Giacobbe diventa Israele

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  1. ashkenazi
     
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    CITAZIONE (Negev @ 16/11/2010, 14:34) 

    Parashat Vaishlach

    25 Giacobbe rimase solo, e un uomo lottò con lui fino all’apparir dell’alba.
    26 E quando quest’uomo vide che non lo poteva vincere, gli toccò la commessura dell’anca; e la commessura dell’anca di Giacobbe fu slogata, mentre quello lottava con lui.
    27 E l’uomo disse: ‘Lasciami andare, ché spunta l’alba’. E Giacobbe: ‘Non ti lascerò andare prima che tu m’abbia benedetto!’
    28 E l’altro gli disse: ‘Qual è il tuo nome?’ Ed egli rispose: ‘Giacobbe’.
    29 E quello disse: ‘Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele, poiché tu hai lottato con governanti e con persone altolocate, ed hai vinto’.
    30 E Giacobbe gli chiese: ‘Deh, palesami il tuo nome’. E quello rispose: ‘Perché mi chiedi il mio nome?’
    31 E lo benedisse quivi.


    Riguardo a questo brano, esistono moltissime interpretazioni.
    Si tratta, indubbiamente di un passaggio difficile.
    Naturalmente, quando si tratta della Torah, si ha tendenza a leggere tutto in senso spirituale e mistico, ma non sempre la Torah intende dare spiegazioni e insegnamenti di questo genere. Non è raro il caso in cui il racconto è un vero fatto di Storia, essendo la Torah anche il libro della Storia di Israel.
    Trattandosi di interpretazioni ebraiche, restiamo comunque nell’ambito di interpretazioni fondate sull’analisi del testo biblico, della parola ebraica e sull’insegnamento del Talmud
    Come molto spesso accade, invece, le interpretazioni non ebraiche si basano sulla traduzione e questo fuorvia completamente la comprensione.
    Procediamo con ordine:
    Yaacov si appresta a rientrare in Eretz Israel dopo venti anni e si trova alla frontiera, il fiume Yabbok.
    Egli è fuggito dall’ira di suo fratello Esav, avendo ricevuto sia il diritto di primogenitura (leadership “politica”), sia la benedizione di Ytzkach (leadership “economica”).
    In quei venti anni è stato esule, quindi non ha esercitato i suoi poteri, nella terra e sul popolo di cui è il capo. L’egemonia è stata del fratello Esav che è rimasto nel suo territorio.
    Varcare la frontiera è il momento decisivo, si tratta di riprendere ciò che è legalmente suo, compiendo un atto che oggi definiremmo di “aggressione”. Yaacov è cosciente della sua debolezza (militare) e della forza di Esav e quindi invia dei messi (malachim), allo scopo di rabbonire e ingraziarsi il fratello con dei doni: un gesto di normale diplomazia politica.
    Al ritorno, i suoi inviati gli riferiscono che Esav gli sta venendo incontro con quattrocento uomini nella tradizione, ogni unità corrisponde a cento uominini). Il numero dimostra chiaramente che si tratta di un esercito e che le intenzioni di Esav non sono certo pacifiche. A questo punto Yaacov, nonostante sappia di avere la protezione di HaShem, ha paura e agisce come agirebbe un condottiero in difficoltà: dispone innanzi tutto la sua famiglia e il suo seguito nelle retrovie, in due distinti accampamenti, allo scopo di proteggerli.
    Quindi passa da solo la frontiera di notte ed è a questo punto che incontra un uomo, con il quale si batterà.
    Questa figura è definita dal testo “Sar Esav”, “ministro, rappresentante di Esav”. Non vi è quindi nulla, nel testo, che possa far pensare ad una figura spirituale, arbitrariamente tradotta come “angelo”. Il “SAR” è, modernamente, il ministro. In questo caso è un guardiano di frontiera, qualcuno preposto da Esav a proteggere il passaggio dello Yabbok e che ingaggia con Yaacov una lotta corpo a corpo, in quanto si impone una resistenza al tentativo di questi di rientrare da capo in Israel, per riaffermare il suo comando.
    Non vi è nulla di mistico in tutto questo, ma solo una vera e propria guerra di egemonia.
    Si tratta di una guerra di riconquista, paragonabile a quella di Yoshua Bin Nun in seguito.
    E’ il capo esiliato che ritorna a casa e riprende il comando e l’autorità.
    Yaacov rientra di notte (la notte del lungo esilio) e la battaglia terminerà all’alba (il giorno, la luce della vittoria, con la notte dell’esilio lasciata indietro).
    Infatti, ai chiarori dell’alba, l’uomo chiede a Yaacov di lasciarlo andare, ammettendo la sconfitta e riconoscendone la supremazia. In questo senso va letta la necessità di Yaacov di riceverne la benedizione: è l’ammissione di egemonia, l’accettazione definitiva e inequivocabile delle benedizioni di Ytzkach, sia politica che economica, spirituale e materiale.

    “29 E quello disse: ‘Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele, poiché tu hai lottato con governanti e con persone altolocate, ed hai vinto’.”

    Molte traduzioni riportano “Perché hai lottato con D-O e con uomini e hai vinto”,
    ma non è questo il senso, in quanto nel linguaggio biblico “Elohim” vuol dire “governanti, legislatori” ed è “anche” adoperato per indicare D-O. Lo stesso Rashì precisa che in questo caso il termine non è “kodesh”, cioè non è sacro, non è riferito ad HaShem.
    Lo stesso vale per il termine “anashim” che alla lettera significa “uomini”, ma che nel linguaggio biblico indica “persone altolocate”, “persone di rilievo” (allo stesso modo dei tre “anashim” che si presentano ad Avraham)
    Yaacov ha lottato con governanti e persone altolocate (Elohim e Anashim): cioè con Esav e con Lavan (considerato secondo la tradizione il capo e il più potente di tutti coloro che esercitavano le arti magiche) e ha vinto.
    Il nome di Yaacov da ora sarà “Israel”
    “Ki sarita im elohim”, “Perché hai predominato sui governanti” (“Israel” ha la stessa radice di “sarita”).
    Il nome Yaacov, rinfacciatogli precedentemente da Esav nel senso di “akev”, “inganno”, per gli artifizi usati da sua madre allo scopo di ottenere per lui primogenitura e benedizione, resterà per l’uomo Yaacov, per le sue azioni di essere umano, ma viene sostituito da “Israel”, nelle sua funzione autorevole di leadership.
    All’alba, egli è rientrato nella sua terra con pieno diritto di podestà.
    La lotta è stata molto strenua e Yaacov non ne esce completamente indenne. Subisce un colpo estremamente duro, che lascerà il segno nella sua persona.

    A questo punto possiamo tranquillamente ritornare agli insegnamenti simbolici, mistici e profetici della Torah.

    La traduzione generalmente riporta un colpo all’anca e una lesione del nervo sciatico. Questa è una delle interpretazioni, sicuramente affidabile, dal momento che nell’halachà rabbinica è indicato da tempo immemorabile il divieto di mangiare l’arto inferiore dell’animale, se prima non è stato rimosso il nervo sciatico.
    La terminologia adoperata però suggerisce altre interpretazioni, non meno affidabili e suggestive.
    Innanzi tutto, l’anca è indicata come “kaf iarech” (kaf ierechò: la sua anca).
    Kaf è anche il palmo della mano (kaf yad), qualcosa di concavo.
    Ciò che invece è tradotto come “nervo sciatico” è “Ghid hanashè”. Il vocabolo “ghid”, indica qualcosa che può somigliare a ciò che penetra, che si unisce a qualcos’altro e, tenuto conto che l’espressione “hanashè” può essere tradotta con “delle donne”, l’espressione “ghid hanashè” può essere tradotta con “organi genitali” e l’espressione “kaf ierechò” può essere letta come “ la regione genitale di lui” (in anatomia: la regione del perineo).
    In altri termini, l’inviato di Esav, durante la lotta, avrebbe slealmente colpito Yaacov alla regione genitale, allo scopo di lederne la capacità procreativa e non proprio a caso Yaacov non avrà altri figli dopo questa battaglia, tranne Biniamin che nascerà di lì a poco, segno che Rahel era già incinta.
    Il fatto è significativo, è il tentativo di Esav-Edom di colpire Israel nella parte più importante: la sua discendenza, l’intero Popolo d’Israel.
    Come afferma il Nahmanide, ciò che accade ai Patriarchi è la prefigurazione degli eventi che accadranno alla loro discendenza.
    Esav-Edom, già nel sogno della scala, rappresenta Roma e il lungo esilio ancora oggi in corso.
    Roma è dapprima l’impero Romano, la disfatta drammatica del Popolo d’Israel, culminata con la catastrofe della distruzione del Tempio.
    A partire da Costantino e, successivamente, con la caduta dell’impero, Roma diviene il Cristianesimo, con tutto quello che conseguirà per duemila anni per Am Israel.
    Yaacov, in un primo momento ha intuito il pericolo grave che proveniva da Esav che avanza minaccioso con un esercito, determinato a impedirgli il rientro in Patria.
    Successivamente, vince la sua paura e, dopo aver messo al sicuro la famiglia e il suo seguito, dimostra grande coraggio: passa da solo lo Yabbok e affronta l’emissario di Esav. Nella battaglia però vi è un momento in cui abbassa la guardia, compie un errore di disattenzione o d’ ingenuità ed il nemico riesce a colpirlo e a ferirlo in modo significativo.
    Yaacov comprende che l’Ebreo non può permettersi di fidarsi a cuor leggero e, quando incontrerà Esav, avrà imparato la lezione. Non si fiderà dell’abbraccio del fratello e del suo falso pentimento.
    Tutta l’esegesi non ebraica inneggia al bacio di Esav a Yaacov come alla riconciliazione tra i due fratelli, ma il Midrash non dice questo. La tradizione riporta che Esav, nel fingere di baciare il fratello, tenta di morderlo al collo, allo scopo di ucciderlo.
    Yaacov ora è Israel. Ha imparato che non deve fidarsi nemmeno se Esav viene in pace ed infatti, all’invito di procedere insieme, declina con gentilezza, affermando che lo seguirà dopo, poiché egli procede lentamente, “al passo dei bambini” (che significa: “lentamente, secondo lo studio della Torah”) e la prova della comprensione del pericolo e della diffidenza, sta nel fatto che rassicurerà il fratello dandogli appuntamento a Seir, mentre invece procederà per Sukkot.
    Ormai la separazione e la distinzione tra Yaacov-Israel e Esav-Edom è inequivocabile e definitiva.
    [ Tolto il /QUOTE che altrimenti si legge male]





    O, diversamente:

    #entry267919853


    Dal Nuovo Commento alla Torah di Dante Lattes
    L'episodio è evidentemente allegorico e più che all'individuo Giacobbe si riferisce alla sua discendenza, a quel popolo che si chiamerà il popolo dei figli d'Israele e che dovrà combattere, nella lunga notte della sua storia, contro gli dèi del paganesimo e contro i loro seguaci e che, per quanto ferito, uscirà dalla lotta sempre invitto.

    Non è facile spiegare - come accade spesso nei miti e nelle allegorie - tutti i particolari dell'episodio. L'uomo che Giacobbe si trovò improvvisamente di fronte era un angiolo - i dottori del Midrash dicono che era il « genio » di Esaù,- sarò shel Esav-, (perchè ogni popolo ha, secondo la concezione rabbinica, il suo angiolo in Cielo, cioè la sua specifica e immutata individualità nella storia); quell'angiolo era dunque la personificazione delle inimicizie, delle lotte, delle rivalità che per l'uomo giacobbe erano in quel momento rappresentate dal fratello Esaù e che per il popolo d'Israele dovevano incarnarsi prima negli Idumei e al tempo di Erode l'idumeo, nei Romani che, nella terminologia rabbinica, ne ereditarono il nome e i caratteri di fiera ostilità.
    Secondo J.H.Hertz, l'episodio rappresenta la crisi della storia spirituale di Gíacobbe: la storia narra cioè il suo incontro coll'essere celeste, il cambiamento del suo nome in quello d'Israel, la benedizione dell'angiolo che aveva lottato con lui e la conseguente trasformaizone del suo carattere che, liberatosi dalle cattive e basse passioni, eleva l’anima ai più nobili ideali; (egli non è più Jaaqov, colui che ingannò suo padre e sostituì suo fratello nella primogenitura e nella benedizione, ma è Israel, il campione di D-o, il milite del Signore, il combattente contro le avverse situazioni provocate dalle imponderabili forze della storia, dalle inimicizie teologiche, o dalla malvagità degli uomini e dalle sue proprie passioni)

    Bisognerebbe ammettere, secondo la spiegazione data dal dr.J.H. Hertz, che l'angiolo sia l'incarnazione esteríorizzata di quanto c'era di impuro, di immorale, di basso, nello spirito di Giacobbe; ciò che è poco plausibile, perché si tratta di un essere divino, anzi della personificazione di D-o medesimo, d'un angiolo in figura umana con cui - come in altri casi – D-o si scambia e si immedesima: tanto è vero che Giacobbe dice di aver veduto Idd-o coi propri occhi (XXXII, 31), ed una delle interpretazioni date al nome Isràel è- ish raàh el- (l'uomo che- vide D-o). Si potrebbe spiegare l'allegoria, rispettando tutti i simboli e, per dir così, le persone dell'episodio, in questo modo: cioè che fino a quel momento Giacobbe aveva adoperato mezzi poco onesti per ottenere quanto credeva che gli spettasse di diritto, cioè l'astuzia e le vie coperte, e aveva approfittato più delle occasioni propizie che delle sue buone ragioni; ora egli aveva invece combattuto a viso aperto, per quanto fosse solo e fosse stato assalito all'improvviso, come in un'insidia nottuma, da un essere incommensurabilmente più forte di lui e non aveva tratto motivo di orgoglio dalla sua vittoria, ma anzi di profonda umiltà. Sono i due momenti áella sua vita, le due espressioni del suo carattere che il profeta Osea (XII, 4) riassume molto brevemente così: « Nell'alvo materno afferrò il fratello per il calcagno - e colla sua forza combattè contro un essere divino, - combatte coll'angiolo e vinse, - pianse e lo supplicò. – D-o lo trovò a Beth-el, - e là parlo con lui ».

    Israele deve seguire questo secondo metodo; solo allora la vittoria sarà meritata.

    Secondo una leggenda che deriva da antiche fonti della letteratura mistica, l'episodio avrebbe rivestito il carattere e il valore d'una specie di atto di riabilitazione di Giacobbe, sarebbe stato cioè il riconoscimento della sua onestà. L'angelo si sarebbe presentato a Giacobbe sotto le sembianze di Esaù e gli avrebbe detto: « Tu sei un impostore, pechè avevi detto a tuo padre di essere Esaù, il suo primogenito, ciò che era una menzogna ». di fronte a questa accusa, con cui dopo tanti anni egli veniva colpito tornando a casa, Giacobbe si sarebbe difeso, asserendo che quando aveva acquistato la primogenitura egli era diventato di pieno diritto il successore di Esaù. A quest'argomento l'angiolo avrebbe replicato, pronunziando una sentenza di piena assoluzione: « Da ora in poi non ti dovrai più chiamare Giacobbe,- l'impostore- ma Israele, cioè shèar-el, il rimanente di dio di cui parla il profeta Zefaniah (III,13)”. Il rimanente Israele non commette iniquità nè dice menzogne”. Non sarebbe la crisi spírituale di Giacobbe, quale ha voluto scoprirvi il dott. J.H. Hertz, ma la ribellione della sua coscienza, la lotta della sua onestà contro l'accusa d'inganno e d'impostura e contro il dubbio e il rimorso che forse lo mordevano, rivedendo i luoghi della sua giovinezza e preparandosi a incontrare il fratello. Nella notte silenziosa, solo colla sua coscienza, egli aveva vinto la lotta contro il rimorso, ma nelle carni gli erano rimasti i segni dell'aspra battaglia.

    Edited by ashkenazi - 20/12/2014, 19:13
     
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