figurano quelli israeliani.
     
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    Grazie Negev
     
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    Grazie mille Negev

    Davvero interessante

    Rinnovo l’invito a postare l’intera conferenza qualora vi fosse una registrazione, convinto sia altrettanto interessante.

    A.
     
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    Sono arrivato più o meno a metà , e qui noto

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    non accetterai
    donativi, perché il donativo acceca gli
    occhi

    In sostanza CORRUZIONE , e già 2-3 mila anni fa ..
     
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    Scommetto anche ben prima :lol:, il "nonno" era già birichino come si deve
     
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