Pio XII - le grandi manovre della beatificazione

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    אילון

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    La beatificazione di Pio XII è uno dei temi che più coinvolgono, a livello italiano come sul fronte internazionale, il mondo ebraico nel corso del 2008. La querelle sul ruolo del papa nel periodo nazista esplode con grande asprezza tra settembre e ottobre. A catalizzare il dibattito, suscitando forti reazioni da parte ebraica, sono accadimenti molto diversi tra loro ma altrettanto dirompenti. In ordine cronologico, il viaggio di monsignor Fisichella in Israele con una visita il 7 settembre a Yad Vashem e relativa controversia a proposito della didascalia che nel museo cita “i silenzi” di papa Pacelli sul nazismo. Poi, una settimana più tardi, il convegno a Roma di Pave the way, associazione ebraica statunitense impegnata nel dialogo tra le religioni che con tanto di testimonianze rivaluta l’impegno umanitario di Pio XII negli anni della persecuzione nazifascista ottenendo il pubblico riconoscimento di Benedetto XVI. Ancora una settimana ed è la volta del rabbino di Haifa Shear Yshuv Cohen. Primo rappresentante ebraico a partecipare ai lavori del Sinodo, esprime forti perplessità sul processo di beatificazione innescando accese polemiche.
    E’ su quest’arco temporale, come emerge dalla rilettura della rassegna stampa, che si distribuiscono le numerose prese di posizione di esponenti ebraici. Ma la questione di papa Pacelli corre sottotraccia per tutto l’anno con una regia mediatica piuttosto evidente. A cinquant’anni dalla sua morte il calendario di eventi per ricordarne la figura e l’opera è infatti denso di appuntamenti – convegni, mostre, libri – che, soprattutto da parte della Chiesa, riservano un’attenzione particolare al mondo ebraico e sono altrettante occasioni per riproporre la figura di Pio XII approfondendone temi e aspetti meno noti.
    E’ il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, con netto anticipo sul dibattito autunnale, a proporre per primo una lettura da parte ebraica del pontificato di Pio XII in risposta a un appello, sottoscritto da politici, giornalisti e intellettuali, che ne chiedeva la beatificazione per la “grande opera di carità” messa in atto nella Roma occupata dai nazisti. Per Di Segni, scrive il 3 luglio sulla Stampa Giacomo Galeazzi, da questa richiesta “riemerge una linea fortemente apologetica che interpreta, sotto un unico punto di vista, un pontificato discutibile”. “La massima autorità spirituale dell’ebraismo italiano – prosegue Galeazzi – stigmatizza la «riproposizione di una lettura parziale, lacunosa di cui Andreotti è sempre stato un aperto sostenitore»”. E, cioè, “la sottolineatura dell’opera assistenziale svolta dai conventi che hanno dato rifugio durante la persecuzione antiebraica”. (…). Insomma, l’onda lunga di “un orientamento cattolico che enfatizza soltanto gli aspetti che si considerano umanitari di Pio mentre nel mondo ebraico restano forti riserve”.
    Da fine agosto sui giornali iniziano invece a rimbalzare le prime anticipazioni del convegno di Pave the way che, nelle parole del suo presidente Gary Krupp, promette testimonianze decisive per rivalutare il ruolo svolto da Pio XII a favore degli ebrei. “Abbiamo individuato nel papato di Pio XII uno dei temi più difficili nelle relazioni tra ebrei e cattolici – dice Krupp in un’intervista a Lorenzo Fazzini sull’Avvenire
    del 27 agosto – La sola strada percorribile per arrivare alla verità è la testimonianza delle persone presenti durante gli eventi di quegli anni terribili. Pave the Way ha deciso di finanziare questo progetto che ha riguardato l’incontro con persone ancora viventi, le cui testimonianze sono state videoregistrate”. La scoperta più importante, spiega Krupp, riguarda le attività di monsignor Giovanni Ferrofino, oggi novantaseienne, emissario di Pio XII e segretario del nunzio Silvani (rappresentante vaticano in Haiti dai 1939 al 46). Ferrofino, racconta Krupp, “riceveva ad Haiti due telegrammi criptati due volte all’anno da parte di Pio XII e in seguito a quei dispacci andava con il nunzio dal generale Trujillo (allora presidente della Repubblica Dominicana, ndr) per chiedergli a nome del Papa ogni volta 800 visti per gli ebrei che dal Portogallo stavano scappando dall’Europa a bordo di una nave. Questo accadde due volte all’anno, dal 1939 al 1945: vuol dire che almeno 11 mila ebrei potrebbero essere stati salvati, solo in riferimento a questo Paese. Alcuni esperti vaticani, ai quali ho mostrato tale intervista, mi hanno confessato di non aver nessuna idea di questo fatto”.
    Gli ebrei in salvo ad Haiti ricompaiono con bella evidenza sulle pagine dei giornali qualche giorno più tardi. Il Corriere li ricorda il 2 settembre annunciando l’ormai imminente convegno di Pave the way. E alla loro vicenda allude anche monsignor Fisichella che in visita a Yad Vashem, riferisce Ernesto Menicucci l’8 settembre sul Corriere
    stigmatizza con toni molto duri la didascalia “da sempre contestata dal Vaticano, che cita i «silenzi di Pio XII, la mancanza di una condanna all’uccisione degli ebrei, la non reazione con proteste scritte o verbali, il non intervento della Chiesa quando a Roma ci furono le deportazioni ad Auschwitz»”.
    Dice monsignor Fisichella “I fatti storici sono più complicati di quello che sembra, e non possono essere liquidati in due parole. (…) L’Associazione Pave di New York, fatta da ebrei, ha tirato fuori molte testimonianze di persone di religione ebraica che durante la deportazione del ghetto sono state aiutate a fuggire da Roma, e quindi a salvarsi, proprio da Pio XII».
    “Ora sono gli ebrei a salvare Pio XII”. Il 14 settembre il Giornale titola così, d’effetto, l’articolo di Andrea Tornelli che illustra il convegno di Pave the way. “Krupp – scrive – contesta l’immagine del «Papa del silenzio», impaurito di fronte a Hitler perché ossessionato dal comunismo o perché intenzionato a salvare soltanto i cattolici. «Il Papa – ricorda – fece tutto dietro le quinte, in silenzio (…) anche perché aveva avuto la prova che i proclami e gli appelli non servivano a nulla”. “Quello di Pave the way – continua Tornelli – è dunque un contributo importante, che mostra come all’interno del mondo ebraico non vi sia solo la voce di chi ha fatto di Pio XII il capro espiatorio della Shoah. Un contributo a mia discussione più serena, della quale si sente il bisogno anche in campo cattolico, dove molti specialisti continuano a bollare come «apologetico» qualsiasi tentativo di aprire un dibattito serio su Papa Pacelli”.
    Il convegno dell’associazione ebraica statunitense culmina con il discorso di Benedetto XVI ripreso il 19 settembre da Avvenire
    “Nei lavori del vostro convegno – dice il Papa – sono stati anche evidenziati i non pochi interventi da lui compiuti in modo segreto e silenzioso proprio perché, tenendo conto delle concrete situazioni di quel complesso momento storico, solo in tale maniera era possibile evitare il peggio e salvare il pi gran numero possibile di ebrei”. “Questa sua coraggiosa e paterna dedizione – continua – è stata del resto riconosciuta ed apprezzata durante e dopo il tremendo conflitto mondiale da comunità e personalità ebraiche che non mancarono di manifestare la loro gratitudine per quanto il Papa aveva fatto per loro. Basta ricordare l’incontro che Pio XlI ebbe, il 29 novembre del 1945, con gli 80 delegati dei campi di concentramento tedeschi, i quali in una speciale udienza loro concessa in Vaticano, vollero ringraziarlo personalmente per la generosità dal Papa dimostrata verso di loro”.
    Negli stessi giorni i giornali dedicano ampio spazio al libro su Pio XII di Andrea Riccardi, studioso del cristianesimo e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, che entra nel vivo del ruolo tenuto da Pontefice nei mesi dell’occupazione. Il 19 settembre Repubblica
    vi dedica una lunga recensione.

    Nei giorni successivi la fibrillazione rimane alta, per la presa di posizione di Civiltà cattolica che esprime alcuni “imbarazzi” sulla beatificazione di Pio XII. Papa Benedetto XVI scende in difesa del suo predecessore. Ma ciò non impedisce al rabbino di Haifa Shear Yishuv Cohen che prende parte ai lavori del Sinodo di esprimere ai media il suo netto dissenso riportato, fra gli altri, da Luigi Accattoli il 7 ottobre sul Corriere della sera
    “Crediamo – afferma Cohen – che Pio XII non dovrebbe essere beatificato o preso comunque come modello per il fatto che non ha levato la sua voce in nostra difesa, anche se ha cercato segretamente di aiutarci, Resta il fatto che non ha parlato, forse perché aveva paura o per altri motivi suoi, e questo noi non possiamo dimenticarlo».
    La polemica divampa subito furibonda. “Ventiquattr’ore dopo l’attacco frontale del rabbino di Haifa Cohen contro la beatificazione di Pacelli, scende in campo con un fuoco di sbarramento il fior fiore di personalità vaticane”, scrive Marco Politi su Repubblicadell’8 ottobre. “«Papa Pio XII non fu silente né antisemita: egli fu prudente». Parola del segretario di Stato Tarcisio Bertone”. Attraverso la pubblicazione di vari documenti Bertone ribadisce che Pio XII protesse ebrei e rifugiati. “Il segretario di Stato cita in proposito la circolare del 25 ottobre 1943, siglata da Pio XlI, che ordinava tutte le istituzioni cattoliche di salvare il maggior numero possibile di ebrei. La vicenda – conclude Politi – va ormai al di là della ricerca storica. Papa Ratzinger è ormai arrivato alla conclusione che sono maturi i tempi per elevare Pio XII agli altari e la solenne celebrazione di domani sarà un altro passo verso questo obiettivo”.
    Il giorno dopo l’Osservatore romano
    schiera un pezzo da novanta. Maurizio Fontana intervista Paolo Mieli, direttore del Corriere della sera. “Questa leggenda nera – dice Mieli – non ha alcun senso. Pio XII è stato un grande Papa, all’altezza della situazione. E’ come se oggi rinfacciassimo a Roosevelt di non aver detto parole pi chiare nei confronti degli ebrei. Ma come si può sindacare all’interno di una guerra e in più per una personalità disarmata com’è un Papa? La speciosità di questa offensiva nei confronti di Pio XII appare davvero sospetta a qualsiasi persona in buona fede ed è una speciosità a cui è doveroso opporre resistenza”. L’intervento di Mieli suscita una certa eco mediatica, sia per il prestigio dell’intervistato sia per la sua estrazione ebraica, sottolineata da tutti i commentatori.
    Due giorni dopo è lo stesso Benedetto XVI a sfatare la “leggenda nera” dei silenzi di Pio XII. “Egli fu un «grande servitore della pace» e un «precursore del Concilio Vaticano Il», «preghiamo perché sia beato» – riferisce Maria Antonietta Calabrò sul Corriere della sera
    “Nella solenne messa di suffragio cui hanno partecipato i Padri sinodali – continua Calabrò – Ratzinger per non ha annunciato alcuna svolta nella sua causa di beatificazione. Ma ha voluto ricordare – «mentre preghiamo perché prosegua felicemente la causa di beatificazione del servo Dio» – che «la santità fu il suo ideale»”.

    A questo punto il mondo ebraico insorge. “Benedetto XVI, durante la messa, ha affermato che papa Pacelli «agì in modo segreto e silenzioso» per salvare gli ebrei dalla follia nazista – scrive Rory Cappelli l’11 ottobre su Repubblica - «Un silenzio davvero grande quello del 16 ottobre 1943» ha commentato ieri Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica romana. «Ci sono immagini del Pio XII in mezzo alla folla, a San Lorenzo, dove giustamente si recò dopo il bombardamento del quartiere. Ma non ricordo immagini del pontefice al Portico d’Ottavia dopo il 16 ottobre. Solo il 19 ottobre furono pubblicate tre righe sull’Osservatore Romano». «Detto questo» ha continuato Pacifici, «mio padre si è salvato in un convento. Ma ci sono responsabilità collettive e responsabilità individuali, meriti collettivi e meriti individuali»”.
    Nello stesso giorno La Stampa
    dà notizia della mobilitazione dell’Anti defamation league. “L’organizzazione mondiale contro la diffusione dell’antisemitismo e dei pregiudizi sugli ebrei – si legge – chiede alla Santa Sede di aprire gli archivi e rendere pubblico l’operato di papa Pacelli nei confronti degli israeliti. Sulla scia del «j’accuse» al Sinodo del rabbino capo di Haifa, piovono dai movimenti ebraici degli Usa e d’Israele le richieste di fare piena luce mettendo a disposizione degli storici il materiale d’archivio”.

    La questione acquista subito una dimensione anche diplomatica. “Colpa del mondo ebraico e delle resistenze di Israele se Papa Ratzinger non ha ancora firmato il decreto con la quale Pio XII, il pontefice che traghettò la Chiesa oltre il secondo conflitto mondiale e la «guerra fredda””. Ad affermarlo, scrive sull’Unità
    del 19 ottobre Roberto Monteforte è il postulatore della causa per la santificazione di papa Pacelli, padre Peter Gumpel.
    “Di fatto – scrive lo stesso giorno su Repubblica
    Marco Politi – papa Ratzinger sta esitando proprio perché teme che la beatificazione possa scatenare forti reazioni anti-vaticane in Israele e negli ambienti ebraici internazionali. Le dure parole pronunciate a Roma recentemente dal rabbino Cohen di Haifa, appartenente peraltro all’ala dialogante dell’ebraismo, sono state un serio segnale”.
    Sempre il 19 ottobre Il mattino propone un’intervista di Gaty Sepe ad Amos Luzzatto, già presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane. “La nostra gratitudine per tutti i religiosi che ospitarono nei conventi gli ebrei italiani è profonda – dice Luzzatto – Ma gli italiani scampati furono alcune migliaia, quelli che morirono nei lager almeno 8 mila. Come ebreo io sono impegnato per il dialogo, a patto però che si guardi avanti, senza alcun tentativo di revisione della Storia passata. E la Storia, oggi, dice che il comportamento di Papa Pacelli sull’Olocausto fu al di sotto delle sue possibilità; il Vaticano apra i suoi archivi e tiri fuori, se li ha, i documenti che possono dimostrare il contrario”.
    In questa situazione sembra allontanarsi la prospettiva della visita di Benedetto XVI in Israele. “Papa Ratzinger – scrive sull’Unità
    del 20 ottobre Umberto De Giovannangeli – resta «un ospite gradito ed amato» ma su Papa Pacelli, lo Stato ebraico non fa marcia indietro. A ribadirlo è il portavoce del ministero degli Esteri israeliano: «Non si possono chiudere gli occhi difronte al controverso ruolo storico di papa Pio XII e al suo comportamento nei giorni in cui migliaia di ebrei quotidianamente venivano mandati al massacro»”.
    Nei giorni successivi le dichiarazioni e i commenti si susseguono in un’escalation di tensione. Sul Corriere
    del 20 ottobre Nathan Ben Horin, già commissario allo Yad Vashem per la nomina dei giusti italiani, invita alla prudenza.
    Nello stesso giorno su Repubblica
    David Rosen, già responsabile per conto del ministero degli Esteri israeliano delle relazioni con il Vaticano e dei rapporti tra cattolici e mondo ebraico cerca di riportare la questione alla sua complessità storica. Ma pochi giorni dopo, il 24 ottobre Isaac Herzog, ministro israeliano per gli Affari sociali – riferisce Andrea Tornelli sul Giornale
    - bolla “come «inaccettabile» l’intenzione di beatificare Pio XII”. Afferma Herzog “Il tentativo di canonizzarlo è uno sfruttamento dell’oblio e una mancanza di consapevolezza. Invece di agire in base al versetto biblico Non coopererai alla morte del tuo prossimo, il Papa è rimasto silenzioso e forse ha fatto anche di peggio”. “Parole molto pesanti – conclude Tornelli – che arrivano dopo il tentativo fatto la settimana scorsa dal presidente Shimon Peres di placare gli animi, e dopo il grave episodio dell’immagine di Benedetto XVI sovrastato dalla svastica apparso su Yalla Kadima, il sito Internet dei sostenitori del partito guidato dal ministro degli Esteri Tzipi Livni”.
    Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica romana, cerca di stemperare i toni. “Non è compito del mondo ebraico intervenire su vicende legate alla beatificazione o alla canonizzazione di qualcuno. Ci mancherebbe, sarebbe una anomalia entrare su temi religiosi altrui”, dichiara nello stesso giorno al Messaggero
    “«L’ebraismo ha molti volti, non esiste una unica voce. La discussione è sempre aperta, anche tra i rabbini. C’è un detto che dice: due ebrei, tre opinioni. Vorrei rassicurare i nostri interlocutori d’Oltretevere. E’ nostro interesse mantenere buoni rapporti con la Chiesa e in particolare con questo Papa, tuttavia..». Tuttavia? «Se la beatificazione di Pacelli ha ragioni interne, relative alla fede, noi non possiamo che avere profondo rispetto, ma se si vuole dare lustro a questa figura per avere aiutato gli ebrei, allora siamo costretti a prendere una posizione netta, che non è però un giudizio negativo sulla Chiesa. Dobbiamo distinguere l’opera della Chiesa da quella del pontefice. Io lo dico con gratitudine, pensando a quello che le suore di Santa Marta di Firenze hanno fatto per mio padre, il quale s’è salvato grazie a loro»”.
    Il giorno dopo, sempre sul Messaggero
    un’ulteriore precisazione di Riccardo Pacifici: non vi è alcun dissenso con il ministro Herzog. “Prendevo le distanze da quegli ebrei americani favorevoli alla beatificazione di Pio XII e spesso descritti da ambienti vicino al Vaticano ebrei coraggiosi”.
    Ma il ministro Isaac Herzog affonda ulteriormente il colpo dichiarando, il 25 ottobre, come si legge sul Corriere
    che “nel 1946, dopo un colloquio in Vaticano con Pio XII, mio nonno il rabbino Yitzhak Halevy Herzog sentì il bisogno di andare subito in un miqwe di Roma per compiervi un’abluzione purificatrice. Permettetemi di non cercare di immaginare per quale ragione sentì proprio allora una necessità così forte”.
    Nell’infuriare delle polemiche il papa sembra optare per una pausa di riflessione a seguito di un incontro con una delegazione ebraica guidata dal rabbino David Rosen. Scrive su Repubblica del 31 ottobre Marco Politi. “In effetti Benedetto XVI si trova tra due fuochi. Da un lato è intenzionato a portare a termine il processo di beatificazione, dall’altro non vorrebbe scontrarsi con l’ebraismo perché annette un’importanza cruciale ai legami religiosi tra ebrei e cristiani. In Vaticano non si è convinti, peraltro, che Ratzinger intenda attendere altri dieci anni, tenuto conto che gli archivi aperti vanno poi studiati”.
    Sulla questione interviene il segretario di Stato della Santa sede Tarcisio Bertone che, riferisce sul Giornale
    del 7 novembre Andrea Tornelli, aprendo alla Pontificia università Gregoriana di Roma i lavori del convegno dedicato al magistero di Pio XII rivendica la beatificazione come “fatto di «esclusiva competenza della Santa Sede». La rappresentazione di Pacelli come «indifferente» di fronte alle vittime del nazismo è «oltraggiosa» e «insostenibile» storicamente”.
    Ma la discussione è lungi dall’essere conclusa. Nei giorni successivi si registrano ulteriori numerose reazioni. Il 7 novembre sul CorriereGiorgio Israel si dice d’accordo con il cardinal Bertone (“nessuno può impedire a un’organizzazione religiosa di decidere in piena autonomia su questioni che riguardano la propria vita interna”). Anche se “nel merito, la possibile beatificazione di Pio XII non mi convince”. E mentre dagli Stati Uniti giunge la notizia, riportata da Repubblica l’8 novembre, che l’American Gathering of Jewish olocaust Survivors and their Descendants, che riunisce sopravvissuti alla Shoah e i loro discendenti, ha deciso di formare un gruppo di pressione sul Papa perché fermi il processo di beatificazione di Pio XII, Benedetto XVI afferma, come si legge sul Corriere
    del 9 novembre che “Pio XII è stato un «eccezionale dono» di Dio per la Chiesa”.
    “«Capisco gli sforzi che fa il Vaticano per difendere papa Pacelli – ribatte Tullia Zevi su Repubblica - ma per me resta sempre una figura ambigua, priva di coraggio, che non ebbe nemmeno la forza di alzare la voce al momento opportuno per cercare di salvare i 6 milioni di ebrei innocenti, tra i quali un milione e mezzo di bambini, che andavano a morire nei campi di sterminio, Fu ambiguo perché non ebbe il coraggio di assumere una posizione decisa sulle deportazioni. E stato zitto. Non si è esposto. Purtroppo è andata così e finora nessuno ha dimostrato il contrario».
    Ben più caustica la reazione di Riccardo Di Segni riportata dalla Stampa
    “«Un dono di Dio» come dice il Papa? «Sicuramente non lo è stato per il popolo ebraico. Non bisogna nominare il nome di Dio invano. A me sembra che in tutta la questione Pacelli di unilaterale, per usare le parole di Benedetto XVI, ci sia solo la campagna condotta dalla Chiesa per riscrivere il profilo storico di Pio XII”. “Eppure – continua – l’evidenza dei fatti richiederebbe ben altra prudenza. Per esempio, dopo il rastrellamento degli ebrei al ghetto di Roma, il treno dei deportati è stato fermo alla stazione Tiburtina senza che Pio XII spendesse una sola parola per bloccarlo e non farlo partire verso i lager. C’è indignazione nella nostra comunità. Ormai ogni giorno dalla gerarchia ecclesiastica arriva una dichiarazione a favore della beatificazione, ma l’operazione in atto è pi vasta e punta ad un obiettivo molto più ambizioso»”. “«E’ in pieno svolgimento nella Chiesa – sostiene Di Segni – uno scontro molto duro tra fazioni, proprio attorno alla figura di Pacelli. La parte della Curia più vicina al Papa sta utilizzando le polemiche su Pio XII per un disegno apologetico globale, cioè per arrivare ad una totale autoassoluzione della Chiesa. In pratica, si vuole sbandierare al mondo che la Chiesa è infallibile, ha sempre ragione e non c’è nulla nella storia ecclesiastica che richieda un mea culpa. Il clima, purtroppo, si è radicalizzato ed è mutato velocemente rispetto all’epoca di Karol Wojtyla»”.
    Il giorno dopo su Repubblica
    Alberto Stabile intervista Sergio Minerbi, docente di relazioni internazionali all’Università di Haifa e ambasciatore israeliano presso la Comunità Europea. «Quello di ieri del Papa – afferma Minerbi – è stato un monito condivisibile. Personalmente sono più propenso nei confronti di Benedetto XVI di quanto non fossi nei confronti del suo predecessore e mi spiego. Quando Giovanni Paolo si recò ad Auschwitz, disse che in quel luogo erano morti 6 milioni di polacchi. Anche Benedetto XVI disse la stessa cosa, poi tornato a Roma si corresse e spiegò che ad Auschwitz erano morti 6 milioni di ebrei. A prescindere dall’errore nel numero delle vittime assassinate, Benedetto XVI ha fermato il tentativo di cristianizzazione» della Shoah a cui il suo predecessore voleva arrivare, appropriandosi del simbolo stesso della Shoah”.
    «La Chiesa – conclude Minerbi – ha pieno diritto di fare santo chi vuole e sono affari suoi. Tuttavia, durante questo processo, ha il dovere di ascoltare i dissensi. Se durante un passato processo di beatificazione è stato convocato un testimone da Israele, che aveva delle cose buone da raccontare, ora non possono ignorare i pareri dei non cattolici, solo perchè sono sfavorevoli”.
    La querelle sembra trovare un suggello istituzionale, da parte ebraica, con il messaggio del Comitato internazionale per il collegamento ebraico-cattolico che include rappresentanti della Santa sede e del Gran rabbinato d’Israele (guidati rispettivamente da Kasper e dal rabbino Rosen) riunitisi a Budapest. L’Avvenire del 12 novembre riporta che il Comitato “«esprime il suo profondo dispiacere per le polemiche e intemperanti prese di posizione» emerse dal dibattito sul «ruolo di Pio XII durante la Seconda guerra mondiale»”. «Rinnoviamo il nostro impegno per relazioni basate sul rispetto reciproco», affermano Kasper e Rosen. “«Disaccordi fra noi, che accadono inevitabilmente di tanto in tanto, debbono esprimersi in un modo che rifletta questo spirito di rispetto, evitando linguaggi che esacerbano la tensione» ha dichiarato Kasper (…) ed è normale che vi siano «punti di vista diversi»: tuttavia «gli ebrei riconoscono che la beatificazione» di Pio XII «è una questione interna alla Chiesa cattolica»”.
    Ma che la travagliatissima questione della beatificazione di papa Pacelli si possa chiudere qui, con un semplice comunicato stampa, sembra davvero impossibile.

    Daniela Gross
     
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0 replies since 28/1/2015, 19:39   191 views
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