Morte di un ebreo

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. Ayalon
     
    .
    Avatar

    אילון

    Group
    Member
    Posts
    8,113

    Status
    Anonymous
    Responsabilità del Popolo Ebraico nel processo romano

    Per stabilire la responsabilità del popolo ebraico nel processo romano, nella sentenza di morte romana, nel supplizio romano, occorre attribuire a certi testi evangelici un valore storico che in questo caso è particolarmente contestabile; bisogna sorvolare sulle loro divergenze, le loro inverosimiglianze: bisogna dare a questi testi un'interpretazione che, pur essendo tradizionale, non è per questo meno tendenziosa e arbitraria.
    Facciamo il punto, prima di entrare nel pretorio, residenza e tribunale del procuratore.
    L'improvvisa cattura di Gesù, la sua comparsa immediata davanti alle autorità ebraiche, hanno avuto luogo in piena notte e all'alba. Sappiamo il perché; gli evangelisti lo hanno detto: per paura del popolo.
    E sappiamo anche perché le autorità avevano paura del popolo, perché, a Gerusalemme stessa, la parola di Gesù aveva conquistato il popolo: «Tutto il popolo era ammirato del suo insegnamento» (Marco, XI, 18); «La folla lo riteneva un profeta» (Matteo, XXI, 46); «Tutto il popolo, ascoltandolo, pendeva dalle sue labbra» (Luca, XIX, 48); «Se noi lo lasciamo così, tutti crederanno in lui» (Giovanni, XI, 48).
    Ma ecco che Gesù viene arrestato, dalle guardie ebraiche o dai soldati romani o da entrambi insieme. I suoi fedeli compagni - gli Undici - fuggono, ad eccezione di Pietro (secondo i Sinottici), di Pietro e Giovanni (secondo Giovanni). Persino Pietro - Simone, detto Cela, ossia la pietra - ha rinnegato per tre volte il suo Maestro. Abbandonato dai suoi, Gesù resta solo, in potere dei suoi nemici che lo consegnano ai Romani, senza che ci venga spiegato il perché, salvo in seguito in Giovanni, XVIII, 31.
    Non dimentichiamo che l'avvenimento ha luogo un 15 Nisan secondo i Sinottici, primo giorno di Pasqua, o un 14 Nisan secondo il quarto Vangelo, vigilia di Pasqua. In ogni caso, sia il primo giorno di Pasqua, sia la vigilia, tutti gli Ebrei pii, e a maggior ragione i sacerdoti ed i sommi sacerdoti, devono essere dedicati alla celebrazione o alla preparazione della festa; la trasgressione era un sacrilegio. A questo riguardo la tradizione era assoluta: nessun processo, ancora meno una condanna capitale, il giorno del sabato o un giorno di festa; nessun processo, nessuna condanna capitale, la vigilia del sabato o d'una festa. I sacerdoti, i notabili di Israele, accaniti contro Gesù, di giorno e di notte, un 14 oppure un 15 Nisan, hanno manifestato un disprezzo incredibile per le usanze più rispettate.
    In quelle poche ore della notte e del primo mattino, che vanno dalla cattura di Gesù alla sua comparizione davanti a Pilato, che sappiamo di quanto è avvenuto nella città, di quanto è stato detto, conosciuto, manifestato dagli uni e dagli altri, le masse popolari, i notabili ebrei? Nulla, assolutamente nulla ci è consentito di sapere. Tutto quel che si è scritto su questo argomento non è che un'ipotesi senza fondamento, immaginazione, letteratura. È trapelata la notizia dell'arresto di Gesù? Non è impossibile: in un tale brulichio di popolo il minimo rumore circola - e anche si altera - facilmente. L'inverosimile sarebbe che il popolo sia venuto a conoscenza delle dichiarazioni fatte da Gesù ai suoi giudici (come è detto nei Sinottici; nel Vangelo di Giovanni Gesù si rifiuta di rispondere), e che abbia conosciuto le sue rivendicazioni sovrane, giudicate blasfeme. Ne vedo una prova nei sarcasmi che i passanti rivolgono al Crocifisso: «Ehi, tu che distruggi il Tempio e lo ricostruisci in tre giorni …» (Marco, XV, 29). Ecco dunque ciò che si andava vociferando per la città. Ed è pure inverosimile che, da un giorno all'altro, i sentimenti di ammirazione e di amore della folla si siano trasformati in odio mortale, al punto da ignorare ogni sentimento di pietà, da unirsi agli odiati pagani ed ai loro accoliti ebrei per infierire su Gesù.
    Che per il fatto della cattura e della consegna di Gesù ai Romani il suo prestigio sia improvvisamente diminuito, forse anche dileguato di colpo, è possibile. Ricordiamoci della gloriosa profezia messianica: «Con il soffio delle sue labbra farà perire il malvagio … ». Ohimè! Invece di quella gloria, di quel potere, di quella sacra invincibilità, quale disfatta rovinosa! Quanto più grandiosa era stata la speranza che la gente pia e amante della patria aveva riposto in Gesù, quel profeta affascinante di cui alcuni cominciavano a mormorare che sarebbe stato il Messia, il «liberatore d'Israele », tanto più amaro e profondo dovette essere il suo disinganno, quando lo seppe debole, rovinato, vinto senza resistenza, consegnato come un malfattore nelle mani dell'occupante, dell'odioso e impuro pagano. Non era questo lo stato d'animo disperato dei suoi stessi discepoli?
    Ma da questo a far causa comune con il pagano, a strappargli la condanna dell'Ebreo, a urlare « a morte» con il servidorame di Anna e Caifa, esisteva un abisso incolmabile.
    Il fatto è che quando Gesù, legato, verso il mattino, « probabilmente verso le sei», fu consegnato a Pilato dalle autorità ebraiche, la folla non appare in nessuno dei racconti evangelici: «Misero in catene Gesù, lo condussero e lo consegnarono a Pilato» (Marco, XV, 1); «Poi, messolo in catene, lo condussero e lo consegnarono al governatore Pilato» (Matteo, XXVII, 2); « Tutta l'assemblea si alzò, lo condussero da Pilato» (Luca, XXIII, 1 ); «Allora condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio» (Giovanni, XVIII, 28).
    Ma la folla appare nel Vangelo apocrifo di Giovanni Papini: « E i capi sacerdoti, gli scribi e gli anziani, seguiti dalle guardie che tiran Gesù con la fune, e dall'orda vociferante che ingrossa lungo la strada, si avviano verso il palazzo del Procuratore» (Storia di Cristo, ed. cit., p. 413). « L'orda vociferante » dava.un certo effetto nella scena, così Papini l'ha inventata.
    Ed ecco una parafrasi di Claudel, che pur essendo ad un livello superiore di quella di Papini, non è per questo meno tendenziosa: «Si tratta di una consegna legale e pagata ad un prezzo stabilito ... di un Cristo maturo, perfetto, pubblico, controllato, affermato, il peso è esatto, tutte le clausole del contratto sono rispettate. E questo Cristo verificato la Sinagoga, a mezzo del suo sommo sacerdote, dichiara solennemente di non volere, dichiara che non esiste per lei, che è incomparabile con le sue possibilità e lo consegna all'Universo, nella persona di Ponzio Pilato, il procuratore dell'Impero romano. Ecco dunque Gesù dall'Ebraismo consegnato all'Universo ... ».
    «Gesù dall'Ebraismo consegnato all'Universo »:
    simbolismo storico, caro a Léon Bloy. Ma Caifa non è l'Ebraismo, e Pilato non è l'Universo. Mettiamo anche noi le maiuscole e diciamo:
    «Gesù consegnato dal Sacerdozio, dal Denaro, dall'Orgoglio dottorale alla Forza occupante»; il che non è meno simbolico e d'un simbolismo più vero.
    Dal momento in cui Gesù viene consegnato ai Romani, Ponzio Pilato diventa il personaggio di primo piano. Nessuno può contestare che, a quel momento, la sorte e la vita di Gesù siano state in suo potere. Tutto dipende dalla decisione che egli prenderà, lui il padrone della Giudea. Sarà dunque necessario procedere a una inchiesta su questo personaggio che è conosciuto dalla Storia e non solo attraverso i Vangeli.
    Negli anni 29 o 30 in cui si colloca generalmente la Passione, Ponzio Pilato, cavaliere romano, già da quattro anni (dal 26) aveva avuto dall'imperatore Tiberio l'importante carica di procuratore o governatore della Giudea. Ne consegue, con ogni probabilità, che Gesù non doveva essergli del tutto sconosciuto, soprattutto se si ammette che una parte della predicazione del Vangelo si era svolta a Gerusalemme ed in Giudea.
    Lasciando da parte per il momento il processo a Gesù, non si può dare un giudizio su Ponzio Pilato, come amministratore e come uomo, se non fondandoci su alcuni episodi, cinque in tutto, riferiti da Giuseppe Flavio, da Filone e da Luca l'evangelista, dei quali episodi l'ultimo solo può essere datato con sicurezza « dopo dieci anni di soggiorno in Giudea », cioè dell'anno 36, poco prima che l'imperatore Tiberio morisse, nel 37.
    Il primo di questi episodi - il fatto delle insegne con l'effigie di Cesare - risale indubbiamente all'entrata in carica di Ponzio Pilato. Urtando il sentimento religioso più profondamente radicato nell'anima ebraica, l'orrore dell'idolatria, Pilato di nottetempo fece introdurre a Gerusalemme delle insegne con l'effigie di Cesare, del dio Cesare. Effetto immediato, la sommossa. « Gli Ebrei si sollevarono a Cesarea attorno a Pilato, supplicandolo di ritirare le insegne da Gerusalemme e di conservare le leggi dei loro antenati. Poiché Pilato opponeva un rifiuto, gli Ebrei si coricarono per terra intorno alla sua casa e vi restarono per cinque giorni e cinque notti. Trascorsi i quali, Pilato sedette dinanzi al suo tribunale nel grande stadio e convocò il popolo col pretesto di dargli una risposta; poi diede ai soldati armati il segnale di circondare gli Ebrei. Quando costoro videro la truppa stretta intorno a loro, in tre file, non levarono un grido davanti allo spettacolo imprevisto. Pilato, dopo aver dichiarato che se gli Ebrei non accettavano l'effigie di Cesare, li avrebbe fatti sgozzare, ordinò ai soldati di sfoderare le spade. Ma gli Ebrei, di comune accordo, si gettarono a terra in file compatte e tesero il collo dichiarandosi pronti a morire piuttosto che a violare la Legge. Stupito di fronte ad uno zelo religioso così ardente, Pilato ordinò di ritirare le insegne da Gerusalemme» (Giuseppe Flavio, Guerra giudaica, II, 9, 2, 169-174).




    Secondo episodio, seconda sommossa, finita peggio per gli Ebrei: la sottrazione del Tesoro sacro a favore d'un'impresa di lavori pubblici. «Qualche tempo dopo », narra ancora Giuseppe Flavio, « provocò una nuova sommossa dando fondo, per la costruzione di un acquedotto, al tesoro sacro detto Korbanas ... A questa notizia il popolo si sdegnò; gridando si dispose attorno al tribunale di Pilato che, in quel momento, si trovava a Gerusalemme. Egli, prevedendo il tumulto, aveva preso la precauzione di mescolare alla gente un gran numero di soldati armati, travestiti con abiti civili, e, pur proibendo l'uso delle armi, ordinò di colpire i manifestanti con bastoni. Dall'alto del tribunale egli diede il segnale convenuto. Molti Ebrei morirono, alcuni sotto le bastonate, altri schiacciandosi a vicenda nella ressa della fuga. La moltitudine, atterrita da questo massacro, fu ridotta al silenzio» (Ibid., II, 9, 2, 175-177) 5.
    Terzo episodio, al quale Luca, XIII, 1, allude: un massacro di Galilei ordinato da Pilato: «In quel medesimo tempo si presentarono a lui (a Gesù) alcuni per raccontargli di certi Galilei il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici ». Il P. Lagrange interpreta l'episodio nel modo seguente: «Alcuni Galilei, essendo venuti a Gerusalemme a compiere sacrifici, avevano causato indubbiamente dei disordini, tosto repressi dalla guarnigione romana ... Se le ragioni precise di questo scontro ci sfuggono, non è imprudente ricollegarlo ai movimenti insurrezionali più o meno congiunti a idee messianiche », movimenti di cui la Galilea era il focolaio principale. Può darsi che Barabba, che sarà nominato nel corso del processo, sia stato appunto uno di questi agitatori. E non è inutile sottolineare che questo massacro ebbe luogo al tempo della predicazione di Gesù, senza dubbio popo prima della Passione.
    Meglio conosciuto per l'esistenza di una lettera di Erode Agrippa all'imperatore Caio (Caligola) - citata da Filone d'Alessandria - è l'episodio degli scudi d'oro. Si tratta questa volta di onoranze divine rese dal procuratore romano a Tiberio nella città stessa di Gerusalemme: «Pilato consacra in Gerusalemme, nel palazzo di Erode, degli scudi d'oro, non tanto per onorare Tiberio, quanto per far dispetto al popolò ... Essendosi diffusa la notizia di quest'avvenimento, il popolo si riunì e mandò al procuratore una deputazione rappresentata dai quattro figli del re ... Alle loro preghiere Pilato oppose un rifiuto inflessibile, perché il suo carattere era rigido e testardo. Allora si levarono delle grida ... : Noi manderemo dei delegati a portare una supplica al signore (l'imperatore Tiberio). Queste ultime parole accrebbero l'irritazione di Pilato più di ogni altra cosa. Egli ebbe paura che, mandando dei delegati all'imperatore, si venissero a scoprire gli altri misfatti della sua amministrazione, le vessazioni, le rapine, le ingiustizie, gli oltraggi, i cittadini che aveva mandato a morte senza processo, in fine tutta la sua insopportabile crudeltà. Colpito nel vivo, Pilato non sapeva a qual partito appigliarsi; non osava togliere gli oggetti consacrati e non voleva compiacere ai suoi sudditi ... » (Filone, Ambasceria a Caio, 38). L'imperatore, informato dell'incidente, si dice mandasse una nota di biasimo a Pilato, con l'ordine di ritirare da Gerusalemme gli scudi d'oro che furono consacrati a Cesarea, nel tempio di Augusto.
    L'ultimo episodio, il più sanguinoso, è quello di Garizim, la montagna sacra dei Samaritani. Un certo agitatore, o pseudo-profeta, aveva riunito ai piedi della montagna una folla armata, facendole intravedere un miracolo (il ritrovamento dei vasi sacri sotterrati da Mosè). « Pilato si affrettò ad occupare in precedenza la strada attraverso la quale la folla avrebbe dovuto salire mandandovi fanti e cavalieri; questi piombarono sulla gente ammassata nel villaggio di Tirathana, uccidendo gli uni nella mischia, altri mettendo in fuga; dei molti prigionieri i più importanti furono messi a morte da Pilato, e la stessa sorte toccò a molti dei fuggiaschi» (Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, XVIII, 4, 1-2, 85-89). Dopo di che una protesta fu presentata al governatore della Siria, Vitellio, dal Consiglio di Samaria, spiegando che «non era per ribellarsi ai Romani che si erano riuniti a Tirathana, ma per sfuggire alla violenza di Pilato ». La vicenda finì male per Pilato che ricevette l'ordine di andare a Roma per giustificarsi (nel 36). Non tornò e, secondo Eusebio, finì col suicidio. Filone lo colloca nel numero dei persecutori degli Ebrei puniti da Dio con una morte violenta.
    Nessuno dei testi citati è favorevole a Pilato. Per cui, da parte degli ortodossi, il tentativo di minimizzarli.
    Il P. Lagrange scrive: «Queste testimonianze ebraiche riflettono un « nazionalismo esasperato », e Daniel Rops, di rimando: « un nazionalismo fanatico ». « Pilato non amava gli Ebrei ma si comportò con loro come un rigido amministratore, non come uomo crudele e rapace». Che ne sanno? È uno spingersi lontano (senza prove) e dare a Filone, a Giuseppe Flavio, ed anche all'evangelista Luca, una smentita che non s'appoggia su nulla se non sulla volontà esplicita di rendere verosimile l'inverosimile Pilato della tradizione evangelica.
    È ben vero che Filone e Giuseppe Flavio sono scrittori ebrei e che le loro testimonianze sono testimonianze di accusa che non si possono accettare senza riserve, ma che non si possono neppure respingere senza una seria ragione, perché questi autori che non sono disprezzabili (san Girolamo non chiamava Giuseppe Flavio il «Tito Livio greco »?), che non sono dei «fanatici» (il P. La grange concede altrove a Giuseppe «un'imparzialità abbastanza leale »), hanno attinto generalmente le loro informazioni ad una fonte sicura. Luca, il terzo evangelista, di cui non si può dire che sia un autore ebreo né un testimone a carico (contro Pilato), è d'accordo con loro. Il richiamo di Pilato non è certo un fatto inventato, e se questo alto funzionario ha lasciato tra i suoi amministrati una fama sinistra, ci devono essere state delle serie ragioni.
    Chi vuol tentare di abbozzare un ritratto del troppo illustre procuratore ha dunque il diritto di valersi dei testi citati, ma a condizione di usarne con prudenza. « Pilato non amava gli Ebrei », dice con ragione il P. Lagrange; egli si compiaceva di schernirli, di ferirli soprattutto nelle loro convinzioni religiose, tanto più irritanti ai suoi occhi, in quanto gli erano perfettamente incomprensibili, come accadeva a tanti altri pagani, Romani e Greci, il cui scettico umanesimo aborriva l'esclusivismo ebraico, la suscettibilità esacerbata di quella fede ardente e intollerante. Era questa l'origine permanente dell'antisemitismo pagano (almeno ad un certo livello culturale e sociale): Pilato era antisemita. Per il resto, era un amministratore di polso, partigiano della maniera forte, vigilante, astuto, caparbio e duro, pronto a versare il sangue - il sangue ebraico - per reprimere o prevenire ogni agitazione, anche religiosa, anzi, soprattutto religiosa (in quei paesi della Giudea e della Samaria poteva esserci un'agitazione che non fosse religiosa? E peggio ancora nella vicina Galilea, presso Erode, - nulla di buono c'era da aspettarsi da un Galileo). Circa le iniquità, gli abusi, le rapine di cui parla Filone non possiamo dir nulla, né per ammetterli né per negarli, ma sappiamo ch'erano d'uso corrente. Quanto poi alla « insopportabile crudeltà» del procuratore, essa sembra sufficientemente dimostrata dal fatto che su cinque episodi che si conoscono del suo governo, tre terminano con un massacro, e se ne potrebbero annoverare quattro se la prima volta Pilato, impressionato dall'atteggiamento della folla, unanime ad accettare la morte, non avesse indietreggiato senza dubbio per l'orrore di inaugurare le sue funzioni con un tale misfatto.
    Siamo così portati a concludere che, nei limiti della verosimiglianza storica, la vita d'un uomo, e a maggior ragione di un Ebreo, e a maggior ragione di un Galileo sospetto di agitazione messianica, doveva per Pilato contare ben poco.

    Se le narrazioni ebraiche sono testimonianze a carico di Pilato, altrettanto i racconti evangelici della Passione sono testimonianze a carico degli Ebrei, in favore di Pilato e delle autorità romane. Di fronte agli Ebrei accaniti, vendicativi, pieni di odio, sanguinari, ci appare un Pilato « nuovo stile », indulgente, comprensivo, bonario, perfino esemplare, quasi cristiano in anticipo, « iam pro conscientia sua cbristianus », dirà Tertulliano (II secolo), « non circonciso nella carne ma circonciso nel cuore », dirà il V angelo di Nicodemo. «Questo funesto personaggio ha suscitato ben presto la simpatia della leggenda cristiana », ammette L. Cl. Fillion; certamente, e anzitutto quella degli evangelisti.
    Il tema principale trattato dai quattro Vangeli canonici, e ripreso ad oltranza dai Vangeli apocrifi, è il seguente:
    Ponzio Pilato, ben disposto a riconoscere l'innocenza di Gesù, dopo aver fatto invano ogni sforzo per salvarlo, ha avuto forzata la mano dagli Ebrei. Cosicché Gesù Cristo ha un bell'essere stato regolarmente giudicato e condannato da Pilato, flagellato, crocifisso dai Romani; i veri colpevoli, i soli responsabili della crocifissione sono gli Ebrei. «Gli Ebrei non vengano a dire: non siamo stati noi ad uccidere il Cristo!» (Officio della notte del Venerdì santo, sesta lezione, Trattato di S. Agostino sui Salmi). Gli Ebrei hanno ucciso il Cristo: ecco ciò che viene ordinato a tutti i fedeli di credere nella solennità di questa notte santa. E i fedeli lo credono, fermamente, credono tanto più che ad ogni generazione ci sono stati, ci sono ancora dei bravi apostoli che lo affermano, in tutti i toni e con i mezzi di cui si vale l'apologetica oratoria e letteraria.
    « Gli Ebrei hanno ucciso il Cristo » . Ma quali Ebrei?
    Caifa ed i suoi amici, il sacerdozio, il gruppo dei « ben pensanti e dotti »? o la massa del popolo ebraico, tutto Israele?
    Si conosce già la risposta della tradizione cristiana; tradizione, ci si assicura da parte cattolica, che non ha «un carattere normativo », che non è (grazie a Dio) regola dottrinale, né articolo di fede. Ma è pur sempre tradizione, contro la quale non mi risulta che voci cattoliche autorizzate abbiano parlato.
    Quali Ebrei dunque?
    Ma tutti, tutti gli Ebrei senza distinzione,
    tutti gli Ebrei della Palestina e di altri luoghi, della Diaspora tutta quanta,
    tutti gli Ebrei del tempo passato, presente e futuro (« il peso terribile che grava su Israele per la morte di Gesù, non è di quelli che sia consentito all'uomo di respingere» proclama lo scrittore benpensante nel 1946, per centomila lettori e più, con il nibil obstat, con l'imprimatur),
    tutti gli Ebrei nel medesimo sacco infernale, e aspettando, perché no? nella stessa camera a gas, nel medesimo forno crematorio (« castigo provvidenziale », « collera di Dio »),
    « tutto il popolo », con i suoi capi,
    Gesù ha avuto contro di sé tutti tutti.
    La tradizione è così saldamente radicata che Péguy non esita a valersene nel suo Mystère de la Cbarité de Eanne d'Arc, quella stessa opera nella quale lo abbiamo ascoltato evocare, e con qual tono commosso!, Gesù « Ebreo fra gli Ebrei », la grande felicità di quegli Ebrei che « come dei piccoli fratelli» si sono « riscaldati, nel calore, nel tepore del suo sguardo ». Ma si può citare Péguy, anche nei suoi errori, perché in essi non si riscontra nessuna ingiuria, nessuna bassezza d'animo, - come in altri: (la Madre - essa assomiglia in modo straordinario alla madre di Péguy che ho conosciuta così bene - la povera Madre dice fra sé:
    «Tutti erano contro di lui.
    Tutti volevano la sua morte …
    E il governo e il popolo .
    Questo era il più strano .
    Governo e il popolo
    Che di solito non vanno d'accordo.
    Strano.
    Due mondi che di solito non stanno insieme. Il governo ed il popolo.
    Di modo che il governo ce l'aveva con lui come l'ultimo dei carrettieri
    e l'ultimo dei carrettieri come il governo
    Quando un uomo è caduto, tutti gli vanno addosso».

    Ma la letteratura è una cosa, la storia un'altra, la Sacra Scrittura un'altra ancora. Che dice la Scrittura? Ahimè, le oscurità, le contraddizioni abbondano nei testi evangelici e dobbiamo ora scrutarli con la lente. Perché, se la tendenza generale è la stessa nei quattro Vangeli, (il che significa che sono tutti e quattro tendenziosi), la narrazione del processo romano presenta da un Vangelo all'altro le stesse divergenze di quella del processo ebraico, forse anche più numerose. E ne deriva una grande incertezza.

    Prima fase del processo romano. Accuse « degli Ebrei », interrogatorio di Gesù da parte di Pilato.

    Marco, XV, 1-5: «Al mattino i sommi sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il Sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo condussero e consegnarono a Pilato. Allora Pilato prese a interrogarlo: " Sei tu il re dei Giudei? ", Ed egli rispose: "Tu lo dici ". I sommi sacerdoti frattanto gli movevano molte accuse. Pilato lo interrogò di nuovo: "Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano! ". Ma Gesù non rispose più nulla sicché Pilato ne restò meravigliato ».

    Matteo, XXVII, 1-2, 11-14: «Venuto il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù, per farlo morire. Poi, messolo in catene, lo condussero e consegnarono al governatore Pilato ». (A questo punto s'inserisce il sucidio di Giuda).
    «Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: "Sei tu il re dei Giudei? ", Gesù rispose: "Tu lo dici ". E mentre lo accusavano i sommi sacerdoti e gli anziani, non rispondeva nulla. Allora Pilato gli disse: "Non senti quante cose attestano contro di te? ". Ma Gesù non gli rispose neanche una parola, con gran meraviglia del governatore ».

    Luca, XXIII, 1-7: « Tutta l'assemblea si alzò, lo condussero da Pilato e cominciarono ad accusarlo: "Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re". Pilato lo interrogò: "Sei tu il re dei Giudei? ", Ed egli rispose:
    "Tu lo dici ". Pilato disse ai sommi sacerdoti e alla folla: "Non trovo nessuna colpa in quest'uomo". Ma essi insistevano: "Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea fino a qui". Udito ciò Pilato domandò se l'uomo era Galileo e, saputo che apparteneva alla giurisdizione di Erode, lo mandò da Erode che in quei giorni si trovava anche lui a Gerusalemme »

    Giovanni, XVIII, 28-38: «Allora condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l'alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Uscì dunque Pilato verso di loro e domandò: "Che accusa portate contro quest'uomo?". Gli risposero:
    "Se non fosse malfattore, non te l'avremmo consegnato ", Allora Pilato disse loro: "Prenderelo e giudicatelo secondo la vostra legge!". Gli risposero i Giudei: "A noi non è consentito di mettere a morte nessuno".

    Così si adempivano le parole di Gesù che aveva detto di qual morte doveva morire.
    Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: "Tu sei il re dei Giudei?". Gesù rispose: "Dici questo da te oppure altri te l'hanno detto sul mio conto?". Pilato rispose: "Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto? ". Rispose Gesù: "Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù". Allora Pilato gli disse: "Allora tu sei re". Rispose Gesù: "Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo son venuto nel mondo: per rendere testi¬monianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce". Gli dice Pilato: "Che cos'è la verità? ", E detto questo uscì di nuovo verso i Giudici e disse loro: "lo non trovo in lui nessuna colpa" ».




    Dopo aver letto e riletto questi testi, ecco le osservazioni che sembrano imporsi. Come di solito, le divergenze più importanti si riscontrano fra il gruppo dei Sinottici ed il quarto Vangelo; come di solito, nel gruppo dei Sinottici, la distanza è sensibile tra MarcoMatteo da un lato, Luca dall'altro; con qualche piccola variante, i testi di Marco e Matteo sono identici.
    Noi non sappiamo quando e come gli evangelisti sono stati informati di quanto si è svolto davanti al tribunale romano. Ma sappiamo fino a qual punto la giustizia romana fosse formalista, perfino nei suoi rigori e nella sua brutalità. In questa occasione essa appare stranamente diversa dal solito. .
    È impossibile non essere sorpresi che, alla richiesta delle autorità ebraiche, quando esse giungono con il loro prigioniero, il procuratore risponda con gentilezza; che invece di far mettere l'accusato in prigione, rinviando il giudizio a più tardi, dopo aver esaminato il caso, egli acconsenta ad interrogarlo senza dilazione, anzi, secondo il racconto di Giovanni, che egli esca dal tribunale, e poi vi rientri ed esca nuovamente per parlare con i sommi sacerdoti, perché costoro in un tal giorno (vigilia di Pasqua) volevano evitare ogni contatto impuro.
    Non meno sorprendente il fatto che, ad eccezione di Luca, XXIII, 2, gli evangelisti non diano nessuna indicazione precisa circa le accuse delle autorità ebraiche contro Gesù. Perché quelle espressioni vaghe? (Marco, XV, 3-4; Matteo, XXVII, 12-13). Come si spiega quell'imbarazzo, quel tentativo di sfuggire alla domanda diretta di Pilato: «Di quali colpe accusate quest'uomo? ». Risposta dei sacerdoti: «Se non fosse un malfattore, non te l'avremmo consegnato ».
    Ora, dall'interrogatorio di Pilato, dalla domanda che egli rivolge a Gesù in termini identici nei racconti dei quattro Vangeli (« Sei tu il re dei Giudei = che pretendi essere il re dei Giudei), risulta con evidenza che l'accusa principale mossa contro Gesù è quella di essere un agitatore messianico. Gesù è accusato di pretendere al titolo di Messia-Re, il che era un delitto agli occhi dei Romani, ma niente affatto agli occhi degli Ebrei. Per modesto che fosse « il trionfo delle Palme », non era certo trascorso inosservato agli occhi del procuratore. Ma in un tal caso, la polizia romana, la giustizia romana erano sufficienti. Quale poteva allora essere la parte delle autorità ebraiche? Quella di informatori, di zelanti collaboratori.
    La risposta e l'atteggiamento di Gesù differiscono profondamente fra i Vangeli Sinottici da un lato, il quarto Vangelo dall'altro.
    Nei tre Sinottici Gesù non dice che due parole: «Tu lo dici » (Sy legeis) = Sei tu che lo dici ». Secondo Marco e Matteo egli rifiuta di rispondere a qualunque altra domanda e si chiude in un silenzio assoluto « con meraviglia di Pilato» (Marco, XV, 5; Matteo, XXVII, 14).
    Nel quarto Vangelo, Gesù risponde alla domanda del procuratore con un'altra domanda: «Dici questo da te oppure altri te l'hanno detto sul mio conto? ». Altra contraddizione con Luca, XXIII, 2, secondo il quale i membri del Sinedrio hanno poco prima apertamente accusato Gesù di dirsi Messia-Re. E la contraddizione è ancora più grande rispetto a Marco e Matteo, perché un dialogo vero e proprio si svolge tra Gesù e Ponzio Pilato all'interno del pretorio. Avendo Pilato riproposto la sua domanda, Gesù finalmente risponde: «Sei tu che lo dici, che io sono re ».
    Gesù ha parlato o ha rifiutato di parlare? Bisogna scegliere.
    Non si può dire sì e no “insieme”.
    Nell'una e l'altra versione (dei Sinottici, di Giovanni), la risposta di Gesù non è priva di ambiguità perché comporta due interpretazioni diverse. In realtà Sy legeis, come in precedenza davanti al sommo sacerdote, Sy legeis (Matteo, XXV, 64), si può interpretare in due modi: «Tu lo dici (sottinteso: io lo sono »), oppure: «Sei tu che lo dici (sottinteso: e non io»).
    Se, come vuole l'esegesi ortodossa, si deve optare per il senso affermativo 13, e se Gesù si professa solennemente Messia-Re, rendendo così «sulla sua missione, sulla sua persona la testimonianza che deve a se stesso» 1\ com'è possibile spiegare la dichiarazione di Pilato che troviamo subito dopo in Luca, XXII, 4: «Non trovo nessuna colpa in quest'uomo»? Il P. Lagrange ammette: « È un modo di concludere un po' sbrigativo».
    Osserviamo ancora: nel racconto di Giovanni, Gesù dichiara: « Il mio regno non è di questo mondo» (Giovanni, XVIII, 36) e Pilato non ne afferra il significato perché torna alla carica chiedendo: «Dunque tu sei re? » (XVIII, 37); ora è la risposta di Gesù così netta e categorica come appare nella tradizione e nelle traduzioni abituali: «Tu lo dici, io sono re »?
    Il testo greco Sy legeis oti basileus eimi (letteralmente: tu dici che sono re) può evidentemente, come Sy legeis dei Sinottici, interpretarsi nei due sensi, uno affermativo « Tu lo dici, sono re », l'altro enigmatico « Sei tu che lo dici che io sono re », In questo caso le presunzioni andrebbero alla seconda espressione, poiché basta rileggere il testo di Giovanni per renderei conto che «Sei tu che dici che io sono re» si oppone alla frase seguente «io (sottinteso dico che) sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità ». Così, e così soltanto - ammessa l'autenticità del dialogo si spiegherebbe la conclusione di Pilato: non è colpevole.
    Ma come decifrare tanti enigmi? Come orientarsi in questo terribile Gioco della Morte nel quale ognuno ha rimescolato le carte a modo proprio?
    C'è una sola cosa evidente, la tendenza comune ai quattro Vangeli di ridurre al minimo le responsabilità romane, di portare al massimo le responsabilità ebraiche, e il procedimento si rivela piuttosto maldestro. Del gruppo indissolubile Marco-Matteo fino a Luca e Giovanni, si nota una gradazione netta: in Marco, XV, 5, Matteo, XXVIII, 14, Pilato si stupisce semplicemente del silenzio opposto da Gesù alle accuse delle autorità ebraiche; in Luca, XXIII, 4, dopo la risposta di Gesù «Tu lo dici », Pilato lo dichiara esplicitamente non colpevole, il che è «piuttosto sconcertante », secondo l'ammissione del P. Lagrange; poi, insistendo gli accusatori nella loro requisitoria e alludendo alla Galilea dove è cominciata la predicazione di Gesù, il procuratore si serve di tale pretesto: per liberarsi di una causa seccante, rimanda Gesù a Erode Antipa, tetrarca della Galilea.
    Ancora più «sconcertante» è l'atteggiamento di questo singolare magistrato romano in Giovanni, XVII, 31: in un primo momento, senza fare la minima inchiesta, egli tenta di esimersi da qualsiasi ingerenza: «Prendete1o e giudicatelo secondo le vostre leggi». Al che «i Giudei» (i sommi sacerdoti) replicano che l'hanno già interrogato e condannato, ma che non hanno il diritto di mandare a morte nessuno (come se Pilato lo avesse ignorato). Segue il colloquio fra Pilato e Gesù, poi l'esplicita dichiarazione del procuratore: « lo non trovo in lui nessuna colpa» (Giovanni, XVIII, 38).
    A questo punto s'inserisce una scettica riflessione: «Che cos'è la verità? ». Qui lo storico ha la tentazione di parafrasare Pilato e di dire: «In tutto ciò la verità (storica) dov'è? »,
    Ultima ed importante osservazione: il popolo ebraico non ha nessuna parte, non ha nessun posto in questa prima fase del processo romano. Marco e Matteo non lo menzionano affatto. Giovanni, XVIII, 35 fa dire a Pilato nel corso dell'interrogatorio: «La tua nazione (o la tua gente) e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me ». « La tua nazione », commenta il molto ortodosso L. C. Fillion, « cioè i suoi rappresentanti ufficiali, i membri del Sinedrio », ma l'evangelista ha messo in causa soltanto Anna e Caifa, escludendo il Sinedrio. « Si », commenta il P. Lagrange, « sono i sommi sacerdoti, anzi tutta la nazione che ha fatto arrestare Gesù». Ma a quale realtà corrisponde tale affermazione? Qui non si tratta che di un'espressione redazionale, di Giovanni, a tendenza dogmatica, e cosi priva di ogni verosimiglianza come la frase seguente attribuita all'ebreo Gesù: «Se il mio regno fosse di questo mondo, la mia gente (= gli Ebrei miei sostenitori) avrebbe combattuto perché io non fossi consegnato agli Ebrei» (Giovanni, XVIII, 36).
    Soltanto Luca, XXIII, 4, rievoca la presenza della folla durante l'interrogatorio: «E Pilato disse ai sommi sacerdoti e alla folla ... ». Se le cose sono andate così come raccontano gli evangelisti, è possibile che un assembramento di persone si sia formato davanti al pretorio, attorno ai sommi sacerdoti e alle loro guardie. Per il momento questa folla resta passiva, non è là che come comparsa. Aspettiamo.
    Seconda fase (in margine al processo romano): Gesù davanti ad Erode.
    Non vi è motivo di soffermarci su questa seconda fase del processo, del tutto sconosciuta a Marco, Matteo e Giovanni. Essa è ricordata dal solo Luca e s'introduce in modo abbastanza singolare nel processo romano, che viene in tal modo diviso in due.

    Luca, XXIII, 7-12: « ... Pilato domandò se era Galileo e, saputo che apparteneva alla giurisdizione di Erode, lo mandò da Erode che in quei giorni si trovava anch'egli a Gerusalemme. Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto, perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui. Lo interrogò con molte domande ma Gesù non gli rispose nulla. C'erano anche là i sommi sacerdoti e gli scribi e lo accusavano con insistenza. Allora Erode con i suoi soldati lo insultò e lo scherni, poi lo rivestì di una splendida veste e lo rimandò a Pilato. In quei giorni Erode e Pilato diventarono amici; prima infatti c'era stata inimicizia fra loro ».
    Cosi Pilato, procuratore della Giudea, lo stesso che di recente aveva fatto compiere massacri in Galilea, trova il pretesto per rimandare Gesù, accusato di agitazione messianica sia in Galilea che in Giudea, ad Erode, il tetrarca della Galilea. E Erode, quello stesso Erode che aveva fatto decapitare Giovanni Battista solo perché (secondo Giuseppe Flavio) paventava il suo ascendente sul popolo, rimanda Gesù al cortese procuratore. Tali riguardi esagerati, fra uomini sanguinari, sono ben poco credibili, nonostante le informazioni particolari che Luca sembra aver raccolto su Erode Antipa, forse per mezzo di Giovanna, moglie di un intendente di Erode, che figura tra le pie compagne di Gesù (Luca, VIII, 3). È difficile credere che il procuratore romano, rappresentante l'autorità romana, mentre sedeva nel suo pretorio a Gerusalemme, il giorno di Pasqua, tra la folla dei pellegrini ebrei, abbia avuto l'idea di rinunciare al suo potere giudiziario in favore del tetrarca di Galilea; ed è ancor più difficile credere che costui, di passaggio a Gerusalemme, abbia potuto condurre con sé dei soldati (Luca, XXIII, 11) ed esercitare la sua giurisdizione, e che le autorità ebraiche di Gerusalemme «sommi sacerdoti e scribi», abbiano accettata la parte di accusatori davanti ad Erode.
    L'evangelista Luca, a quanto pare, ha riferito l'episodio di Erode solo allo scopo di addossare ad un principe ebreo per metà (di origine idumea e di religione ebraica) ed ai suoi soldati la scena della derisione e degli oltraggi, che la tradizione, raccolta dagli altri evangelisti - canonici - attribuiva ai Romani. «L'analogia è incontestabile », scrive il P. Lagrange, « dalle due parti soldati, beffe, di cui la principale è un abito ridicolo nel suo falso splendore ».
    Dal punto di vista dell'opinione romana, il particolare poteva avere la sua importanza. Quanto a noi, poco importa: si ammetta o no la storicità del racconto di Luca - sarcasmi e oltraggi di Erode e della sua guardia -, le responsabilità ebraiche, del popolo ebraico, non appaiono né aggravate né alleggerite.

    Con un maggior disprezzo delle verosimiglianze, gli autori dei Vangeli apocrifi si sono spinti molto più in là nella via (erodiana) aperta da Luca. Il Vangelo di Pietro 1-2, ha fatto di Pilato un semplice «spettatore ... favorevole a Gesù »; è il re Erode che. pronunzia la sentenza capitale e ne affida agli Ebrei l'esecuzione: « Fategli tutto quello che vi ho ordinato ». « Il racconto apocrifo », scrive il commentatore abate Vaganay, «rivela una certa forza d'immaginazione messa al servizio della polemica corrente», la polemica antiebraica. Ma il Vangelo di Pietro sembra essere posteriore a quello di Giovanni soltanto d'una ventina d'anni. Ed in esso si può constatare fino all'assurdo l'ingrandirsi di una tendenza già molto evidente nei Vangeli canonici.

    Terza fase: Gesù e Barabba; condanna di Gesù strappata a Pilato dalla pressione degli Ebrei.
    È venuta l'ora fatale, doppiamente fatale. «È veramente in questo momento (secondo S. Agostino) che gli Ebrei assumono la responsabilità della crocifissione del loro Messia».
    « E gli Ebrei, non solo i capi e le autorità, ma il popolo intero, ad una sola voce, come in una specie di plebiscito ... ».
    « Tutti erano contro di lui - tutti volevano la sua morte».


    Cominciamo col leggere i testi, venerabili, terribili.

    Marco, XV, 6-15: «Per la festa egli era solito rilasciare un carcerato a loro richiesta. Un tale chiamato Barabba si trovava in carcere insieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio. La folla, accorsa, cominciò a chiedere ciò che sempre egli le concedeva. Allora Pilato rispose loro: "Volete che vi rilasci il re dei Giudei? ". Ma i sommi sacerdoti sobillarono la folla perché egli rilasciasse piuttosto Barabba. Pilato replicò: "Che farò dunque di quello che chiamate il re dei Giudei? ". Ed essi di nuovo gridarono: "Crocifiggilo!". E Pilato, volendo dar soddisfazione alla moltitudine, rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché
    fosse crocifisso ».

    Matteo, XXVII, 15-26: «Il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, a loro scelta. Avevano in quel tempo un prigioniero famoso detto Barabba. Quindi, mentre si trovavano riuniti, Pilato disse loro: "Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo? ", Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.

    Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: "Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi sono stata molto turbata da un sogno, per causa sua". Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò: "Chi dei due volete che vi rilasci?". Quelli risposero: "Barabba! ". Disse loro Pilato: "Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo? ", Tutti gli risposero: "Sia crocifisso! ". Ed egli aggiunse: "Ma che male ha fatto? ". Essi allora urlarono: "Sia crocifisso! ".

    Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi il tumulto cresceva sempre più, presa dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: "Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi! ". E tutto il popolo rispose:
    "Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli! ". Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso ».

    Luca, XXIII, 13-25: «Pilato, riuniti i sommi sacerdoti, le autorità e il popolo, disse: "Mi avere portato quest'uomo come sobillatore del popolo; ecco, l'ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovata in lui nessuna colpa di quelle di cui lo accusate; e neanche Erode; infatti ce l'ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò, dopo averlo severamente castigato, lo rilascerò". (Ora egli doveva in occasione della festa liberare loro un prigioniero).
    Ma essi si misero a gridare tutti insieme: "A morte costui! Dacci libero Barabba!". Questi era stato messo in carcere per una sommossa scoppiata in città e per omicidio.
    Pilato parlò loro di nuovo, volendo rilasciare Gesù. Ma essi urlavano:
    "Crocifiggilo, crocifiggilo! ". Ed egli per la terza volta disse loro: "Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte. Lo castigherò severamente e poi lo rilascerò".
    Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso, e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita. Rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà ».
    Giovanni, XVIII, 39-40; XIX, 1-16: «" Vi è tra voi l'usanza che io vi liberi uno per la Pasqua; volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei? ", Allora essi gridarono di nuovo: "Non costui, ma Barabba! "Barabba era un brigante. Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare ... », (A questo punto la scena della flagellazione e degli scherni della soldatesca, scena che Marco e Matteo pongono dopo la condanna) ... «Pilato intanto usci di nuovo e disse loro: "Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa". Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: "Ecco l'uomo". Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: "Crocifiggilo, crocifiggilo! ". Disse loro Pilato: "Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna colpa". Gli risposero i Giudei: "Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire perché si è fatto Figlio di Dio".
    All'udire queste parole, Pilato ebbe ancora più paura, ed entrato di nuovo nel pretorio disse a Gesù: "Di dove sei?". Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: "Non mi parli? Non sai che ha il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?". Rispose Gesù: " Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande".
    Da quel momento Pilato cercava di liberarlo; ma i Giudei gridarono: " Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare". Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbata. Era la Parasceve della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei:
    "Ecco il vostro re! ". Ma quelli gridarono: "Via, via! Crocifiggilo!". Disse loro Pilato: "Metterò in croce il vostro re? ". Risposero i sommi sacerdoti:
    "Non abbiamo altro re all'infuori di Cesare". Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso».


    Dopo la lettura dei testi, e prima di iniziarne lo studio, ecco una scelta di commenti « cristiani », che è come una serie ispirata ad una tradizione secolare, da noi ricordata in precedenza, e della quale la principale sorgente d'ispirazione, sorgente inesauribile, è l'atroce versetto di Matteo, XXVII, 25: «E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli ».


    Voci protestanti.
    Calvino, Commentaires sur l'barmonie éuangélique, ed. 1854, p. 700: «Lo zelo sconsiderato (degli Ebrei) li spinge fino a questo punto che, commettendo un crimine irreparabile, essi vi aggiungono un'imprecazione solenne, con la quale si precludono ogni via di salvezza... Chi dunque non direbbe che tutta questa razza è esclusa del tutto dal regno di Dio? Ma il Signore per mezzo della loro viltà e della loro slealtà dimostra, con tanta maggior chiarezza e magnificenza, la stabilità della sua promessa. E per far conoscere che non invano egli ha concluso un patto con Abramo, egli libera da questa universale dannazione tutti coloro ai quali ha fatto il dono gratuito dell'elezione ».
    E. Stapfer, op. cit., III, p. 199: «Voto orribile, che è stato anche troppo esaudito. La maledizione che grava da secoli sugli Ebrei non è prossima a scomparire. Noi abbiamo messo fine all'intolleranza religiosa ... Ma l'Ebreo porta un marchio indelebile.
    L'antisemitismo, questa cosa odiosa, rinasce sempre di secolo in secolo! ».
    Hébert Roux, op. cit., pp. 320-321: «Parole terribili che mostrano fino a che punto può arrivare l'accecamento e l'irrigidimento d'Israele. I pagani agiscono nell'ignoranza e nell'incoscienza. Israele sa che il Cristo deve venire e pur vedendolo, non crede; in tal modo si condanna da sé» (Commento dell'apostolo Pietro: « Ed ora, o fratelli, io so bene che avete agito per ignoranza ... » Atti, III, 17).
    Gunther Dehn, op. cit., p. 257: « L'intera responsabilità che il popolo assume su di sé è descritta da Marco in maniera impressionante ... È il popolo che è chiaramente responsabile della condanna a morte ». .
    Alexandre Westphal, p. 492: « Ci si può domandare ciò che provano gl'Israeliti sinceri leggendo oggi quelle parole, dopo che diciannove secoli di una sventura che continua tuttora han dato loro un sinistro adempimento ».
    Ma non è lecito anche domandarsi ciò che provano i cristiani sinceri nel constatare il fatto evidente che l'ostilità « cristiana », nutrita da questa tradizione « evangelica », non è estranea al « sinistro adempimento »? Chi lo dice? Un pastore protestante, F. Durrleman: « Che fin dalle origini l'antisemitismo si sia alimentato ad altre cause, certo; che al giorno d'oggi molti nemici d'Israele non stabiliscano nessun rapporto fra il proprio odio e l'odio di un tempo provato verso Gesù Cristo dai rappresentanti ufficiali del giudaismo, d'accordo. Ma l'avversione profonda e quasi istintiva durata nei secoli per gli Ebrei, non proveniva dall'indignazione tumultuosa provocata dal grido, fatto di leggerezza e di ferocia ad un tempo, dei loro antenati riguardo al Cristo: « Che il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli »? (Jésus, ed. La Cause, 1928, 102).
    Poche parole del Vangelo hanno fatto un male maggiore di quella », scrive un esegeta libero-pensatore, che brutalmente aggiunge « e non è che un'invenzione del redattore! ».

    Voci cattoliche.
    Dom Guéranger, L'année liturgique, La Passion, pp. 505-509: « Le voci che, alcuni giorni prima, cantavano " Osanna " al figlio di Davide, si sono trasformate in urla feroci» (come se fosse provato che erano le stesse voci! ) ... « Israele è come la tigre, la vista del sangue stimola la sua sete; non è soddisfatto se non quando vi s'immerge ... E tutto il popolo risponde a Pilato con quel voto spaventoso: "Che il suo sangue ricada su noi e i nostri figli! ". Quello fu il momento in cui il marchio del parricidio venne a imprimersi sulla fronte del popolo ingrato e sacrilego, come nel passato sulla fronte di Caino; diciannove secoli di servitù, di miseria e di disprezzo non l'hanno cancellato », P. 202: « Quale condanna spaventosa Giuda portava contro se stesso ... Dio l'intese e se ne rammentò ». Già, questi chierici non temono di attribuire a Dio i loro sentimenti, umani e disumani.
    L. Cl. Fillion, Vie de notre Seigneur Jésus-Christ, III, p. 459: « La truce folla che reclama a gran voce la morte di Gesù fa un augurio esecrabile di cui non tarderà a portare tutto il peso. L'anatema che ha lanciato contro se stessa e contro le generazioni future si è pienamente realizzato quarant'anni più tardi, quando i Romani si impadronirono di Gerusalemme e misero tutto a ferro e a fuoco. Venne crocifisso un numero cosi grande di infelici abitanti della città che, secondo quello che riferisce Giuseppe Flavio, non si trovò più legna per fabbricare le croci. Fu uno spettacolo orribile nel quale non si stenta a vedere il castigo che il popolo deicida aveva richiamato sopra il suo capo».
    Il P. Joseph Huby, L'Evangile et les Evangiles, p. 96: « Nel Vangelo di Matteo, più che in qualunque altro scritto, viene messa in evidenza l'asprezza del conflitto fra Gesù e i capi del popolo, sommi sacerdoti, scribi e farisei, che trascinano la massa ebraica e la rendono complice della loro infedeltà: "Che il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli!". Ma questo scandalo della incredulità ebraica non potrà annullare il disegno salvifico di Dio. Al posto di Israele colpevole, altri invitati verranno da ogni parte del mondo ad assidersi alla mensa del Padre di famiglia ».
    Il p. F. Prat, Jésus-Cbrist, II, p. 372: « se con uno sguardo profetico avessero potuto scrutare l'avvenire ... Guerra straniera, guerra fratricida, carestia e contagi, tutti i mali piomberanno su di loro in una volta sola ... E questo non sarà che il preludio delle vendette divine ... I miserabili resti di Israele saranno dispersi in tutto il mondo quant'è vasto per portarvi, sino alla fine dei secoli, il peso di questa misteriosa maledizione », P. 390: «Innocenti e colpevoli, saranno coinvolti nella stessa catastrofe. Israele ... riceverà come popolo il castigo dei propri misfatti... Tale è la sorte che aspetta questa razza infedele ».

    Il P. Lebreton, La vie et l'enseignement de Jésus-Cbrist, II, p. 417: «La maledizione del sangue versato: gli Ebrei, accecati dalla passione, ne invocano tutto il peso su loro stessi e sui loro figli; lo risentiranno infatti. E nel destino di questo popolo vi è una lezione per tutta l'umanità ... Quel sangue che doveva dar loro la vita, grida vendetta contro loro stessi, più forte del sangue di Abele. Di fronte a questi castighi Gesù ha pianto invano; morendo egli ha visto che i suoi tormenti e la sua morte sarebbero stati per il mondo intero una sorgente di vita, ma per il popolo che egli amava sopra ogni altro su questa terra, per il suo popolo, la sua morte sarebbe stata la causa di un castigo terribile, e contro questa volontà inesorabile la sua misericordia si è infranta.

    Léon Bloy, Le salut par les fui/s, p. 95: « Questo popolo indemoniato non urlava forse: "Che il suo sangue ricada su noi e sui nostri figli!"? Bisognava pure accontentarlo, attuando, col vilipendio senza fine d'un intero popolo, il versetto penale di quel Testamento Nuovo, profetico come l'Antico, del quale fu detto che né un iota né un punto sarebbero cancellati finché dureranno il cielo e la terra ». «Nel momento culminante della Passione, quando centomila Ebrei esasperati gridavano che fosse crocifisso ... » (Citato da S. Fumet, Mission de Léon Bloy, p. 244).

    Paul Claudel, Un poète regarde la Croix, p. 40: «E gli Ebrei, non solo le autorità e i capi, ma tutto quanto il popolo, ad una sola voce, come per un plebiscito, quel popolo che poco prima portava Gesù in trionfo, l'uomo candido che ancora una volta deludeva le sue speranze temporali, gli Ebrei, dicevo, gridavano in coro, pestando i piedi, con una voce che oggi ancora fa tremare le volte delle nostre cattedrali: "Non bune sed Barabbam!" Con Barabba almeno si sa con chi si tratta, quanto a Gesù, ne abbiamo abbastanza. Tolte! tolte! La nostra nazione lo vomita! Portatelo via! Non lo vogliamo più vedere! Non è possibile! Ci lasci in pace! Purificate la nostra atmosfera! Colpevole o non colpevole, non vogliamo più saperne di lui, semplicemente. Le conseguenze saranno per noi. Il suo sangue ricada su noi e sui nostri figli! Non ne avete abbastanza? Che vi occorre ancora? ».

    Giovanni Papini, I testimoni della Passione, pp. 186-187: «I Romani furono dei semplici esecutori materiali; gli Ebrei, e soltanto gli Ebrei, concepirono e vollero il deicidio ... I nostri padri (dice il gran rabbino dell'esilio) hanno chiesto che il sangue del Cristo ricadesse su di loro e noi non vogliamo rinnegarli. Guarda i nostri capelli e ci troverai ancora qualche goccia del sangue di Gesù ... ».

    François Mauriac, più tenero di cuore, condanna gli Ebrei ad una maledizione soltanto temporanea: «Il povero popolo gridò: " Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli! ". Cosi fu, cosi è, ma non per una maledizione eterna: il posto d'Israele è riservato alla destra del Figlio di Davide» (Vie de Jésus, p. 266). Ma lo stesso autore ha scritto poco prima (pp. 222-223): «Nel dramma del Calvario, ordinato da tempo immemorabile, non conveniva che i Romani avessero una parte diversa da quella di carnefici. Israele si servirà di loro per immolare la propria vittima; ma la vittima è anzitutto sua ».

    « Non conveniva che i Romani avessero una parte diversa da quella di carnefici ». Non conveniva ... A chi?

    Abbiamo già citato Daniel Rops: « Quell'ultimo voto di un popolo da lui eletto - " Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli! " - Dio nella sua giustizia l'ha esaudito »; ed abbiamo ricordato anche queste frasi « di un insostenibile orrore », prese letteralmente a prestito da Daniel Rops dal saggio di uno scrittore cattolico tedesco: «Non toccava certo a Israele di non uccidere il suo Dio, dopo averlo rinnegato, e, come il sangue chiama misteriosamente il sangue, non tocca tanto meno alla carità cristiana di fare si che l'orrore dei pogrom compensi, nell'equilibrio segreto delle volontà divine, l'insostenibile orrore della Crocifissione ». E citiamo ancora queste altre frasi: «Per quale misteriosa legge di ritorsione e di somiglianza, queste persecuzioni e questi oltraggi si sono abbattuti, da venti secoli a questa parte, sulla razza che, più dei feroci soldati e più dello stesso Pilato, ne aveva preso l'obbrobrio su di sé e che avrebbe reclamato per sé come un onore la responsabilità del sangue da versare ... » (Jésus en son temps, p. 523).

    E ancora: «Il volto di Israele perseguitato riempie la Storia, ma non può far dimenticare quell'altro volto coperto di sangue e di sputi, per il quale la folla ebraica non ha avuto pietà» (pp. 526527). « Non potendo, a causa delle interdizioni imposte dalla potenza occupante, uccidere Gesù, gli Ebrei hanno manovrato quell'ostinazione e quella cautela dimostrate in altre circostanze, in modo che il Romano s'incaricasse di eseguire la loro condanna» (p. 529).
    Secondo il P. Bonsirven, Les ]uifs et ]ésus, pp. 184-185, vi sarebbe qualche oscillazione nella dottrina tradizionale: «A questo riguardo è molto significativo l'atteggiamento di S. Tommaso d'Aquino nel suo commento su san Matteo (XXVII, 25) ... egli scrive dapprima: «Fino ad oggi quell'imprecazione ha continuato a pesare sugli Ebrei ed essi non possono sbarazzarsi del sangue del Signore ». Ma subito dopo cita l'interpretazione di san Giovanni Crisostomo: «Sia pure, invocate su voi stessi la maledizione, ma perché la invocate anche sui vostri figli? E tuttavia Dio, che ama gli uomini, di fronte a questi insensati... non solo non pronuncia contro di loro e contro i loro figli una sentenza di condanna, ma accoglierà e colmerà di benefici a migliaia quelli che si convertiranno, loro ed i loro figli ». Ed il P. Bonsirven aggiunge: «Queste due esegesi hanno sempre avuto corso presso i cattolici: troveremo l'interpretazione severa perfino in commentari moderni; viceversa parecchi commentatori contemporanei osservano che la frase degli Ebrei significava semplicemente che essi assumono la responsabilità della sentenza di Pilato ». Notate questo
    « semplicemente ».
    Fra queste interpretazioni non è facile distinguere chiaramente.
    Quello che è certo, è che « l'interpretazione severa» supera l'altra con una maggioranza schiacciante.
    Ma ecco l'opinione, ben ponderata, di un savio teologo, l'abate Journet, Destinées d'Israel, pp. 134-135: «La colpa d'Israele è una colpa collettiva, commessa anzitutto dai capi e dagli agitatori d'Israele, «i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo» (Matteo, XXVIII, 1), «i sommi sacerdoti con gli anziani e gli scribi e tutto il Sinedrio » (Marco, XV, 1), alla quale colpa la maggior parte della folla riunita a Gerusalemme per le feste di Pasqua ha nondimeno partecipato in un modo tremendo,
    senza tuttavia rendersene conto ».
    L'autore si appoggia principalmente a S. Agostino, Enarr. In Ps., LXV, 5: «Il Signore è risuscitato e molti Ebrei hanno creduto. Essi lo avevano crocifisso senza capire; in seguito hanno creduto in lui e quella colpa così grande è stata loro perdonata. Il sangue del Signore che essi avevano versato è stato perdonata agli omicidi io non dico ai deicidi, perché se avessero capito non avrebbero crocifisso il Signore della gloria, I Coro II, 8. L'omicidio d'un innocente è stato loro perdonato, il sangue versato per follia essi lo hanno bevuto per grazia ».
    « In realtà », aggiunge l'abate Journet, « il sangue di Gesù è, per il popolo che lo ha versato, una causa di sventura. E nel contempo è stato già per questo popolo una causa di conversione parziale, e sarà un giorno una causa di conversione totale. Tale è il fondo dell'esegesi tradizionale» (p. 195).

    Di essa la più nobile espressione appare nella conclusione della preghiera di un pontefice di grande cuore, Pio XI, Atto di consacrazione del genere umano al Sacro Cuore: «Guardate con misericordia ai figli di questo popolo che fu un giorno il vostro prediletto. Scenda su di loro, ma oggi in battesimo di vita e di redenzione, quel Sangue che in altri tempi essi invocavano sul loro capo ». Parole cristiane queste, e non più danza dello scalpo.

    Non dimentichiamolo tuttavia: umani o disumani, cattolici o protestanti, tutti quanti sono d'accordo per affermare che là, davanti a Pilato in quell'ora unica che vale per gli uomini più di ogni altra ora al mondo, il popolo ebraico, tutto il popolo, ha preso su di sé esplicitamente, espressamente, la responsabilità del Sangue innocente. Responsabilità totale, responsabilità nazionale. Rimane da appurare in qual misura i testi e la realtà che essi lasciano intravedere giustificano la spaventosa realtà d'una simile affermazione.
    A prima vista si resta colpiti dall'accordo, almeno apparente, dei quattro evangelisti su quello che è il fondo del dibattito: le responsabilità ebraiche.

    Nei quattro racconti lo schema, con qualche variante, è identico: Ponzio Pilato, bonario procuratore, disposto a lasciare libero Gesù; gli Ebrei, ferocemente accaniti, che preferiscono a Gesù un Barabba; e finalmente Pilato che cede alle loro pressioni, alle loro minacce, al loro ricatto: Barabba libero, Gesù crocifisso.
    «Impressionante parallelismo».

    Ma l'impressione è superficiale. Allo storico che legge e rilegge i quattro testi, appare chiaramente che una sola verità di fatto si sprigiona con evidenza: Gesù è stato flagellato, poi crocifisso per ordine del procuratore romano. Non arriverò fino al punto di dire con certi esegeti: tutto il resto è letteratura tendenziosa, polemica. Ma mi sento autorizzato a dire, con la ferma convinzione di non ledere i diritti e i doveri della critica storica: il resto ha una credibilità discutibile.

    Che Pilato abbia pronunziato la sentenza di morte sotto la pressione degli Ebrei, i quattro evangelisti lo testimoniano con

    segue
     
    .
7 replies since 25/1/2010, 18:28   1067 views
  Share  
.